La scrittura di Rachel D’Amico prende avvio da un bisogno di autoanalisi e introspezione che, quasi con piglio clinico, perlustra i sedimenti della memoria depositati nel presente fino a restituire scatti istantanei di vita concreta, filtrati empiricamente attraverso l’esperienza diretta dei sensi. Di conseguenza vengono riportate alla luce schegge e catene di frammenti che nel tempo hanno acquisito la tipica forza del ricordo. Risvegliate dall’inerzia grazie a una somiglianza o a un sillogismo, queste impronte tornano improvvisamente a fior di pelle, spinte in superficie come nell’acqua dal loro stesso peso.
Negli affreschi compositivi che ne risultano, caratterizzati, probabilmente per formazione, in larga parte da intenzioni narrative e descrittive, trovano spazio improvvisi scatti emotivi legati a quei dettagli minimi responsabili di aver stimolato la memoria. Per estensione, e quasi empaticamente, entrano a far parte dell’immaginario, a tratti pop, di D’Amico, oggetti quotidiani racchiusi in spazi di varia natura, che a loro volta tendono a dilatarsi, tanto nelle figurazioni complessive quanto nel dettato, fino ad assumere le sembianze di un flusso di coscienza (si veda in particolare l’ultima prosetta priva di punteggiatura) che segue un percorso a ritroso nel suo proiettarsi in avanti. Il soggetto, parete osmotica tra il dentro e il fuori, resta centrale pur nell’evidente necessità di contatto con la porzione di realtà entro cui si relaziona.

 

Mani nere

Ho visto il tuo sguardo altrove,
sulle luci e sul cemento,
sulla strada gialla di taxi.
Sigarette sbiadivano lo spazio intorno
e mi guardavi attraverso,
l’angolo della bocca bucava la guancia.
Una giornata con il cielo opaco
pendeva sulle teste.
Mani nere, sporche dei baci che mi avevi dato.
Occhi appesi in cima all’Empire State Building.
Capelli cadevano come polvere sopra la giacca a quadri.
Mi butto di sotto, pensavo,
tra le luci e sul cemento.

 

Netturbino

Il peso di un bacio sulle labbra
sosta qualche ora prima di sparire,
piango whisky sui gradini di una chiesa.
Sopra una terrazza di fronte al mare,
tutto tace, i gatti camminano lenti.
Il netturbino raccoglie birre vuote
e il vociare della sera prima.

Sei meno un quarto,
la notte è finita, il giorno non è iniziato
e tutti ci somigliamo.
Aperti a metà, sinceri, vulnerabili,
non siamo pronti a dormire,
timorosi di fare sogni troppo veri.

 

Orgasmi delle 6:52

Negli orgasmi della notte trovo la consapevolezza degli sguardi buttati al vento che portavano la speranza di essere raccolti mi sono riconosciuta negli specchi dentro un ascensore di una palazzina puntellata da mattoni a vista mi sono affacciata dall’abbaino sulla città pensando fosse una bella giornata fumavo una sigaretta sopra i respiri pesanti del sonno la pelle increspata del lago poi ricordo di avere raccolto quel momento più di una volta mentre chiudevo gli occhi su di lui a ridosso del petto fino a dormirci sopra il sole saliva avrei voluto consegnargli le parole senza fiato ho creduto che potesse mettere un punto come fosse un bacio al risveglio ma in quella casa sembra di non essermi svegliata mai

 

Rachel D’Amico (1997) è nata a Desio e vive a Limbiate. Studia scrittura e storytelling all’Accademia Mohole di Milano. Nel 2019 ha collaborato a un progetto per Rizzoli Education come content creator. Si occupa anche di fotografia.

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