«La propria poesia non deve essere data per scontata e conclusa, è un’opera in divenire, un organismo imperfetto che magari richiede un’accelerazione, un taglio, una verticalizzazione, un’apertura che possono sorprenderci mentre noi stessi la scriviamo.» Un’idea piuttosto chiara di quello che vuol dire il far poesia, secondo l’autore milanese, classe 1950. Da qui, probabilmente, il suo passionale impegno in numerose manifestazioni e partecipazioni per promuovere la poesia, quella presente e quella passata, quella di altri autori, giovani ed affermati. Da qui, oltretutto, la sua presenza in associazioni particolarmente attive per l’organizzazione di incontri e kermesse come “MilanoCosa”, la curatela di Passione Poesia (CFR Edizioni 2017), un’antologia che racchiude importanti contributi nella poesia italiana dal 1990 al 2015, i suoi contributi in numerosi saggi e iniziative letterarie. Il suo contributo critico e specialistico è tanto significativo quanto quello artistico e creativo, in un territorio sociale che oggi predilige sicuramente il “consumare” al “mantenere”, il nuovo rispetto al consueto, l’innovazione rispetto al recupero. Cannillo mantiene la sua idea di poesia e la sua considerazione in merito a questo farsi letteratura, un’idea che si fa ordine, misura, struttura ma che non esaurisce la parte misteriosa, autentica, personale che il far poesia da sempre porta -o almeno dovrebbe portare- con sé. Quell'”organismo imperfetto” menzionato in precedenza.

Il fare poesia è legato nella sua poetica indissolubilmente alla poesia stessa: al suo crearsi, quindi, come dalla stessa etimologia greca ποίησις. E per Cannillo questo resta un passaggio/risultato emblematico. Integrare il fare col dire, lo sguardo con la visione, l’intuizione con il lavoro sul testo, con l’oralità del suo dirsi, la sua metrica, la sua musicalità. Il suo farsi materia. Il suo stesso -in una parola- funzionare.

«Scrivere poesia è un intreccio di tre momenti: percezione, costruzione, rielaborazione. La percezione da qualsiasi fonte esterna, visiva, auditiva o verbale, ma soprattutto nello scavo di senso e parola, alla ricerca di una ragione sempre più profonda e di una parola che incarni quella profondità. La costruzione ha a che fare con l’architettura, la struttura del testo, la sua articolazione. Infine la fase delle rielaborazione, delle varianti, dei ripensamenti, che dura all’infinito può avvenire anche prima o durante una lettura pubblica. Soltanto in questo modo riesco a scrivere poesia: la poesia è verità ultima, parola unica nel suo avvenire. La poesia è la sostanza che ci consente di dire, faticosamente ma felicemente, quello che altrimenti non percepiremmo né diremmo. Un organismo di suono, senso e ritmo che non è mai scontato, ma da creare e ricercare. È la parola che ci manca e la tensione a trovarla. Senza poesia non possediamo il nome ultimo dei fenomeni, non esercitiamo la capacità di nominare. »

Sono i fenomeni oggetto della visione sui quali esercitare la capacità -tutta umana- di comunicare. Sui quali infine “possedere il nome ultimo”. E questa comunicazione, questo nominare, questo desiderio che è naturalmente fare/farsi è sempre un lavoro che non si slega mai da un corpo, sia esso soggetto o oggetto di questo processo. Si legge nella poesia che chiude Sesto Senso (Campanotto Editore 1999): «Il corpo -intanto al lavoro senza risarcimento – / e quel linguaggio estremo combaciano riunificati / questo verbale la buccia che l’organismo sputa / che della attesa avanza / del filtro di progetto e rinuncia da eremita / desidero come dirlo »

L’attenzione alla carne del corpo, la sua ontologia materica, la sua sostanza resta la personificazione del comunicare, del farsi della poesia. Cannillo ha infatti curato e ideato l’antologia “Il corpo segreto – Corpo ed Eros nella poesia maschile” (Lietocolle 2008). La corporeità stessa prende forma nei suoi versi. Il suo peso, il suo equilibrio, la sua massa contro il vuoto. Una massa che tante volte sembra essere schiacciata da quel cielo, elemento che ricorre molto spesso nella sua poesia. Qui un passaggio tratto dalla plaquette “Cieli di Roma” (Lietocolle 2006): «L’orizzonte ha abbassato / improvviso i suoi tendaggi / A noi il soffitto calato / la schiena sul terreno”. E poco più avanti: “È stata la gravità ad atterrarci / o ci respingono i palmi del cielo?»

La rielaborazione è anche considerazione del ricordo, della memoria, di quella sfera privata e intima che è storia del poeta. Queste rielaborazioni, però, non sono necessariamente di matrice sentimentale, e questa resta -laddove presente- un input, solo quel primo tassello del fare poesia (come nella interessantissima sezione “L’ordine della madre” di “Galleria del Vento” improntata sulla perdita del genitore). Poi giunge la maturazione, la consapevolezza, la riabilitazione dell’evento nella dimensione -non solo necessariamente logica- del ricordo, della meditazione, del recupero. Scrive Sebastiano Aglieco nella prefazione all’ultimo Galleria del vento (La vita Felice, 2014): «Il senso del corpo sembra essere restituito nella pienezza controllata della parola, e dall’ordine con cui la memoria prova a ridisegnare i luoghi dell’incontro, il partecipare nuovamente dell’evento ma questa volta nella luce malinconica – eppure più giusta- di ciò che essenzialmente è avvenuto e che ora ancora rimane. » Non è un caso, dunque, che nella poesia finale della sezione della madre si legga: «Resiste però la disciplina / delle linee, il polso come nido / di parole, e all’incrocio i numeri / e i nomi assegnati. Resta curvata / in segni la grazia dell’alfabeto».

