Fotografia di Dino Ignani

Così, fra il serio e il faceto, mi è venuto da stilare un microtrattato spinozante e wittgensteinianizzante di estetica del poetico ultracontemporaneo. Il lettore poco avvezzo alla filosofia classica, moderna e contemporanea mi scuserà, se può e se riesce. Il lettore avvezzo alla filosofia del postmoderno non riuscirà probabilmente a farlo. Ma non è mica obbligato.

Postulato, in forma di premessa

Si intende per poesia la determinazione scritturale per eccellenza come forma d’arte in senso lato. Si intende con prosa un po’ quello che per Moliére, nel famoso dialogo di Monsieur Jourdain col Maestro di Filosofia, consiste nell’esclamazione del protagonista:
Jourdain: Come? quando dico: «Nicoletta, portami le pantofole, e dammi il berretto da notte», è prosa?
Maestro di Filosofia: Sì, signore.
Jourdain: Per tutti i diavoli! Sono più di quarant’anni che parlo in prosa. Vi sono molto grato di avermi informato.

Proposizione n. 1

Il principio di determinazione del poetico non è il contenuto bensì la forma. Il contenuto, o argomento, infatti, può essere qualsiasi cosa.

Scolio: da ciò discende necessariamente l’assunto che non esistono termini o parole o sintagmi o espressioni che debbono essere banditi dalla poesia. Non esistono “parole poetiche” e “parole non poetiche” o “impoetiche”: esiste lo stile che le determina.

Proposizione n. 2

La forma non coincide con la tecnica. La techne è l’aspetto strutturale del testo poetico, la forma è l’aspetto sovrastrutturale, metacategoriale del poetico in quanto tale.

Scolio: si chiarifica il concetto nell’identificazione della differenza tra prosa e poesia, da cui risulta immediatamente evidente, come da postulato, in che modo la techne sia una componente della forma, essendo tuttavia la forma stessa sostrato collante della determinazione specifica del testo. La forma informa il testo, gli rende corpo e unità indivisa, lo determina in quanto poiesi e lo caratterizza pur senza categorizzarlo.

Definizione derivata dalla proposizione n. 2

La forma poetica è il tì estìn, la definizione non definitoria, perché la poesia non può mai essere racchiusa in una coercizione univoca e data una volta per tutte, in un’ermeneusi definitiva, giacché appartiene al campo delle modificazioni del linguaggio, che di per sé nasce da istanze sì definitorie, ma consiste in un sistema aperto in cui l’assiomatica fine a sé stessa, di per sé, non regge.

Corollario: la differenza tra la prosa e la poesia consiste nella differenza formale, che non è semplicemente differenza, ma derridiana differànce, scarto di senso e significato, decostruzione analogica del linguaggio immediatamente comunicativo della prosa. La forma poetica trapassa l’immediatezza comunicativa per aprire squarci di sospensione polisemica e di cortocircuiti scoperta-perdita-riconquista del circolo semiotico-ermeneutico di Sinn e Bedeutung. “L’artista sta sempre, esemplarmente, sul discrimine invisibile che separa senso e non senso, così come, non esemplarmente, ci stiamo tutti” (Emilio Garroni).
Da ciò discende che:

Proposizione n. 3

Non esistono i generi letterari; le categorizzazioni di genere hanno senso solo scolasticamente e tassonomicamente, con funzione pedagogica; non hanno senso nella natura unitaria della forma, che può distinguere al massimo fra prosa e poesia.

Corollario: per questo la macrodistinzione tra poesia lirica e poesia di ricerca, oggi tanto in voga, è un falso problema, perché può essere presa per buona a livello essoterico, ma è inutile fallace e dannosa a livello esoterico. La poesia, per dirla in breve, è una.

Proposizione n. 4

Esiste lo stile, tutto il resto pertiene in modo abbastanza spinoziano alla distinzione tra modi e attributi. I modi sono prosa e poesia, gli attributi sono i generi; in quanto tali, i generi posseggono una natura meramente accidentale. O anche: esiste lo stile, tutto il resto pertiene in modo abbastanza aristotelico alla distinzione tra sostanza e accidente: la sostanza poetica è la forma, i generi sono gli accidenti.

