Il vento soffia, docile o inquieto, dai quattro angoli del mondo, segna e scompagina direzioni vivificando i versi di Marko Kravos, poeta sloveno di Trieste, nella raccolta Quattro venti (MultiMedia 2019). Le poesie, in lingua originale e in traduzione, offrono al lettore uno spaccato significativo della poetica dell’autore e importanti spunti per approfondire la sua opera, anche in rapporto alla cultura d’origine. Una cultura situata su un confine, alla confluenza di identità diverse che sanno proteggere sé stesse e, nel contempo, confrontarsi, riconoscersi e convivere.

Quello iscritto nella vita di Kravos è un confine geografico, culturale e simbolico, che ha valore di apertura all’altro, ma, all’opposto, anche di negazione dell’altro. Nato nell’esilio, in un piccolo paese dell’Irpinia, dove il fascismo confinò i suoi genitori in anni in cui troppi erano i confini di separazione; Marko Kravos si nutre poi degli studi di lingua slovena, di un’intensa attività di scrittura (poesia, prosa, traduzioni, saggistica), di progetti editoriali, dell’insegnamento, della militanza nel PEN sloveno, della vita in una città come Trieste che da sempre, anche culturalmente, incarna la stessa possibilità del confine, dell’apertura all’esterno. Una fitta rete di incontri di uomini e pensieri, la visione del mondo che una lingua riflette, il modo di un’altra lingua di tradurre quella visione, lucidamente attraversati dalla prefazione di Josip Osti, che è, insieme a Kravos, tra i maggiori poeti di lingua slovena.

Sul confine si situa anche l’editore MultiMedia, gemmato dal progetto Casa della poesia di Baronissi che da anni guarda oltre le linee di demarcazione, verso poeti e culture che i meccanismi del mercato editoriale spesso ignorano. Voci autorevoli e diverse, voci ibride la cui identità è, talvolta, un miscuglio di culture molteplici, eco di minoranze schiacciate dalla storia.

Sul confine, il vento s’alza, sibila nei versi di Marko Kravos.

Il vento, agente di cambiamento per eccellenza, è una forza sotterranea. Riemerge nella ripetizione della stessa parola vento che, dal titolo dell’opera, riecheggia nei titoli delle quattro sezioni (Nel ventre del vento, Nel vento dell’eros, Controvento e Decime vaganti). Riemerge nella trama strutturale e musicale che procede in una ricerca di simmetria nell’architettura di strofe e versi, nell’ordine sintattico, nelle anafore frequenti, nella ripetizione di suoni. La ripetizione di fonemi, parole o interi versi è spesso parte di un gioco di inversioni alliterate di suoni e sensi (il cane del vicino, un cane per vicinoil vicino per cane) che costituisce la cifra autentica della poesia di Kravos.

La ripresa perfetta del verso Me ne vado così con passo spassoso attraverso tutto questo, che apre le XI poesie ipermetre delle Decime vaganti, racconta il percorso bonariamente derisorio e apparentemente scanzonato del poeta. È un vagare che in realtà conosce molto bene la sua direzione poiché è proprio in questa parte della raccolta che la strada tracciata si precisa. Un nodo stretto lega, infatti, questa sezione alla poesia iniziale che è già una dichiarazione di poetica nella sua volontà di non lasciarsi chiudere in un’atmosfera malinconica di abbandono (l’autunno non è poesia) ma di spaziare nel vento verso una poesia che è solo uno scongiuro.

Nei versi, il senso del tempo può essere seguito sulle sue secolari partiture, nelle sue pulsazioni che permettono la rigenerazione, ma anche di ritrovare in sé stessi le tracce di ciò che siamo stati (ecco mi tornano sotto le ascelle le branchie). Si può risalire a ritroso la corrente del tempo in cui è il discendente a scegliere l’antenato e ad affibbiargli il grado di genitore. Per questo l’io lirico può dire di essere nonno e nipote, genitivo e discendenza, stirpe e dimora. Ma si può anche percorrere in avanti verso gli adorati arciposteri. L’equilibrio e l’armonia tra il prima e il dopo sono assicurati dall’attenzione benevola di anime remote che vegliano la nascita di corpi e forme nuove.

Una natura vibrante e odorosa si impasta nei versi di Kravos in una gioia luminosa. Una natura percorsa dal vento che tra le foglie sonoreriassume le possibilità del suono: soffiafruscia, passa e ripassa, si lamenta con gemiti da partoriente, scuote i pini miscredenti, avvolge la forza della quercia. Una natura dimessa e umile, lontana da roboanti immagini letterarie, fatta dalla semplice bellezza dei suoi ritmi: nel sottosuolo, quatta quatta, cresce la patata in attesa che arrivi il gran momento.

