Le immagini che presento non hanno niente di umano. a me pia-
ce guardare un buco per la forma che ha, non per quello che di
umano porta.

per esempio: vedo un tale che fa un palloncino a forma di ani-
male per dei bambini. ma quelli vogliono vedere una sfera che è
capace di volare […]

(in Album, dalla sezione Altri scritti)

 

Walker Evans (il grande fotografo statunitense che definiva l’artista come un collezionista di immagini che raccoglie le cose con gli occhi) sosteneva che uno dei suoi argomenti preferiti riguardava l’essere inconsciamente fotografi  da parte di scrittori come James Joyce e Henry James. Nel caso di Walt Whitman non c’era neppure niente di inconscio: in Foglie d’erba, raccontava Evans, ogni cosa veniva letteralmente fotografata e niente poteva dirsi poetizzato. Ora, che esista un rapporto diretto e una correlazione evidente tra la scrittura e la fotografia è cosa nota. Che per alcuni autori quel legame sia però un qualcosa di imprescindibile è sempre una scoperta affascinante – almeno per la sottoscritta.

Claudio Salvi appartiene alla categoria degli inconsciamente fotografi e la sua produzione poetica avrebbe probabilmente attirato la curiosità anche dell’intransigente e burbero Walker Evans. Album è la sua opera prima, uscita per Arcipelago Itaca nel 2016. Il titolo, che riprende nel nome una delle quattro sezioni di cui la raccolta si compone (Album, Polaroid, Sogno e Altri scritti), introduce senza alcuna mediazione il tema dell’immagine, della sua essenzialità, della sua difficoltà di farsi parola. L’intera raccolta ruota attorno a un unico concetto: la contrapposizione tra immagine/parola (che è anche, a ben vedere, contrapposizione tra vuoto/pieno e forma/sostanza). Salvi si concentra sulla difficoltà per il poeta di tradurre in versi ciò che l’occhio umano continuamente percepisce e registra.

Delle quattro sezioni di cui la raccolta si compone, Album e Altri scritti sono quelle più descrittive, più particolareggiate, più ricche di sfumature e dettagli (io che desidero vedermi la città da me e la vedo in foto/ ma sono i profumi, i rumori che non senti/ e tutto quello che non esiste: una casa per esempio. un prato, pag. 9territori senza luce. stazioni illuminate./ luoghi vuoti./ luoghi parati a festa senza uomini e donne./ tempio vuoto. case vuote. stazioni vuote./luoghi in attesa. o soltanto vuoti, pag. 10; adesso in giardino è buio./ in estate quando è bello attaccano le lampade./ in inverno nevica. i pesci girano nella vasca./ nove statue contornano il prato./lei muove appena le labbra, pag. 16passa un fiammifero sulla scatola, le dita lo imbarazzano./guarda fuori./«manca poco che piove»./ tira su un piede nudo ma non basta, pag. 23; una foto può far vedere un giardino o un’altra cosa in un certo modo/ che non si può far vedere altrimenti, pag. 47; in questa foto non c’è l’idea che mi sono fatto di un fantasma. ma chi/ dice che uno vuole vedere un fantasma così come gli appare. uno/ vuole vedere in certi casi ciò che non si aspetta, pag. 48).

Al contrario, le sezioni Polaroid e Sogno si contraddistinguono per una maggiore lapidarietà e immediatezza (*dopo la pioggia – in cima. portofino è interamente in territorio/ italiano. cosa ne dici dello scorcio, pag. 31*sono seduto in una stanza che non è quella in cui ti trovi – di sera./ confronta i due ambienti, pag. 32* due cose – in questa vanno da tutte le parti. io ti indico un punto/ colorato come la casa, pag. 33*lui canta – battono le mani./ danno il film – siedono, indicano lo schermo./ il film commuove – battono le mani, pag. 35; un tuono distante molto forte. come dei colpi, ho pen-sato./ c’è la possibilità che piova. la luce era tagliata, pag. 39misurare una cosa non vuol dire forse regolarla. non è una/ regola che richiedo adesso. è una misura. come in geometria, pag. 41; ho fotografato un albero dal basso con la macchina/ fotografica. era pieno di fiori. poi sono caduti, pag. 41).

Polaroid, tra tutte, è la sezione che contiene gli squarci più puri, le visioni più surreali. Tutte le poesie di Polaroid esordiscono con un asterisco, i versi sono per lo più liberi e hanno la forma di stanze. Quelle stanze richiamano alla mente Joseph Cornell e la sua capacità di mettere l’infinito in scatola. I versi di Polaroid sono schegge, lampi di luce, schizzi materici. Anzi, di più, sono anticipazioni di uno scenario in progressione. Giulio Mozzi coglie bene questo aspetto e nella sua postfazione “luoghi in attesa. o soltanto vuoti” scrive […] Abbiamo finestre, piogge che iniziano o durano o finiscono o sono appena finite, altre finestre; c’è il gesto di indicare, abbastanza insistito (di indicare a qualcuno). Va presa sul serio, la frase di Léon Brunschvicg che sta in apertura, letteralmente e metaforicamente. Salvi non sembra percepire (e restituire) davvero personaggi (benché personaggi ci siano), oggetti (benché oggetti ci siano), luoghi (benché luoghi ci siano, e della più comune quotidianità): “A me piace guardare un buco per la forma che ha, non per quello che di umano porta”. E nemmeno, specificherei, per ciò che ci si può vedere attraverso. Ironicamente (credo: ma forse di un’ironia inavvertita dall’autore) s’intitola Polaroid, una sequenza di questo libro. I fotografi dicono (cito luoghi comuni stracitati) che la fotografia non “rappresenta” la realtà, ma ne “mette tra virgolette” un pezzo. Altri fotografi dicono (v.s.) che non è importante solo ciò che entra nella fotografia, ma anche (e forse – e qui il luogo comune diventa vezzo) ciò che ne resta fuori. Ecco: direi che ciò che mi appare, leggendo i testi di Salvi, è: le (impronunciabili) virgolette, il bordo (che, in quanto bordo, non è né dentro né fuori: è in nessun luogo) della fotografia. Ovvero il gesto di indicare. Il rivolgere lo sguardo, non ciò che lo sguardo coglie (che sembra, e magari può essere davvero, casuale), non ciò che lo sguardo non coglie. Leggendo i testi di Salvi mi abituo a uno sguardo che è insieme molto assertivo (la forma del buco!) e per niente assertivo. Questo suscita in me molte cose, mi fa venire il mal di testa, mi fa sentire la tentazione di rovistare nelle cose che appaiono (palloncini, schermi bucati, bar, erba finta, vecchi cessi, minestroni), e io resisto alla tentazione. In ciò trovo un guadagno. Non esattamente un benessere. Non esattamente un piacere. Ma un aumento di conoscenza; sì, e un aumento di conoscenza della conoscenza. Ciò che si chiama bellezza, in una parola […].