Scolio: non bisogna confondere lo stile con i categoremi. Lo stile è non istanza categoriale. Se lo fosse, coinciderebbe con i generi: stile lirico, stile sperimentale ecc. sono definizioni che si autoconfutano. Queste accezioni appartengono insomma a un uso improprio del termine. Lo stile è la determinazione univoca della poetica di un autore. In quanto tale prescinde da qualsiasi categoria, essendo la poetica personale di un autore elemento differenziale, non categorizzante, non unificante.
Corollario al precedente: da ciò discende che ben pochi poeti hanno uno stile, perché ben pochi poeti posseggono una reale poetica differenziale. Si facessero pertanto un esame di coscienza.

Proposizione n. 5

La poetica differenziale è ciò che identifica e definisce il poeta cosiddetto outsider.

Definizione: Il poeta outsider possiede qualcosa da dire, e lo dice in un proprio stile. Egli è outsider perché non appartiene alla collettività poetica se non per scambio di opinioni e di visioni, e non fa gruppo. Il poeta outsider non è né un eremita né un misantropo, anzi vive nel mondo e per il mondo, solo ponendo in essere la propria personale visione delle cose, scambiandola continuamente con le visioni altre, in una osmosi entropica del linguaggio come sistema aperto che permette l’arricchimento attraverso continue determinazioni di senso aggiunto.

Scolio: qualsiasi altra modalità (fare gruppo, assenza di una poetica differenziale e di uno stile personale a favore della creazione di sodalizi in base al fallace principio dell’imitazione e alla convinzione deleteria che in poesia o nei fatti d’arte “l’unione fa la forza”) determina il persistere in un sistema chiuso stagnante e ripetitivo, che dà luogo al fenomeno deplorevole dell’epigonismo.

Corollario al precedente: per quanto detto, i gruppi poetici sono la morte delle poetiche e degli stili, e danno luogo alla formazione teratologica di una vasta schiera di epigoni che non hanno niente da dire, non tanto di nuovo (perché il problema, come chiaro dalla proposizione 1, non è il contenuto) ma niente da dire senz’altro. Qui occorre specificare bene: un poeta non dice qualcosa di nuovo se introduce nei suoi testi termini o parole o sintagmi o espressioni o argomenti recenti o scarsamente usati; infatti, nella determinazione della poetica differenziale di cui alla proposizione 5 il contenuto è indifferente. Un poeta, piuttosto, dice qualcosa quando pone in essere la forma e attraverso questa identifica in sé stesso uno stile. In questo senso, chi possiede uno stile dice sempre qualcosa di nuovo, anche se usa parole come “cuore” e “amore”.

Scolio: Detto banalmente, qualsiasi argomento dopo Heidegger è satollo e non c’è veramente più niente di nuovo da dire. Se il punto fosse trovare nuovi argomenti alla poesia, dovremmo gettare semplicemente la spugna e non scrivere più. Allora, ciò che importa è come le parole vengano fatte aderire stilisticamente anche alle cose vecchie e tumefatte del mondo, senza censure preventive e senza manicheismi di sorta.

Proposizione n. 6

Un errore madornale della poesia attuale che si autodefinisce di ricerca è credere che basti eliminare alcuni temi, argomenti, parole, contenuti o stilemi dai testi poetici per trovare, attraverso una tecnica curata e differenziale, il nuovo. Ma non è il contenuto che determina il poetico in quanto tale, così come non è la tecnica, in quanto semplice mezzo, a doversi differenziare. Ciò che determina il contenuto e che deve differenziarsi è la forma.

Corollario: la definizione di post-poesia che viene utilizzata di recente da alcuni rappresentanti delle nuove scritture sembra prevenire l’appunto contenuto nella proposizione 6: ma togliendosi fuori dalla poesia in quanto tale, delle due l’una, non si ottiene che l’effetto di rientrare nella prosa; del resto, la prosa fa capo a una struttura diametralmente identica, salvo che vive sulla prevalenza contraria, del contenuto sulla forma. In quanto tale risulta quantomeno illogico definirla una forma d’arte, al massimo, wittgensteinianamente, una forma di vita. A ben vedere, non è poco.

