Fotografia di Michele Cristallo

Dalla postfazione di Milo De Angelis

La poesia di Eleonora Rimolo è percorsa da una forza dirompente che si chiama Alterazione, scritto con la maiuscola per indicare la potenza arcaica di un archetipo. L’Alterazione non è la metamorfosi, non è il rapido passaggio da uno stato all’altro dell’essere, trasformazione lieve e fiabesca che Ovidio ha immortalato nella sua opera. No, L’Alterazione è drammatica, a volte terribile, ci getta in luoghi che non riconosciamo, che sono stati sconvolti nella loro essenza e non parlano più la nostra lingua. Ci conduce in zone ignote e insanguinate, incapaci di costruire un ponte tra ciò che eravamo prima e ciò che siamo adesso, dopo il terremoto della visione, dopo l’attimo che “sposta l’asse” e ci scaraventa in una “lingua sconosciuta / che non conosce traduzione ma solo spavento”. Anche la persona più cara è sfigurata, varca il cerchio della memoria e della consuetudine, si inoltra in un territorio oscuro, dove un volto amato si sgretola e viene portato via dalla corrente. […] Cosa avviene dunque con quella che abbiamo chiamato Alterazione? Non è dato sapere. Ogni domanda è circondata dal buio. Forse ci sarà la morte assoluta senza ritorno. O forse questa morte avrà un volto e ci parlerà. Forse avverrà una rinascita e questa rinascita avrà il respiro spaventoso delle cose scomparse per sempre. O forse no. Forse sarà una rinascita dove potranno sbocciare i fiori della vita precedente. Non sappiamo. […]

da Prossimo e remoto (peQuod Edizioni 2022)

Come questo albero piccolo
che sta dentro una mano
tu mi sei cresciuto dentro
la gola: quando ingoio saliva
e lacrime tu distendi i rami,
perdi le foglie ed io soffoco
col concime asciutto tra i denti,
eppure impercettibile è questa
deglutizione, sogno automatico
che scuote il sonno e alza
il vento d’estate, muove le tende,
irrigidisce il palato secco
di germogli ma non abbevera
le radici dimenticate nel fondo
acido dello stomaco, solo spezza
di netto il tronco nodoso
delle tue gambe di cerva.

*

Quando l’amo traina la preda è già l’alba:
sull’acqua il sangue è un raggio vivo
a mezzogiorno che si scioglie mentre
si spengono le ultime lampare. È finita
la vita di chi attracca ma ancora tira
la rete gonfia a riva della Capraia deserta,
sulla roccia che taglia le viscere, sfila
le maglie, trascina le squame raschiate
dall’addome tenute calde e adesso scorie,
memorie di altre culle in cui lasciarsi
crescere come il ventaglio, le clorofite
e tutto quanto ha radice dentro il mare
non riemerge ma ricopre, resta, soffoca.

*

A volte la macchina del mondo si ferma
con un lungo fischio ed io non so
quale passato usare mentre riposi,
se tu mi sia remoto o prossimo. Come un fossile
la parola segnala il resto parziale di un organismo,
di una cosa che c’era e che c’è: la scheggia
di un tuo dente perduto a scuola da bambino,
l’anello che porti sull’orecchio destro
e tutto quanto ti fa vivo e primitivo
dentro quell’orma sul pavimento,
traccia ovale del risveglio, figura di partenza.

 

Eleonora Rimolo (Salerno, 1991), laureata in Lettere Classiche e in Filologia Moderna, è Assegnista di Ricerca in Letteratura Italiana presso l’Università di Salerno. In poesia ha pubblicato:  La resa dei giorni (Alter Ego 2015 – Premio Giovani Europa in Versi), Temeraria gioia (Ladolfi 2017 – Premio Pascoli “L’ora di Barga”, Premio Civetta di Minerva) e La terra originale (LietoColle 2018 – Premio Achille Marazza, Premio “I poeti di vent’anni. Premio Pordenonelegge Poesia”, Premio Minturnae). Con Giovanni Ibello ha curato Abitare la parola. Poeti nati negli anni ’90 (Ladolfi 2019). Dirige la sezione online della rivista Atelier e le Collane di poesia Letture Meridiane ed Aeclanum per la Delta2 Edizioni.

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