quando tutto tace, l’orecchio
riposa sulla riva: è suono l’occhio
diamante, denso di luce nel palmo
che incombe, sul fondo i girini
tonde pupille a sgusciare tra i sassi

*

quando allaga la cisterna
riaffiorano a squame lucenti
infanti che schiudono labbra
rifratte senza suono. l’occhio è
ambra fossile, restituisce

 

Questi sono due componimenti tratti da silenzio, soglia d’acqua di Loriana d’Ari (Arcipelago itaca 2021). A pronunciare le poesie, sentiamo che le cesure (opportunamente segnalate tramite segni di interpunzione) e gli enjambement – quasi sistematici – creano ritmi sospesi, danno risalto alle parole tra pause di silenzio. Sulla riva, ove «l’orecchio / riposa», unico suono è  «l’occhio / diamante» e il cortocircuito sinestetico si innesta ad una delicata fantasia di parvenza surrealistica (l’iride – un fondo di girini? – e poi le tonde pupille che sgusciano tra i sassi). Nel secondo componimento, mentre l’acqua sfiora l’orlo di una cisterna, in superficie emergono, squame lucenti, neonati la cui bocca dischiusa rimane senza voce. Dopo la cesura del punto fermo, e quindi in posizione enfatica, viene aggiunto un tassellino in più rispetto al primo componimento, sembra spiegarcelo, tracciare una via (l’occhio è / ambra fossile, restituisce). L’occhio, come il diamante, come l’ambra fossile, racchiude e ferma il passato, lo trasforma in ricordo, lo fa accumulare e depositare, e se da un lato lo cristallizza nella luce ambrata o adamantina che sia, dall’altra appare come una forma di restituzione. Dice la d’Ari in un altro componimento: «ma se vedere è restituire / qui di te ogni cosa è salva […] sarai nido / di frontiera in ogni giuntura». Il concetto di restituzione, di sedimento, di traccia, ci conduce al motivo guida della poesia di questa raccolta della d’Ari in cui corpo e natura trascorrono l’uno nell’altra, avvolti, come sono, da silenzi sacrali di una liturgia dolente. Ecco come spiega Loriana d’Ari il legame che intercorre tra corpo, natura e sedimentazione dei ricordi: «entrambe (sc. le dimensioni, quella corporea e quella naturale) rappresentano il ponte per l’alterità: anche se nel mondo naturale siamo immersi, e il corpo siamo noi, c’è un livello esperienziale in cui il corpo appartiene al mondo esterno, alla natura – ed è così (…) finché di questo corpo non possiamo dire: io sono, finché non possiamo dirlo per intero (il che è più una tensione che una condizione di fatto). In altri termini, nel corpo sono sedimentate memorie o tracce, e vi accadono cose in ogni momento: rispetto a queste, nella misura in cui ci abitano senza che le abbiamo assimilate, il corpo è l’altro. Ma in linea generale, per tutta la vita, il corpo è al crocevia tra mondi, come lo è la pelle». Le parole dell’autrice si possono sovrapporre al componimento d’apertura (quello che, da solo, precede le due sezioni della raccolta, Un varco, carsico e Lo strapiombo di essere intera):

 

canto il silenzio d’edera preghiera
spira dentata d’artiglio che affonda
sbalza la mappa, l’intaglio preciso
su questo corpo di scogliera franta
un ribollire ai bordi, una scampata
emorragia: tocca là dove brucia
non chiarire, non dire

 

Salta agli occhi – nella nicchia monostrofica costruita con endecasillabi più un settenario finale – un’unica principale (cf. il verbo coniugato alla prima persona, «canto») da cui dipende, a cascata, una moltitudine di oggetti e sintagmi nominali ad essi collegati. La figura dell’accumulazione, presente in moltissime delle liriche di silenzio, soglia d’acqua, sembra proprio rimandare all’idea già evidenziata del deposito progressivo e della sedimentazione, mentre – come vediamo – corpo dilacerato e paesaggio frastagliato paiono compenetrarsi, come del resto avviene in tutta la raccolta (che spazia da paesaggi montani, tra forre e gole che sono, in senso traslato, lo «strapiombo di essere intera», cf. supra, agli anfratti paludosi di sonni apnoici, ai naufragi esistenziali in mari tempestosi). La chiusa («tocca là dove brucia / non chiarire, non dire»), come chiarisce Mario Famularo nella sua bella prefazione, prepara il lettore, già dal primo componimento, «alla volontà di andare a fondo, di mostrare il punto più vulnerabile della ferita, piuttosto che spiegarlo o nominarlo direttamente e, in ultima istanza, rischiare di depotenziarlo, deformarlo». È un corpo, quello di Loriana d’Ari, che sanguina silenziosamente, inciso com’è da artigli affilati: i bordi della ferita sono ancora caldi, ma lentamente si stanno rapprendendo («un ribollire ai bordi, una scampata / emorragia»). Quello del sangue è un elemento presente anche in altre composizioni di silenzio, soglia d’acqua. È un elemento ambiguo, è vita palpitante, è vivere che è al contempo soffrire (mi palpita nel palmo una piaga feritoia / un favo di sangue che spreme, distilla / goccia a goccia, ed è un pozzo / nel deserto questa sete), per coincidentia oppositorum si può assimilare all’atto di cavalcare nel tempo la caduta (silenzio, soglia d’acqua / fiore che sanguina in bocca / aspra nei tagli la trama di / nude corolle, sillabe cave. / per ogni spina che raschia / la gola, qualcosa scollina / si stacca: fogliolina / che cavalca nel vento la caduta): sì, perché ove il sangue dilaghi, si trasforma in emorragia, si trasforma in morte cui, al momento, siamo ancora miracolosamente scampati, ma rimane distante un tratto soltanto. «Se è vero che “stanno a un soffio l’antilope / e la tigre, la grandine e la rosa”» – evidenzia Mario Famularo – «è proprio nel breve respiro che li separa “tutto il mistero della cosa viva”, in cui è possibile trovare una composizione armonica, attraverso una visione completa e non soggettiva delle dinamiche del mondo, nella percezione della grandine e della rosa allo stesso tempo, della vita e della morte, del corpo vivo e della sua dissoluzione»:

 

ora che più chiara è questa notte
una penombra di morbidi e saldi
contorni, lasciami aperta
ai volti di un volto soltanto.
stanno a un soffio l’antilope
e la tigre, la grandine e la rosa.
che continuino, io prego
e non dimentico.

 

Loriana d’Ari vive a Genova, dove lavora come psicoterapeuta. Ha pubblicato su riviste e blog letterari e ricevuto riconoscimenti e segnalazioni in vari premi, tra cui “Ossi di seppia” e “Bologna in lettere”. Silenzio, soglia d’acqua, che è la sua opera prima, ha vinto la sesta edizione del premio “Arcipelago itaca” per una raccolta inedita di versi ed è stata anche segnalata al premio “Lorenzo Montano”.

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