«Avere fiducia nel mondo – dice Deleuze in una storica conversazione con Toni Negri – è ciò che più ci manca: abbiamo completamente smarrito il mondo, ne siamo stati spossessati» . Per riappropriarcene dobbiamo riappropriarci del dolore, pare fargli eco Benjamin, perché: «Di tutte le altre sensazioni del corpo solo il dolore rappresenta per l’uomo una sorta di inesauribile corso d’acqua che conduce al mare»
Due citazioni, per iniziare subito forte. Babum!
Se le è sparate, penserete. E infatti lasciamole come esergo di questo articolo che parla (tra le altre cose) di quella strana meraviglia che è L’usignolo di ferro (2021) edito da ‘round midnight edizioni e ultima fatica di Francesco Iannone, poeta e scrittore eccellente di cui ho già avuto modo di rimarcare altrove l’ottimo lavoro.
Teniamole in esergo queste citazioni, dicevo, per accogliere quella, azzeccatissima, con cui Iannone decide di aprire il suo testo. Due versi di Zagajewski: “Chi non vorrebbe essere un bambino / – per l’ultima volta”. Ed è su questo punto principalmente che qui si dibatterà. Perché il testo di Iannone (uno scricciolo con 22 poesie) è un testo che pare scritto da un bambino. Attenzione: non parliamo qui di letteratura infantile né, tantomeno, di letteratura per bambini. Parliamo invece di un libro scritto da un uomo che per qualche imperscrutabile motivo ha voluto sentirsi bambino per l’ultima volta in vita sua e che ha poi voluto darne testimonianza scritta.
Il prefatore Francesco Tomada afferma in presentazione che, se «in diversi testi potremmo immaginare che a parlare sia davvero un bambino, in altri è evidente che a farlo è un adulto» . Ci sentiamo in dovere, qui, di rinnegare questa affermazione.
Il testo sembra, invece, quasi il materiale onirico grezzo di un bambino di dieci anni che, ricevendo dai media e dal suo normale vivere, degli stimoli, a questi reagisce. E quindi i pugni, la voglia di uccidere, la prima, incomprensibile erezione, non stonano mai con il gioco, le risate, i momenti familiari. Certo, è naturale che nessun bambino scriverebbe così, che nemmeno si esprimerebbe così eppure, freudianamente, sappiamo che è così che pensa.
Ne viene fuori un libro drammaticamente violento, denso però di una violenza inedita e inudita nel panorama della poesia italiana. Un dolore che è del vivere e dei viventi e che ci tiene uniti al mondo.

X

Un mio amichetto
Con tutta la rabbia
Possibile a un bambino
Mi ha urlato di andare via
Che lui a giocare con me
Proprio non ci pensava.
Io molto piangere
Avrei voluto. Moltissimo
Un pezzo di carne
strappargli con un morso solo
dal braccio o dal costato.
Poi però ho pensato
Che se uno è cattivo così
Un bacio non l’ha mica mai avuto
O forse la mamma e il papà
Una ninna nanna nemmeno
Gliela hanno mai cantata.
L’ho pensato, sì, è vero. Prima però
Ho pensato
Che l’avrei ucciso.

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