“What are you thinking now? I’m thinking
that a poem could go on forever”.
Jack Spicer

Annunciamo le prime date di presentazione della nuova avventura editoriale della rivista ARGO: After Lorca (testo originale a fronte, Gwynplaine, 2018) del poeta americano Jack Spicer, in prima edizione italiana, verrà presentato in anteprima nazionale ad Ancona (17 Giugno), Bologna (21 Giugno) e Roma (25 Giugno); gli incontri avranno come protagonisti ospiti d’eccezione tra cui il poeta e traduttore americano Paul Vangelisti, il Prof. Stefano Colangelo dell’Università di Bologna e la filosofa Brunella Antomarini. Il libro, a cura di Fabio Orecchini e di Andrea Franzoni, traduttore dell’opera, si avvale della post-fazione di Peter Gizzi, poeta e curatore dell’opera di Spicer negli Stati Uniti, e di una preziosa introduzione di Federico Garcia Lorca, che riportiamo in calce assieme a tre testi scelti dal libro, due poesie ed una delle sei lettere programmatiche che lo stesso Spicer indirizza a Lorca, morto vent’anni prima per mano fascista.

Come per ogni progetto editoriale la rivista Argo si avvale del sostegno dei propri lettori, per cui vi invitiamo a prenotare la vostra copia sul portale Produzioni dal Basso al seguente link.

  #Scendifinoalreale Tour:

17 Giugno, ore 18:45 | Festival “La punta della lingua”, Mole Vanvitelliana, Ancona.
Intervengono: Paul Vangelisti, Andrea Franzoni, Valerio Cuccaroni.

21 Giugno, ore 19 | Libreria Modo Infoshop, Bologna.
Intervengono: Stefano Colangelo, Fabio Orecchini, Andrea Franzoni.

25 Giugno, 0re 21 | “Letture d’estate”, Giardini di Castel Sant’Angelo, Roma
Intervengono: Brunella Antomarini, Paul Vangelisti, Marco Giovenale, Luigi Severi,
Andrea Franzoni, Fabio Orecchini

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Introduzione

Francamente sono rimasto alquanto stupito quando il signor Spicer mi ha domandato di scrivere un’introduzione a questo volume. La mia reazione al manoscritto inviatomi (e alla serie di lettere che ora ne fanno parte) era e resta fondamentalmente negativa. Mi sembra lo spreco di un considerevole talento, per qualcosa che non vale la pena di essere fatto. Tuttavia, io non ho avuto più contatti con la poesia negli ultimi vent’anni. La generazione di poeti più giovane potrà forse allora guardare con favore l’esecuzione, da parte del signor Spicer, di ciò che ritengo essere un lavoro difficile e poco gratificante.
È necessario chiarire fin dall’inizio che queste poesie non sono traduzioni. Anche in quelle più letterali, il signor Spicer sembra trarre piacere nell’inserire o sostituire una o due parole che cambiano completamente il tono e spesso il significato della poesia, per come l’avevo scritta io. Ancora più spesso egli prende una delle mie poesie e a una metà di essa aggiunge un’altra metà di proprio pugno, creando così l’effetto di un centauro recalcitrante. (Modestia mi vieta di speculare su quale estremità dell’animale sia la mia.) Vi sono infine un numero quasi uguale di poesie che non ho scritto affatto (si suppone siano sue) composte in una sorta di fantasiosa imitazione del mio primo stile. Al lettore non sono date indicazioni su quale poesia appartenga a quale categoria, e io ho ulteriormente complicato il problema (con maliziosa premeditazione devo ammetterlo) inviando al signor Spicer alcune poesie scritte dopo la mia morte, che egli ha ugualmente tradotto e incluso. Anche il più fedele degli studiosi del mio lavoro troverà non poche difficoltà a determinare cosa è e cosa non è Garcia Lorca come, senz’altro, farebbe, se si trovasse a esaminare il luogo in cui attualmente riposo. L’analogia è scortese, ma temo che la scortesia non sia immeritata.
Le lettere sono un altro problema. Quando il signor Spicer ha cominciato a inviarle, diversi mesi fa, ho riconosciuto immediatamente la “lettera programmatica” ― la lettera che un poeta scrive a un altro poeta, non con l’intenzione di comunicare con lui, ma come un giovane sussurra i propri segreti a uno spaventapasseri, sapendo che la sua amata, non lontano di lì, lo sta ascoltando. L’amata in questo caso può essere una Musa, ma lo spaventapasseri ciò nondimeno, abbastanza naturalmente, detesta le confidenze. Il lettore, che non è invitato a questo strano appuntamento, potrà rimanere divertito da ciò che riuscirà a sentire.
I morti sono notoriamente difficili da soddisfare. Il miscuglio del signor Spicer può forse piacere al suo pubblico contemporaneo o può, cosa ancora più probabile, aiutarlo a scrivere meglio la propria poesia. Tuttavia, esaminando questo curioso amalgama, non posso fare a meno di pensare a una vignetta pubblicata in un giornale americano, mentre mi trovavo in visita nel vostro paese, a New York. La vignetta mostrava una lapide su cui erano incise le parole: “QUI GIACE UN UFFICIALE E UN GENTILUOMO.” E la didascalia sotto diceva: “Mi chiedo come hanno fatto a finire sepolti nella stessa tomba?”

Federico Garcia Lorca
Fuori Granada, ottobre 1957

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Ballata della Bambina Che Inventò l’Universo

Una Traduzione per George Stanley

Fiore di gelsomino e un toro con la gola tagliata.
Marciapiede infinito. Mappa. Stanza. Arpa. Alba.
Una bambina finge un toro fatto di gelsomino
E il toro è un crepuscolo di sangue che mugghia.

