Dalla prefazione di Roberto Cotroneo

“Ma è dentro la scelta dei temi, oltre che dalla sapienza dei versi, che Moscè si muove meglio. E mi permette di mettere nel mio cassetto privato questi fogli. E mi regala un letterario che negli ultimi anni non riesco quasi più a trovare. Questi temi dolorosi, uniti alla bellezza delle immagini, di qualcuno che sa guardare con la parola (e questo ci accomuna, certo) sono i miei temi, sono i temi di tutti, sono la scrittura quando prende un senso, sono il moderno e l’antico che coesistono, che rimbalzano che si rincorrono. Con questo filo conduttore dove è il ricordo, la famiglia a tenere questo suo presente, perché è così che si deve fare, così che si deve scrivere. E poetare, se il verbo mi è consentito.”

 

da La vestaglia del padre (Nino Aragno Editore 2019)

Non so dove sei o finirai,
in quale ruota del tempo invisibile
cammini con la giacca slacciata
come a trent’anni sul porticciolo.
Difficile credersi immortali in una fotografia
che tanti occhi hanno guardato
nei baffi scuri dietro al bicchiere d’acqua.
Un cristallo e un’ombra svaniti,
un dettaglio per gli occhiali,
nelle parole soffiate a febbraio
mentre la televisione mi fa compagnia
nel canale riservato al tennis,
il tuo preferito, papà,
per quelle volées incrociate de revers,
frammenti che accendono le lampadine della sala

 

*

 

In via Arezzo, rivederti da una mansarda
riannodando il vento screziato di ombre pallide
in una Roma che passa sulla notte
e mi toglie il sonno,
in questo febbraio che gela
mentre tu parcheggi sulla Flaminia, nel regno dei laziali
e non dici nulla da un’uscita di sicurezza
sui viali ammassati di edifici.
Dicono che i morti vivano in altre città,
che non passino la mano,
ma abbiano il divieto di farlo sapere

 

*

 

“Una volta qui c’erano i matti”,
esclamava Marcello in cima alle scale
con il bastone di noce e gli scalda polsi grigi.
I matti erano un’ombra sbigottita,
piantoni del tempo infantile
che guardavano da ogni angolazione
come gli occhi nei quadri dei nobili.
Li avevano trasferiti in un altro padiglione
per farli abituare a stare da soli,
perché passassero sopra il loro male
e alle spalle delle inservienti
con la compostezza degli scolari
che entrano in aula un’ora dopo

 

Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. Ha date alle stampe le raccolte poetiche L’odore dei vicoli (I Quaderni del Battello Ebbro 2004), Stanze all’aperto (Moretti & Vitali 2008), Hotel della notte (Aragno 2013) e la plaquette in e-book Finché l’alba non rischiara le ringhiere (Laboratori Poesia 2017). E’ presente in varie antologie e riviste italiane e straniere. Le sue poesie sono tradotte in Francia, Spagna, Romania, Venezuela, Stati Uniti, Argentina e Messico. Si occupa di critica letteraria su vari giornali, tra cui il quotidiano “Il Foglio”. Ha ideato il periodico di arte e letteratura “Prospettiva” e dirige il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”. Il suo sito personale è www.alessandromosce.com.

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1 Comment

  1. Vincenzo 02/07/2020 at 4:54 pm

    Questo e’ bravo.