In Kravos, la natura è sempre segno di libertà che si contrappone (come nella poesia La Farfalla Inquadrata) alla gabbia del peso degli anni, di gente noiosa, scadenze, quadrature, riti, conformità. In questa naturalezza, la poesia convoca sé stessa a testimoniare la propria presenza nel mondo, la presenza di un io nella concretezza della sua carne, della sua caducità. Alla furia del tempo oppone la sua lentezza e un pacato procedere nella memoria: Non c’è poi tanta fretta dice il titolo di una poesia.

Ed è, infine, nell’eros, un vento scapestrato e mutevole, che il corpo misura sé stesso: la sua superficie, la sua densità, i suoi cambiamenti, la sua verità. L’Eros riassume avello e castello filtrando gli amori che hanno segnato l’esistenza attraverso il profumo e l’essenza di piante aromatiche: dalla timidezza della lavanda all’asperità dei piccoli aghi del rosmarino, dalla fugacità dell’alloro al sognante e tenace timo.

Con la presenza del genere duale, unità costituita da due, la lingua slovena conserva una scintilla del legame amoroso, della sua condivisione profonda. Fare e darsi ancora ancora all’amore è il riscatto, la via da seguire per attraversare, ancora una volta, il mondo con passo spassoso.

 

da Quattro venti (Multimedia 2019)

 

IL CANTO DELLA LIBAGIONE

In cantina e nella botte va messo
ciò che è stato il fardello della vite,
ciò che ieri era pioggia, sudore, terra,
a riparo va messo dal sole paterno
al buio, pace, freddo. Poi riprende vita,
riceve un nome, nel calice respira e profuma,
chi già si è perso d’animo rincuora,
seduce in un nuovo giro il corpo brioso,
il vino.

Gli antichi Illiri se lo portavano fin giù in tomba,
io invece col vino sto bene già quassù, e ora.

 

TESTIMONI

Convoco il verbo a testimone,
convoco il vigore del silenzio
convoco me stesso dal profondo
di questo giorno di maggio caduco.

Lacrime e riso invoco
e un sospiro di passione
che io sia una mano sulla spalla
che io sia una ciliegia tra le labbra.

La mano si è rinchiusa,
un certo nonnulla rimane in pugno,
la mano si è aperta
come una bocca perplessa.

Convoco il pollice, l’indice
richiamo il medio, l’anulare,
il mignolo: invoco e chiamo.
Vorrei leccarmi, ancora, le dita.

 

PER UN PELO

Per un pelo ce la siamo cavata:
la cometa sfiorò frusciante la Terra
a sufficiente distanza. Capitò già
che l’esplosione di una supernova
e il risucchio del buco nero nella Cassiopea
inclinasse l’asse del nostro globo:
e il mondo ora gira di sbieco.

Non cercare il pelo nell’uovo!
Dove tutto è appeso a un filo,
nulla è fisso, gli anni luce
sono macine inesorabili, e nessuna grazia,
la polvere nell’aria è farina del diavolo,
pane e acqua sono cosa fortuita.
Per il riscatto un filo d’erba, stenditi sopra:
l’amore, fare e darsi ancora ancora all’amore.

Spogliati, rimani nuda
è il gioco d’azzardo che ci impone
di toccare, abbracciare, gioire generando
e ci induce all’atto di fede, speranza,
di scaramanzia, di spudorata filantropia.
Fino all’ultima cellula pervasi
da fiducia nel susseguio delle stagioni
nei raccordi delle sequenze genetiche.

Questo nostro attimo, l’eterno ora e qui
è un occhio sotto il sottile ciglio del cielo.

Porgi il palmo all’alba fragrante
alla rugiada che stilla dalla tela
del ragno. Ancora una volta
ce la siamo cavata, per un pelo.

 

Marko Kravos, (1943) poeta sloveno di Trieste; anche scrittore per l’infanzia, saggista, traduttore. È membro della Lega degli scrittori sloveni di Lubiana e dell’associazione internazionale scrittori PEN: negli anni 1996-2000 è stato presidente del Centro PEN Sloveno. Presiede a Trieste al Gruppo- Skupina 85 e a Lubiana al Distintivo di lettura (promozione lettura nella società). Sono 26 le sue raccolte di poesia e 15 edizioni librarie di prosa per l’infanzia. E’ tradotto in una trentina di lingue. Traduce dall’italiano, dal serbo-croato e spagnolo in sloveno. Recentemente è uscita in Slovenia l’edizione bilingue de Il mio Carso – Moj Kras di Scipio Slataper nella sua traduzione. L’antologia Quattro venti / Štirje vetrovi è stata pubblicata da Multimedia nel 2019.

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