Se il cielo potesse essere un bambino
I gelsomini potrebbero prendere metà della notte per loro
E il toro un’arena blu tutta per sé
Con il cuore ai piedi di una colonnina.

Ma il cielo è un elefante
E i gelsomini sono acqua senza sangue
E la bambina è un mazzetto di fiori notturni
Persa su un grande marciapiede buio.

Tra il gelsomino e il toro
O gli uncini della gente di marmo addormentata o
Nel gelsomino, nuvole e un elefante ―
Lo scheletro di una bambina che gira.

***

Caro Lorca

Quando traduco una delle vostre poesie e capito su parole che non capisco, indovino sempre il loro significato. Ho immancabilmente ragione. Una poesia veramente perfetta (nessuno ancora ne ha scritta una) potrebbe essere perfettamente tradotta da una persona che non conosce una parola della lingua in cui è stata scritta. Una poesia veramente perfetta ha un vocabolario infinitamente piccolo.
È molto difficile. Vogliamo trasferire l’oggetto immediato, l’emozione immediata alla poesia ― e invece l’immediato ha sempre centinaia di parole proprie che gli si avvinghiano addosso, brevi e tenaci come cirripedi. Ed è sbagliato raschiarle via e sostituirne altre. Un poeta è un meccanico del tempo non un imbalsamatore. Le parole attorno all’immediato avvizziscono e si decompongono come carne attorno al corpo. Nessuna mummificazione della tradizione può essere usata per arrestare questo processo. Oggetti, le parole devono essere portate attraverso il tempo, non preservate contro di esso.
Urlo “Merda” giù da una scogliera verso l’oceano. Persino durante la mia vita l’immediatezza di quella parola scolorirà. Morirà come “Ahimè”. Se però io nella poesia metto la vera scogliera e il vero oceano, ecco che la parola “Merda” viaggerà con loro, percorrendo la macchina del tempo finché scogliera e oceano non saranno spariti.
La maggior parte dei miei amici ama fin troppo le parole. Le collocano sotto la luce accecante della poesia e provano a estrarre da ciascuna di esse ogni possibile connotazione, ogni temporaneo gioco di parole, ogni connessione diretta o indiretta ― come se una parola potesse diventare un oggetto per semplice addizione di conseguenze. Altri raccolgono parole dalla strada, dai loro bar, dai loro uffici e le esibiscono con fierezza nelle loro poesie, come stessero gridando, “Guardate la mia collezione di lingua Americana. Guardate le mie farfalle, i miei francobolli, le mie vecchie scarpe!” Che se ne fa uno di tutte queste cazzate?
Le parole sono ciò che si afferra al reale. Le usiamo per spingere il reale, per tirare il reale nella poesia. Sono ciò con cui ci teniamo, nient’altro. Di per sé, sono preziose quanto una corda a cui non abbiamo niente da legare.
Lo ripeto ― la poesia perfetta ha un vocabolario infinitamente piccolo.

Con affetto,
Jack.

***

Venerdì 13

Una traduzione per Will Holter

Alla base della gola c’è un piccolo marchingegno
Che ci rende capaci di dire qualsiasi cosa.
Sotto di esso ci sono tappeti
Colorati di rosso, blu, e verde.
Dico che la carne non è erba.
È una casa vuota
In cui c’è soltanto
Un piccolo marchingegno
E grandi, bui tappeti.

Jack Spicer nasce a Los Angeles nel 1925. Si trasferisce a nord, Berkeley, dove studia e in seguito insegna all’University of California. Qui stringe amicizia con Robin Blaser e Robert Duncan, oltre ai numerosi poeti, artisti e studenti che fecero parte del movimento chiamato San Francisco Renaissance. Frequenta e collabora con musicisti jazz della west coast, tra cui il quartetto di Dave Brubeck, con cui inciderà alcune letture. Nel 1955 apre insieme ad altri artisti la “6 Gallery”, luogo che diventerà centrale per la Beat Generation. Rapporti conflittuali dovuti all’alcolismo con amici come Allen Ginsberg, Frank O’Hara, e lo stesso Robert Ducan. Muore nel 1965, pronunciando la frase che ora fa da titolo all’edizione integrale dei suoi scritti: “il mio vocabolario mi ha fatto questo”. Durante la sua breve ma prolifica vita, ha pubblicato diversi libri di poesia attraverso piccole case editrici regionali, tra cui After Lorca (1957), Billy The Kid (1958), Lament for the Makers (1961) e The Holy Graal (1962). A partire d’After Lorca, Spicer sviluppa l’idea che la sua poesia si crei sotto dettatura. Dopo Garcia Lorca, altri fantasmi accompagneranno la sua produzione, tra cui Rimbaud e Billy the Kid. Nel 2009 il libro contenente le sue opere complete, pubblicato postumo a cura di Peter Gizzi, My Vocabulary did this to me: Collected poetry of Jack Spicer riceve il prestigioso American Book Award.


Andrea Franzoni
è nato nel 1983. Poeta e traduttore, ha esplorato le deformazioni linguistiche nella migrazione tra lingua e lingua e nelle patologie sociali e psichiche derivate:dalle glossolalie al multilinguismo funzionale e disfunzionale contemporaneo, in area mediterranea. Ha pubblicato una raccolta di frammenti poetici (Chutes) presso Eric Pesty editore, in lingua (quasi) francese. Parte di una raccolta quadrilingue è apparsa su Sitaudis.fr. Prepara attualmente versi in lingua italiana.

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