Proposizione n. 7

la prosa è ciò che facciamo quotidianamente col linguaggio. È l’uso banale del linguaggio.

Scolio: In questo senso, alcune nuove scritture hanno tentato di estrinsecare la non banalità del linguaggio prosastico rimanendo aderenti alla natura stessa del linguaggio, prosa in prosa senza scarto né shifting semantico, pura immediatezza materiale priva volontariamente di letterarietà; altre si sottraggono all’immediata comprensione per la ricerca di uno scarto dalla comprensibilità semantica: caso estremo le scritture asemiche. L’asemicità si tira fuori visualmente dal campo semantico del poetico per andare a parare nel metafigurale del ghirigoro con assoluta valenza estetica in sé stesso. In ambedue i casi siamo fuori dal poetico in quanto tale, perché la prosa in prosa è prosa in prosa, tautòs logos enigmatico e assoluto, e perché la poesia dice, l’asemico invece, per definizione, non dice nulla.

Proposizione n. 8

La poesia è insita anche nella prosa d’arte, ovvero in letteratura. E la letteratura come tale non è mai banale.

Definizione: la prosa letteraria non è che poesia, nel senso estetico della produzione artistica, della poiesis come atto figurale. È letterariamente prosa, stilisticamente prosa, poieticamente prosa. Tutto il resto, come sa bene Molière, è banalmente prosa, in quanto è escluso dallo scarto di senso del poeticum in quanto tale che genera la dimensione letteraria. La prosa letteraria si riconduce al poeticum. Tutto il resto è ribassamento al grado zero del comunicabile. Ovvero, “Nicoletta, portami le pantofole”.

Proposizione n. 9

La poesia in quanto tale non si sottrae mai alla comprensibilità, ovvero a una riconducibilità a un contenuto. Sua prima istanza è la comunicabilità, sottesa alla sua natura primaria di linguaggio in quanto tale.

Scolio: la poesia non è la prosa banale, non è il linguaggio quotidiano. Occorre quindi individuare il principio fondante del poetico, su cui si basi meta-analiticamente la natura insieme comunicativa e trasfigurata della poesia in quanto tale, quel quid che ne determina la sostanza e che la sottrae alla banalità del linguaggio quotidiano. Questo principio fondante è l’analogia.

Proposizione n. 10

La poesia rende formalmente complessa la propria comprensibilità tramite il proprio principio di determinazione formale, che è l’analogia.

Definizione: l’analogia è lo scarto, lo spostamento simbolico di senso dall’immediato del banale alla mediatezza del figurale.

Corollario: il poeta è un cassireriano animal symbolicum, e in quanto tale produce senso scrivendo. L’analogia è principio garante della lontananza dalla prosa e dall’asemicità e della gittata polisemica e polisignificante della parola poetica: lungi dall’esserne la complicatezza in senso comune, ne è l’arricchimento metascritturale e metaverbale. La sua istanza è talmente tanto comunicativa che sull’analogia si basa il dialogo infinito tra poeta e fruitore, fondato sul principio estetico dell’ermeneusi immediata, del “cogliere di colpo” wittgensteiniano. L’aisthesis, in quanto tale, è un sentimento universalmente comunicabile, nel paradosso della propria natura universalmente soggettiva, giacché senso della sensazione, appercezione della mozione atavica dell’essere-oltre-sé.

Proposizione n. 11, in forma di chiusa

Una poesia che non comunica nemmeno dice; una poesia che non dice, non è né prosa né poesia, non è nulla. La cosa importante, bella o brutta non è dato qui saperlo, è che qualcosa che non comunica non dice e non potrà dire mai, beninteso, nemmeno questo nulla.

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L’articolo è precedentemente uscito su InVerso – Giornale di poesia a dicembre 2019. Nell’ambito della presente rubrica, gli undici punti verranno discussi e sviluppati fino alle estreme conseguenze.

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