Biancomangiare

Se strofini le parole sulla pelle
– come un latte mescolato con la frusta –
basta un eco una reliquia per montare,
in luogo delle sillabe, di accenti,
paesaggi e desideri, con le mani
nominando come un bimbo quel che vedi,
ed ogni altra cosa intorno assente
si compone, sopra il fuoco della notte,
con l’offerta di altra acqua alla tua veglia
rendendoti visibile chi ami:
un riflesso, sulla punta delle dita,
del suo biancomangiare benedetto.

*

La notte turchina

Calò profonda la notte turchina,
un lampo, per me, antiche cose,
in una camera senza finestre,
e un senso largo di religione.
Un’immagine era presente,
vissuta e sul punto di nascere:
due destini nel bosco a far legna,
con un semplice adagio alla bocca
– com’è stretto, qui, dove amiamo,
e il silenzio pone i suoi semi –
come sposi gemelli che vanno
ugualmente, e con piedi diversi,
accostando la luce in montagne,
per salvare il magenta divino
al sorriso dei loro bambini.
Quando tutto scurisce ti vedo:
hai nascosto qualcosa che brilla
la sua ombra ripete il germoglio
custodito in mezzo alle gole.

*

Il nostro credo

Se non bruciasse tanto il tuo saluto
non farebbe questo lume ininterrotto.
Se la vita ti ha disperso silenzioso
una yurta ci raduna, ancora e sempre,
nella sua spirale antica dentro al cielo.
Quando il canto tace in madrelingua
e mi rannicchio al buio sulla soglia
tu mi sfiori, e benedetto il tuo mantello,
spingendo i fianchi al caldo della casa
dove corro al saltimbraccio con il peso
di tutta la tua luce quando preme,
con costole dell’arca, sui miei seni,
muovendo in circolo le dita come perle
salvate in fondo al mare dell’inverno.
Se scivola dall’occhio di chi sogna
una lingua viva e tanto ferro,
scompare in sangue buono, tra le vene,
come un fiume di portata il nostro credo.

*

Isolastella

Sei venuto con lacrime e sole,
così come fa un grande fiume.
Dai pozzi stellari al più buio
impasto materno d’argilla
le tue mani producono fiori,
i tuoi palmi dei germi turchini,
l’ingenua sostanza che mostra
la qibla assoluta del cuore
– un piccolo luogo,
non angusto, ma stretto,
fra la vista e la soglia del labbro –
se, raccolta, nel tiepidario,
nel polverio della luce, mi hai detto,
ha casa il destino del riso.
Dal segno scolpito tra gli alberi
e il lungo diwan luminoso,
muoio a ogni istante, cadendo
– come solo un’acqua sa fare,
gravida e insieme svuotata –
nella nostra carne infantile,
nell’impasto che gonfia i tuoi semi
se riluce del benedetto
corpo antico, fra le consonanti,
di un’acqua che sogna negli occhi
sacra pozza, l’inesplorata,
che un Dio ha messo al principio
della nostra isolastella.
*

L’improvviso di una lluvia 

Basta un niente a fare gli occhi chiari,
un capriolo quasi in cima, l’improvviso di una lluvia
e non è il mondo immerso nel chiarore,
ma il richiamo al benessere più antico,
la bianchezza verrà soltanto dopo
il suo stato di poesia dentro il giardino.
È la sua mano sopra il capo a buio fitto
che rifiorisce il porpora nel prato
– un latte immaginario in fondo al seno
della madre delle madri che ci scalda –
se quasi non ti accorgi della gioia
quando sbuca ai pozzi e sei nel fiume
di un uomo solo, che ti cammina accanto.

 

 

Claudia Sogno (Bologna 1963), firma i suoi testi con lo pseudonimo Amina Narimi, anagramma di “Anima Rimani”, dedicato alla madre scomparsa. Le sue poesie sono state ospitate in diversi siti e blog di letteratura. Nel 2015 ha pubblicato la sua prima raccolta poetica Nel bosco senza radici (Terra D’Ulivi edizioni).

Immagine di Rimel Neffati

 

 

 

 

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