All’inizio e alla fine abbiamo il mistero, scriveva il matematico Ennio De Giorgi. C’è un luogo oltre i luoghi, un altrove che nemmeno l’inconscio visita. È il nulla dell’antestoria, dell’antemondo. Non riguarda l’immaginario, l’immagine o, non ce ne voglia il pubblico, l’immaginato religioso, quella matassa di aspettazioni verso cui l’uomo stira il collo.
Da quell’Antemondo parla, almeno nella prima parte, l’opera prima di Jacopo Curi (L’immagine accanto, Arcipelago Itaca, Ancona 2019) che ha il merito di illuminare il ventre di ciò che, invisibile, ci abita accanto, ci precede e ci aspetta. In apertura ci troviamo immersi nel luogo dove eravamo / prima di venire al mondo / e di cui non ricordiamo nulla. Dove tutto non solo è perso, ma forse nemmeno è stato ancora trovato. La società reificata, il grande corso delle città, le strade, le luci, tutto aspetta di là da un velo che non vediamo ancora (se un ancora è dato in questa broda), lo vedremo dunque in un altro punto del flusso, perché fra poco inizierà il tempo.
Questa realtà amniotica, che in realtà svolge il ruolo di prologo al succo del testo, e ne cerca una teoresi, è in realtà la più bella intuizione di Curi, poeta che si mostra assolutamente capace. Ne viene fuori un racconto che è racconto della coscienza, ma che non può esserne fenomenologia, così distante dal transeunte.
Dopo, finito il Doppio fondo[1], il mondo si fa mondo, cose le cose, corpo il corpo (sento la pelle intorno e la carne addosso) ma è un artificio, è tutto teatro, tutta finzione. La vera ossessione sta nel non visto, nel tutto-già-visto dell’inizio, che bene combacia alla fine con la poesia eponima: nel luogo si intravedono i luoghi / e si ricorda il futuro: / la partenogenesi / l’immagine accanto.

***

Saremo oltre lo schermo
senza connessione
con gli occhi aperti al buio
nel luogo dove eravamo
prima di venire al mondo
e di cui non ricordiamo nulla.

***

Dove eravamo prima di nascere?
Tutto esiste troppo e da sempre
per conto d’altri
anche senza i nostri occhi
fino a che sono entrato
senza sapere
in tutto quel già saputo
di cui ricordo
qualcosa che non trovo.

[1] Così si chiama la prima sezione del testo.

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