ARBORESCENTI
Voci che indagano le radici degli alberi e la natura delle nature
Una rubrica cucita da Tiziano Fratus

 

II puntata

Carlotta Cicci, Sul banco dei pesci, collana I codici del ‘900, editore L’arcolaio (Forlimpopoli), 124 pagine, anno di pubblicazione 2022, in copertina fotografia dell’autrice; prefazione di Alberto Bertoni.

Dalla prefazione di Alberto Bertoni

«Esiste in ogni anima uno scrigno di cose non dette, un universo percettivo ed esistenziale taciuto, per senso di cautela e opportunità, che sottende ciò che mostriamo. Alla poesia il merito, talvolta, di far emergere tali fondali, nel velo della metafora, dell’enigma non interamente disvelato. Carlotta Cicci nella sua opera di esordio Sul banco dei pesci con coraggio scandaglia questo greto scuro, e lo fa con parole che, pur vibrando in superficie di sonorità e sfumature ritmiche, di inquadrature icastiche, di pregiate intensità, rimangono ben radicate a un nucleo di smarrito, mirabile spavento: “Il seme del disprezzo/ dormiva sul giaciglio / accanto alla mia sagoma / vestita vergine a morte / chiusa nei gomiti / senza dio // perseguitata / esposta / interrotta // siete tremendi / voi angeli custodi / una colorata menzogna / nei giorni pietosi / un puro esilio di granito / con voce bassa e dolce” […] Sul banco dei pesci è un diario nero e barocco, crudo, esiziale. Un salmo di solitudine, spoglio di approdi, di redenzioni e certezze, un cammino scalzo e sanguinante sulla roccia del vivere».

Nota di lettura di Tiziano Fratus

Autobiografia esistenziale solfeggiata in un linguaggio che si rifà costantemente ad elementi e condizioni concepiti in natura. “Piangi / ma in questa tana / io non sono terra” rivela Carlotta Cicci, e dunque questo che teniamo tra le mani è un cantico primitivo, natura di nature, luogo del desiderio di essere altro che un’umana; e di fatti si sostanzia in diversi attestati, a partire da quel programmatico e manifesto «odio questo battesimo terrestre», verso di una delle poesie più magnetiche della raccolta, il progetto di parlare con voci senza parole, utopia verbale a cui la poetessa non vuole arrendersi. «Immagino solo compassioni», aggiunge, e se c’è una speranza per il mondo questa risiede nelle potenzialità del già esistente, in quel nuovo che nasce da noi ma non ci appartiene più.

Da Sul banco dei pesci (L’arcolaio 2022)

Moltiplicami
piccola bestia
come un piccolo dio
nei giorni in cui tutto è
esattamente com’è

pelle e ossa tue
pelle e ossa mie
nel fruscio dei lupi

dentro un grido
annusi il sangue
mastichi delirio
santa senza decoro

*

Piangi
ma in questa tana
io non sono terra
e tu sei uno scorpione
prosciugherò la tua acqua
e senza corpo

sovrana circondo
stuzzico l’apnea
ti confesso tra i denti

lo strappo mi respira contro
lo sterno si ribella

allarghi la mia bocca
controlli la mia gola
aumenti lo sguardo

con le mani congedo
qualsiasi direzione
qualsiasi dio
come briciole di pane
sulla tavola

*

Esisterà un’ultima vittima?

Odio questo battesimo terrestre

bisogna compiere il viaggio
leggere nella mente degli uomini
poi cadere addormentati

non ci sono Signori qui?

qualcuno passa nella notte
disincarnato in atti terribili
capitoli e versetti

dai cincillà alle aquile
cavalli feriti che cavalcano l’inferno
fedeli servitori assuefatti

cervi
agnelli
vacche
condannati
vili

*

La cerva silenziosa
protegge il mio corpo

aspetto l’alba
conto il sangue
che continua a cadere
nelle immense giornate

e mia figlia salverà il mondo

 

Tre domande a Carlotta Cicci

Alcuni tuoi versi: Ho brandelli di vite indistinte, Sono la temperatura dell’alba, In attesa del sangue reclamo il fondo del lago, Aspetto una lingua in questa larga tomba; chi parla in queste invocazioni creaturali?
Parlano quelle visioni che derivano dalle mie percezioni, il bisogno di generare ulteriori forme capaci di enunciare ciò che forse con un linguaggio lineare non saprei esprimere, vivendo contemporaneamente l’ossessione di incidere e rendere contemplabile ciò che mi sfuggirebbe altrimenti. È un viaggio, un continuo travaglio che si risolve in immagini simboliche che incarnano o si sovrappongono all’immediata realtà. Non so se sia giusto dire che questo mi permette di trovare un senso alle cose, non mi sento in una intenzione di questo genere. La spinta che mi attraversa è immortalare, conservare e tramandare gli eventi psichici e sentimentali in modo simbolico. Direi che è il mio modo di dare ordine al mondo tramite il tentativo della memoria e della profezia.

Che senso ha per te scrivere poesia oggi, perché poesia e non canzoni, o racconti, un romanzo, un fumetto?
Il mio modo di stare nel mondo passa sempre per una forma espressiva, il disegno, la pittura, la fotografia e non per ultimi il video e il montaggio che sono anche il mio lavoro. Nella poesia trovo una sintesi tramite la visione il ritmo e il linguaggio per poter generare un’opera. Non sento una necessità descrittiva o narrativa. La canzone appartiene alla musica una dimensione affascinante e profonda della quale rimango una curiosissima spettatrice. Il fumetto non tocca le mie istanze, piuttosto mi sento vicina al mondo dell’illustrazione e della pittura. In merito al senso che possa avere scrivere poesia oggi, penso semplicemente che come ogni forma artistica indipendentemente dall’epoca in cui si vive abbia la prerogativa di comunicare e dare all’altro da te strumenti ulteriori per leggere il mondo e se stessi… è un compito che forse non si deve preoccupare di trovare stabilire o prestabilire un senso. Una sorta di resilienza incondizionata.

Ci sono poeti e autori che alimentano la tua visione? Quale minima bibliografia ci potresti indicare per capire meglio le tue poesie?
Amelia Rosselli, Cristina Campo, Alessandro Ceni, Sylvia Plath, Giovanna Sicari, Mario Luzi, Anna Maria Farabbi, Simone Weil sono stati nel mio cammino alcuni dei miei fari.

 

 

Carlotta Cicci è videomaker, illustratrice, fotografa, nata a Roma nel 1984, vive a Bologna. Ha curato e realizzato numerosi progetti video e documentari (www.disforme.net). Sul banco dei pesci è la sua opera prima in poesia.

 

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