Se vuoi ordinare l’Annuario di poesia 2016 scrivici a argoannuario@gmail.com

In Rotta (testi e musica, Massimo Zamboni; voce Angela Baraldi)

Di colpo stare immobili nell’atto degli
erbivori coi tendini che stringono a tenaglia
Di colpo stare stupidi al banco dei carnefici
coi sensi accelerati dall’ignavia
S’ingorga / si inclina / s’inciampa / s’incaglia
S’ingorga / si incrina / si smonta / si spaglia
In rotta siamo simili ai branchi delle antilopi
fratelli scalmanati dell’Italia
In rotta siamo liberi dai gioghi come i liquidi
istorica decrepita gentaglia
Rincorre / trascina / percuote / si scaglia
Rincorre / si inchina / si incute / si incaglia
In rotta siamo simili indifferenti agli
ultimi in rotta siamo sterile sterpaglia
In rotta siamo liberi dai gioghi come i liquidi
isterica decrepita gentaglia
Rimbomba si incrina si strappa si squaglia si
smonta si inclina un gorgo e non c’è più
l’Italia
/ si inclina / s’inciampa / s’incaglia S’ingorga
/ si incrina / si smonta / si spaglia Rincorre /
trascina / percuote / si scaglia Rincorre / si
inchina / si incute / si incaglia S’ingorga / si
inclina / s’inciampa / s’incaglia S’ingorga / si
incrina / si smonta / si spaglia Rincorre /
trascina / percuote / si scaglia Rincorre / si
inchina / si incute / si incaglia

«Attento abitante del pianeta, / guardati! dalle parole dei Grandi / frana di menzogne» scriveva Antonio Porta nel poema Europa cavalca un toro nero (1960). Viene da pensare, leggendo in anteprima questi versi inediti di Massimo Zamboni – poeta della voce e della parola cantata, urlata, eppure scritta – che non solo l’Italia si sia inclinata. La poetica dell’autore, già da Prove tecniche di resurrezione (Donzelli Editore, Roma 2011), ci fa tornare con la memoria al precipizio dell’ultima grande guerra – utili, a questo proposito, sono i riferimenti a Montale e a Levi che «riaprono / ferite e croste antiche».

Infatti qualcosa ci riporta indietro, oggi, nella barbarie: c’è l’Europa che incombe con i propri egoismi politici prodromici di sventura, l’Europa assente sopra il Mediterraneo dei barconi, l’Europa impreparata alla migrazione appena cominciata, l’Europa inerme verso le guerre e l’orrore; è «quest’ultima Europa sempre più alta / quest’ultima Europa di vetro» a sembrarci, per chi come noi ha vissuto la speranza di un futuro di pace dopo il crollo del muro di Berlino, un errore, un ticchettio dell’orologio, ma asincrono e allo stesso tempo con un che di burocratico e con una «retorica popolare» che ci fa vivere anestetizzati in «giorni sgonfi».

Certo, qualcosa di questa sconfitta di europei parte anche dalla nostra politica priva di qualità e di ideali, e come italiani sembriamo incapaci di innovare il nostro paese, di giocare un ruolo nel Mediterraneo e, forse, anche la nostra cultura ha rinunciato a giocare l’ultima carta in suo possesso, il coraggio di cantare:

da Prove tecniche di resurrezione (Donzelli 2011)

Sorella Sconfitta
Grazie sorella sconfitta
mi hai dato gli occhi e tre piaghe nel cuore
e nessun filo per poterle cucire
e il coraggio per poterle cantare
Grazie sorella sconfitta
mi hai dato gli occhi e rubata la voce
mi hai schiaffeggiato sull’ultima guancia
non mi restava null’altro da offrire
Mi hai dato gambe per un colpo di
reni colpo di reni per il salto di fuori
salto di fuori appeso nel vuoto
un colpo di grazia per non farmi altro male
Grazie sorella sconfitta
mi hai dato gli occhi e i calli alle mani
una lima ai nervi per imparare
santa impazienza, ma ciò che tarda avviene
Mi hai dato gli occhi e tre lame nel cuore
qualche canzone a rimarginare
mi hai dato gli occhi e un microfono in mano
e il coraggio per poterla cantare

Come poeti, e in generale come individui, non riusciamo a cantare nemmeno la «bellezza offesa» del nostro paese, ascoltiamo le parole dei grandi con disillusione; viene da domandarsi se ci sia un moto d’orgoglio dei partecipanti allo show, ed è questa condizione che esplora Zamboni, scrivendo dell’inesauribile cecità-loquacità-facilità del male, a cui fa da contraltare la pur «Inesauribile, capacità di amare». Sembra quasi un manifesto, se non fosse semplicemente un fatto, a cui le aristocrazie e gli elitarismi letterari e culturali italiani ed europei, impegnati a difendersi in categorie vuote, seppure alcune spettacolari e popolari, dovrebbero guardare, cominciando quel percorso di avvicinamento alla realtà, al cuore dei problemi e della gente.

La parola rotta può dunque avere significati differenti. Voglio interpretarla come la pianificazione di un percorso e di una esplorazione che parte da queste voci piccole, ancora non amplificate, da ciò che sembra marginale e che racconta il perché del nostro essere qui, la poesia… Per cambiare, sì, per cambiare, perché è necessario, attraverso un dialogo tra le generazioni, per non dimenticare. La poesia diviene così il luogo in cui presentare il percorso di alcune parole, di una lingua e di una cultura, la sua rotta: il ritornello dell’inedito La mia patria attuale («Cambierà, sì, cambierà») rimanda a Vedrai vedrai (1967) di Luigi Tenco e alla canzone dello spettacolo Gli ultimi fiori di maggio (1988) di Alfredo Bandelli: «sul mondo incombe ancora la guerra / eppure qualcuno distrugge questa nostra terra / eppure ci sono nel mondo i dannati e gli oppressi / eppure a morire di fame son sempre gli stessi. // Chi dice che tutto è passato, che il mondo è cambiato / è per mantenere il potere per sempre immutato. / Ma cambierà, sì, cambierà / perché necessario ed è giusto, vedrai che cambierà». Un cambiamento attraversa le generazioni, almeno nella sua possibilità: amplificando alcune parole, se siamo in molti a cantarle, forse, qualcosa cambierà. Serve solo un po’ di rock per svegliarci.

La mia patria attuale
Grandi le città
e grande la bellezza offesa
piene per l’età e vuota lena, ma pretesa
Potenza giudicata
rimanda ciò che vale
talenti mal gradisce Patria Attuale
Onesta per metà
e per metà per male
Paese che nel cambio resta uguale
Grande novità
e grande nella notte attesa
Grande cecità
più grande la passione accesa
Cambierà, sì, cambierà
già prima del mattino, svegliandosi
Cambierà, sì, cambierà
già prima di domani, svegliandosi

Massimo Zamboni è nato a Reggio Emilia nel 1957. Fondatore del Gruppo CCCP-Fedeli alla Linea, di cui è stato chitarrista e compositore, e dei successivi CSI, nel 2004 ha iniziato la sua carriera da solista. Ha realizzato varie colonne sonore per il cinema e pubblicato i seguenti libri: In Mongolia in retromarcia (Giunti Editore, Firenze 2000), Emilia parabolica. Qua una volta era tutto mare (Fan-dango, Roma 2002), Il mio primo dopoguerra. Cronache sulle macerie: Berlino ovest, Beirut, Mostar (Mondadori, Milano 2005), Prove tecniche di resurrezione (Donzelli Editore, Roma 2011), L’eco di uno sparo (Einaudi, Torino 2015).

(Visited 224 times, 1 visits today)