Racconti tratti da Sonno Giapponese (Italic Pequod, 2019)

 

 

 

Non parlarmi di destino, uomo.
Volevo scrivere un romanzo lirico-pornografico.
Ho ucciso così mia madre; l’ho aperta con un coltello e ne ho sondate le profondità. Tastate le viscere, nudo a nudo; penetrata nell’incisione da me praticata. Venuto in lei, nel suo sangue. Invano ho ricercato il contrario metaforico nella densità del suo sesso.
Mamma era una gatta.
Aveva il pelo, mia madre; io sono un gatto sphynx. Senza pelo. Forse anche mio padre era uno sphynx, conoscendo i gusti di mia madre.
Non mi piaccio, glabro. Odio le mie orecchie a punta; il mio sguardo cattivo, cinico. Il romanzo non giunge a termine; è un parto, un parto di vita intera.
Se muoio, la mia pelle utilizzatela per una lampada. Il mio cranio vi porti fortuna. Sbriciolatelo con un martello.
Sniffatelo, cani.

 

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C’è ressa davanti alla serranda ancora chiusa.
Dentro il locale un cadavere meraviglioso. Poche le anticipazioni. L’unico corpo al mondo privo di sesso; un corpo che non è corpo di uomo e non è corpo di donna. Magari corpo di cosa, ma cosa un tempo viva. Amata e amante.
Pagando una moneta – forse l’obolo caronteo, forse cifra simbolica – i presenti potranno osservare il corpo. Toccarlo, recitare una preghiera alla materia prima.
Il corpo è disteso sopra un piccolo tavolino anatomico.
A breve la serranda si alzerà e le persone in attesa si disporranno in fila; si entrerà solo due per volta.
Naturalmente, si dovrà osservare un silenzio assoluto.
Eccitarsi sarà concesso. Non sarà concesso sfogarla, l’eccitazione; mani distanti dalla zona pelvica. Meglio se in alto, le mani. Tempo di visita: due minuti a coppia.
Vietato fotografare.
Chiunque venisse colto nell’atto di fotografare sarà immediatamente cacciato fuori e deriso vita natural durante.

 

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Tra le facoltà umane non è compresa l’ellissi.
Il giovane scrittore di successo prende atto di questo. I momenti noiosi non può saltarli. Deve viverlo, il vuoto; tutto minuto per minuto. Non come nei suoi libri che un mese passa così, in due righe.
Questo è inaccettabile. Il giovane scrittore di successo prende la macchina e si schianta contro un palo; nel bel mezzo del deserto. Un palo della luce. Un lampione.
Messo lì, quel lampione, per le notti dei pellegrini. Per le carovane che perdono la strada.
Il palo diventa un monumento funebre. Alla sua luce viene sostituita una croce di ventisette centimetri, ciondolante; il filo è così sottile che la croce dà l’impressione di librarsi nell’alto perenne.
Il palo è meta di numerosi pellegrinaggi, adesso.

 

 

 

 

Gabriele Galloni è nato nel 1995 a Roma, dove vive. Le sue raccolte di versi sono: Slittamenti (Alter Ego-Augh! Edizioni, 2017, nota introduttiva di Antonio Veneziani), In che luce cadranno (Rplibri, 2018), Creatura breve (Ensemble, 2018). Ha curato per la rivista “Pangea” la rubrica Cronache dalla Fine – dodici conversazioni con altrettanti malati terminali. Nel 2018 ha fondato la rivista online Inverso – giornale di poesia. Sue poesie, oltre a essere tradotte in spagnolo e in romeno, sono apparse sulle maggiori riviste italiane.

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