da Le Nespole e la canaglia (Affinità elettive 2018)

 

Core secco due

Il soldato con la sposa fresca fresca
parte per il fronte russo.
Dalla casa sulla via
non si riesce neppure a guardarlo,
sulla finestra della storia
gli occhi si chiudono
e lui si rimpicciolisce
con addosso
il destino dell’ultimo fieno
e la fiducia della prima mietitura.
Il camion se lo porta via
nella polvere dello stradone.
La madre disciplinata
nel fazzoletto nero
consola pulcini e conigli
addomesticando l’attesa
dei mesi e degli anni
per quel figlio
troppo gracile al freddo.

 

Saltarello tra le nuvole

Tutto questo vento alla fine
qualcuno si porta sempre via.
Chi se n’è andato d’inverno
rispettava gli argini dei fossi
la disciplina delle capezzagne
la regolarità delle siepi.
E la terra riconoscente restituiva
la sapienza degli innesti e dei canestri,
tenera e sfrontata in forma di fuoco
che genera pensieri di pane e ciliegia
e soccorso di parole dritte e rispettose
come le mani puntuali
che accarezzano i vitellini appena nati.
Chi è restato a girare intorno
ai giorni e alle stagioni
sa scrutare nella filigrana delle nuvole
indizi fortunati del raccolto
e immagina un cielo benevolo e protettivo
da ballarci sopra
come nelle notti di fieno e di granturco.
Un organetto inarrestabile
fa muovere le gambe e le mani
dei corpi fieri che non arretrano
dai fianchi imperiosi e intemperanti
sfidanti di sé e del mondo
e offre un regalo di parole larghe e precise
colme come i sacchi
pieni di grano e di similitudini.

 

‘Na vita da ‘n mori’ mae

Dai, ‘rconta, ‘rcontame!
Fina acché te stò a sentì
campo meio, arrìo a cent’anni.
Le parole tua è come ‘na sdingola sdangola,
se m’andormento ‘n t’arrabbì,
tanto la testa me va avanti per conto sua
e domane t’arconto io.
Dimme dimme, te sei brao
a troà tutta sorta de storie
come a da’ fogo a la paia,
‘l cervello ‘n te troa loco,
lu tene da conto
quel che l’occhio vede
e quando ‘l core dole,
trafitto
se la manza scabrosa
‘n fa pià ‘l pocciòlo al vitellino
e ce badi poco
a rcordamme del pisciarello del sudore
quela olta che
l’emo vista la diavola.
Adè che va sotta ‘l sole senza cappa
e tra lume e scuro
la luna vecchia ha finito d’arpusasse,
damme na mano a metteme a colco.
Domatina
‘n gì ‘nvelle, ‘sta cchì.
Artornerà la luna nova
che fa nasce e cresce
e a te che te sa fadiga
a ‘mmazzà na formica
‘n te manca ‘l modo de rinvenì i segni boni,
d’arcoie la speragna pe’ i dindarelli,
de sperà i ovi pe’ ‘na bella coata de pulcinelli.
C’armarrà sempre ‘na passina
‘n te sto campo de stabbio e terra fina.

 

Angelo Verdini vive e opera a Palazzo d’Arcevia in provincia di Ancona. Dopo un’abbondante produzione in campo pedagogico-didattico, è alla sua prima esperienza come autore di racconti. Pratica la scrittura anche negli ambiti della poesia, della storia locale moderna e contemporanea e della cultura nelle aree interne. Il libro Le Nespole e la canaglia (Affinità elettive 2018) raccoglie le sue poesie dal 1986 al 2017.

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