Dalla nota di Fabio Pusterla

«Partire la mattina presto» è l’atto con cui Alberto Nessi, poeta vincitore del Gran Premio Svizzero di Letteratura 2016, inizia il viaggio in treno che conduce il lettore lungo paesaggi naturali e incontri umani. Questo libro è come uno scompartimento che offre un campionario di tipi e di sentimenti, di oggetti e di visioni: così capita che «la purezza della neve nel cielo / si scontra con l’oscenità del giornale». Alla ricerca della «parola che non tradisca la sua genesi» l’autore sa raccontare con la semplicità e la saggezza di chi è abituato a vivere in bilico fra attese e delusioni, in una terra spirituale di confine. Gli capita d’incontrare anche migranti clandestini: «quante volte ci morderà la rete ancora il cuore?» e alla fine deve constatare che «non vedrò più la viaggiatrice senza bagaglio / che avrebbe tante cose da raccontarmi» perché «deve scendere». È il destino di tutti, ben racchiuso in poesie scritte «forse un po’ come ballare il tango».

 

Da Un sabato senza dolore (Interlinea Edizioni, 2016)

Stazione

Partire la mattina presto
quando ai treni freschi di segreti
sulla scarpata fanno la guardia equiseti
rugiadosi, dalle reti metalliche
si sporgono a guardare riccioli
di vilucchio, partire da queste allodole
stramazzate tra fasci di binari
rampe di lancio doganieri nuvole

*

Figure della pioggia

Non vedrò più la donna dalle nove dita
che mangia fragole da un contenitore di plastica
non saprò mai la storia del suo dito mignolo

non vedrò più gli occhi della bambina
che avrebbe tante cose da raccontarmi
ma deve scendere, mi saluta dalla banchina

non vedrò più la donna che fa a maglia
con un gomitolo verde pisello, non alza lo sguardo
ha la mascella quadra di mia madre

non vedrò più la viaggiatrice senza bagaglio
compagna di viaggio tra Zugo e Lugano
sorrideva ai meli spogli parlando da sola

non vedrò più le figure incontrate per caso
negli scompartimenti di seconda
le figure trovate e subito perdute
attraversano la vita come acquate
di primavera portate dal vento.

*

InterRegio

Ha l’aria della contadina
la donna che mi siede di lato
con una sciarpa macedone:
che cosa ha lasciato, una casa in rovina
un pollaio devastato?
I due nipotini dalle orecchie a sventola
s’arrampicano sui sedili,
silenziosi scoiattoli senza nocciole,
pettinati come me negli anni Cinquanta
guardano la bionda che cinguetta
al cellulare « super » « genau » « gern »
poi s’addormentano sul bracciolo
mentre la pioggia arriva nella sera
con passo leggero da clandestina
ci guarda dal finestrino fino a Luzern.

*

Clandestina

Quante volte mi chiedo nel dormiveglia
c’è la rete anche qui? ci sono i cani?
la paura che le gambe attanaglia?
il furgone? la gabbia del domani?
E dove sono i fiori della sabbia
che coglievo ragazza in riva al mare
dov’è lo scialle colore del vento?
Non fiorisce il mio ramo, anche le scarpe
ho perso dentro il filo spinato: quante volte
ci morderà la rete ancora il cuore?

*

Il buio e il petalo

Se è vero che chi muore non muore del tutto
ma soggiorna nei posti dove ha vissuto
e va in giro a parlare con gli alberi
tu non sei morta perché ti vedo ogni tanto
nella dimora bianca del convolvolo
sotto il ciliegio che non hai visto fiorire.
Ora hai tutto il tempo e ti sorprendo
davanti questi fiori bianchi a domandare
qual è la verità, perché si vive; e qui seduta
ricordi il libro che ti avevo portato
la carta geografica dei viaggi non fatti.
Ora vai dove vuoi, ora che hai cambiato
il nome e il dove e il quando.
Se è vero che chi vive non vive del tutto
ci ritroviamo a metà strada, nell’antiscalo
tra la morte e la vita, il buio e il petalo.

*

Sui treni svizzeri

a Christian
che compie sessant’anni

Sui treni svizzeri le donne ricamano
scalano punti, con l’uncinetto trapassano
– arrotolato il filo intorno all’indice –
i mali del mondo nella zona silenzio.
Ce n’è una davvero troppo grassa
tutta vestita di rosso anche i capelli, lavora
a un giubbetto così piccolo che pare
destinato a un neonato, ma lei
non ha l’aria da puerpera, lei è
mater matuta di tutte le campagne
– bianchi ciliegi, meli rosa, gru
tra il tarasacco vacche senza fretta
prati che più verdi non ce n’è.
Un’altra uncina un cappellino
nero con ghirlande bianche a onde
forse buono per uno gnomo dei boschi,
con dita sottili s’accanisce come becchi
d’upupa; poi addenta una mela
mentre qui davanti questa bambina
dà la scalata al Cervino, fa cucù
a suo papà e il sabato mattina
pare allentare i fili della vita.

*

Comparse

Siamo brevi comparse, cicatrici
disperse in un giorno di novembre,
le nostre figure sorelle degli alberi
vivi per un altro momento felice
che nessuno ricorda, siamo freddoline
aduggiate all’ombra della notte.
Solo questo ho da dirvi
l’effimero passaggio sulla ribalta
dov’è facile inciampare, i barlumi
tra un atto e l’altro della recita.

 

Alberto Nessi (1940) vive da sempre nella parte meridionale della Svizzera italiana. Ha studiato alla Magistrale di Locarno e all’Università di Friburgo. È stato insegnante. Scrive poesia e prosa ed è tradotto in varie lingue. Le ultime opere pubblicate sono: la raccolta di racconti Miló, (Casagrande, Bellinzona 2014), le poesie di Un sabato senza dolore (Interlinea, Novara, 2016) e Svizzera italiana (Unicopli, Milano 2017). Nel 2016 gli è stato assegnato il Gran Premio svizzero di letteratura.

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