Il ricordo come rielaborazione, meditazione sulle parole, terzo tassello hegeliano di un farsi sintesi. In questi versi riuscitissimi di “Cieli di Roma“, posti a chiusura di un componimento, sembra avvenire questo processo dialettico: «All’appello conserviamo nomi ed ombre / misurando il vuoto sui confini / quando li riceviamo sulla soglia / nostra la vertigine, e la memoria». E la voce del poeta e della sua poesia, come in un vero corpo, rielabora e nomina, proprio attraverso la sua carne, le sue visioni. La poesia stessa si personifica in voce, come spesso accade in molti autori, ma risulta difficile non trovare questa considerazione in quasi tutti i versi della sua poesia. «La voce apre il regno dei nomi / per gli oggetti cantati, volti e gesti / la nuova vita, la reincarnazione» si legge in “Cielo Privato” (Joker, 2005).

Tracciare l’essenziale dei tratti di una poetica ancora del tutto pulsante non è di certo semplice, e sicuramente non è chiarificatore ultimo di tutto il materiale contenuto in una bibliografia così ampia, che, se non dal primo e seminale Transistor (TS Ed. 1986), almeno da Volo Simulato (Campanotto, 1993), arriva fino ad oggi. Questo è solo un tentativo di descrivere quello che è stata -e ci auguriamo continuerà ad essere- la poesia di un autore significativo anche e soprattutto all’interno di un ampio contesto di trasmissione poetica odierna. Milanese e non solo. Chiudiamo con dei versi che ci sono sembrati emblematici per questo percorso, tratti dall’ultima raccolta, ad oggi, “Galleria del Vento“, dove quegli sguardi che onorano i ritratti sono quelli delle parole, del polso e del corpo che le segna: «Oltre il respiro bussano / gli sguardi che onorano i ritratti / e mani a piegare le coperte / sempre più distanti / Sfilata l’ombra insorge / una nuova potenza / polvere di ceramica o il solco / del corpo sul divano / Il corteo delle impronte / ci seguirà insistente fino all’alba / quando indossa l’elmo del silenzio / e si consegna muto». 

 

da Sesto Senso

Nel bilico s’infila perno desiderare per
desiderare la sfida

cercando altri accordi
che rappresentino questa impazienza a pelo d’acqua
motore che rumina nell’isola deperibile
il tasto resta acceso

mentre con ferocia da cane che gioca fabbrico
l’utopia privata tra piacere aristocratico
e diritto all’uguaglianza

scucia a questa felicità
il suo grado nella gerarchia la realizzi aerea
storia d’incontri perpetui

da raccontare intrecciando rotte variabili
rastrellato suono sopra
e sotto al centro un disco che faccia silenzio

Il corpo -intanto al lavoro senza risarcimento-
e quel linguaggio estremo combaciano riunificati

questo verbale la buccia che l’organismo spita
che della attesa avanza
del filtro di progetto e rinuncia da eremita
desidero come dirlo

 

da Cieli di Roma

Com’è bello qui abbiamo mormorato
come se l’erba e quelle pietre
fossero residenza possibile
l’altrove insediato da noi
Qui si generano i sogni
dove risorge la materia
e l’invisibile riappare
Non sono loro a proteggerci
messaggeri in discesa
siamo noi a scontare per loro
l’avventura terrena e le stagioni
noi i custodi della separazione
All’appello conserviamo nomi e ombre
misurando il vuoto sui confini
quando li riceviamo sulla soglia
nostra la vertigine, e la memoria

 

da Galleria del Vento

Oltre il respiro bussano
gli sguardi che onorarono i ritratti
e mani a piegare le coperte
sempre più distanti
Sfilata l’ombra insorge
una nuova potenza
polvere di ceramica o il solco
del corpo sul divano
Il corteo delle impronte
ci seguirà insistente fino all’alba
quando indossa l’elmo del silenzio
e si consegna muto

Resiste però la disciplina
delle linee, e il polso come nido
di parole, e all’incrocio i numeri
e i nomi assegnati. Resta curvata
in segni la grazia dell’alfabeto
Le vocali ci invocano al risveglio
e i fogli, l’inchiostro spinto
tra le righe esclamano l’assenza
di chi ha scritto: siamo ritornate!
Le lettere della madre,
la loro voce ferma

 

Luigi Cannillo è nato e vive a Milano.  insegnato in corsi per universitari ed è autore di testi scolastici.Ha pubblicato le raccolte di poesia Transistor (TS, Novara 1986), Volo simulato (Campanotto, Udine 1993), Sesto senso (Campanotto, Udine 1999), Cielo Privato (Ed. Joker, Novi L. 2005) e Galleria del vento (La Vita Felice, Milano 2014); nella serie “12 Arcani Maggiori” Il giudizio (Edizioni Pulcinoelefante, Osnago 2000). Singole poesie sono state pubblicate su numerose riviste, fra cui Millepiani, Manocomete, Il segnale, La mosca di Milano. È presente come poeta o con interventi critici in antologie e raccolte di saggi, tra le quali Poesia degli anni 90 e Appunti critici, curate da Giorgio Linguaglossa (Ed. Scettro del Re, Roma 2000 e 2002) e Sotto la Superficie (Bocca Editori, Milano 2004). Ha curato l’antologia di poesia e prosa giovanile Battiti d’alfabeto (Ed. dell’Ambrosino, Milano 1999) e le pubblicazioni antologiche annuali della Rassegna di scrittura giovanile “Marina Incerti” (dal 1989 a oggi); ha collaborato alla redazione dell’Annuario Crocetti 2000 e di Sotto la Superficie – Letture di poeti italiani contemporanei. È componente dell’Associazione Culturale “Milanocosa”.

 

 

 

 

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