Gli inediti qui proposti erano stati scritti per confluire nella sezione Polaroid. Qua e là qualche squarcio si è salvato ed è stato trasfuso nella raccolta, anche se in forma abbreviata e contratta. A voi la sensazione, l’esperienza della lettura e della folgorazione che ne segue. Perchè alla fine, e concludo citando nuovamente Walker Evans, Il mondo è bello ma indicibile. Ecco perché abbiamo bisogno dell’arte.

*
che cosa vedi — non lo so in un punto si vede
in un punto si vede un’auto — io so
— io so che in un punto si vede una foto indico un colore
vedo delle cose — gente che corre da tutte le parti io ti indico questa casa
si vede una figura in piedi
si vede una persona in piedi
prendi queste foto,
guarda bene queste foto
io so che
sale sul tetto
c’è un cane i cani dormono sotto le macchine
i cani vanno in giro di notte
si vede un’auto
un’auto
ne sono certo perché
in strada puoi vedere tante di queste macchine
questo non toglie i rumori in stanza
in fondo si blocca

*
qui la luce offusca il giardino — io sto di fronte alla chiarezza dei colori
qui la luce offusca la finestra
voglio dire che la luce fa un rettangolo sfocato nella finestra e nella porta
nell’immagine l’eccessiva luminosità di alcune parti rende irriconoscibili i dettagli
una quantità eccessiva di luce offusca i dettagli — io sto di fronte alla chiarezza dei colori
il panorama ha meno colore — io sto di fronte alla chiarezza della gente che guarda
i tizi indicano il panorama bianco latte —
un tizio indica il panorama bianco latte —
indicano il panorama bianco latte —
dei tizi indicano il panorama bianco latte —
vedono ciò che indicano non lo so
dei tizi indicano il panorama — è bianco latte o in ombra in posti diversi
se qui è più chiaro questo non lo so
io vedo certe parti
perché lo indicano non lo so
cosa indicano di preciso non lo so
come distinguo
trovano bello ciò che indicano non lo so
vedono ciò che indicano
distratto
in una parte dell’ambiente
in un punto
io sto lì
vedono il panorama bianco latte — io sto lì
nella parte in ombra
ciò che per te è bianco per me è trasparente e ciò che tu vedi bianco riflette una certa luce
di fronte al rifugio dove ci siamo rimpinzati —
sono seduto in una stanza
qui è estate — questo è in estate osserva gli animali nel prato buio si vedono le ombre
questo è in estate — alcuni uomini circolano nella semioscurità di questi alcuni distinguono i colori
alcuni distinguono la strada
distinguono i colori distinguono la luce di un lampione
se tasto con le mani mi chiedo di che colore sono
cosa riconosco dal colore
quanti distinguono i colori
alcuni uomini vedono nella semioscurità di questi alcuni camminano
si vedono le ombre

*
qui facciamo un po’ di confusione —
non si distingue tra acqua e cielo
che cosa aspettarsi — non si distinguono scuro e nero qui
ma questa superficie è nera oltre che scura
guardo un albero in montagna — noi
un ramo in casa —
un ritratto di gesù —
un paio di scarpe — un ritratto di gesù è in casa
fotografo qualsiasi cosa — questo non so che cosa è sta lì davanti che guarda
sto lì e non vedo niente
come chi guarda
una cosa può essere scambiata per un’altra — quale
sta lì

*
— lì nel muro prima della finestra
lì in centro — è cemento e in un punto è rosso in acqua nuota una donna che non è di qui
e in due punti è rosso
lì in centro — è cemento in un punto è rosso sotto va la gente a guardare uno
lì in centro — è cemento in un punto è rosso sotto la gente va a guardare con poca luce
uno che è nudo
con i pensieri
nuda
vanno gli uomini
senza vedere
un altro fa la foto con poca luce
qui il muro cade
anche la gente vede questo
il muro termina
pende la luce
la gente guarda questo
qui ingoia i colori
però questo buio ingoia il rosso
e in alto,

*
lì in centro — è cemento in un punto è rosso tu sei da uomini che stanno lì
non si vede così
non vedono così
uomini
— uno va da un punto a a b e i
la gente — uno va da un punto a a b e in
vanno da un punto a a b e i

Claudio Salvi nasce a Milano nel 1976 e lì vive. Suoi testi sono stati pubblicati su Nazione Indiana, Vibrisse, GAMMM e Piazzaemezza. Album (Arcipelago Itaca Edizioni 2016) è la sua opera prima in versi.

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