Immagine: Vincent Van Gogh, L’albero di gelso (1889)

ANALYTICA

rubrica a cura di Francesca Innocenzi

 

Tra i fiocchi di neve che cadono
ce n’è sempre uno,
non visto,
che risale il cielo.
Ogni autunno ha una foglia segreta,
che rimane salda all’albero.
C’è sempre tra gli uomini
un uomo che non muore.
Egli attende
che quelli che lo conoscevano
si siano tutti spenti.
Resta acceso
a illuminare
un’eternità che non so.

 

Per questo nuovo appuntamento con la rubrica propongo alcuni versi dalla silloge Tenebrezza di Davide Cortese (L’Erudita 2023, con prefazione di Anna Maria Curci). Il titolo della raccolta è costituito da un neologismo dal significato volutamente ambivalente, che rinvia a una tenerezza arresa e disarmante, da un lato, e alla imperscrutabilità perturbante della tenebra, dall’altro. Così dalla lettura dei testi – solitamente brevi, alla stregua di illuminazioni, squarci nel buio – è ben coglibile la sintesi degli opposti, tra sorrisi che percorrono spazi d’ombra, respiri che dilagano in tempeste e bagliori di luce che accompagnano disfatte e dissoluzioni. Il poeta, «ragazzo di bottega del demonio», è disposto a travalicare i confini dell’inquietudine per scandagliare le tenebre del mondo interiore; è colui che scende negli abissi per imparare a domarli, che scardina le usuali barriere tra realtà e immaginazione.
L’io poetante si volge all’assoluto, nella coscienza dell’impossibilità di sottrarsi al ferimento; sintonizzandosi con la bipolarità dell’esistente, percepisce lo spettro della morte, che serpeggia, non vista, nelle distese di campi di papaveri. Il paesaggio è costellato di elementi naturali e cosmogonici dai tratti mitici e simbolici, anche laddove si fa riferimento esplicito a luoghi geograficamente determinati, come nel caso della nativa Lipari. Le vivide percezioni visive, legate in particolare ai colori, emergono da uno sfondo popolato da immagini e figure più archetipiche che dotate di plastico, prosaico realismo. E, nella ineludibile responsabilità del vivere, si controbilanciano il peso della colpa e il sollievo del perdono, poiché «poesia è il tempo/ in cui siamo umani».
La poesia riportata qui sopra è formata da quattordici versi liberi; pur in assenza di strofe e di forme chiuse, la struttura ricorda quella di un sonetto: il primo periodo richiama infatti una quartina; seguono, nell’ordine, due coppie di distici e due ulteriori periodi di tre versi ciascuno. Il dettato è piano e scorrevole, con richiami e parallelismi interni e una particolare ricorrenza del «che» relativo.
Nella prima parte (primo e secondo periodo, rispettivamente di quattro e due versi) dominano gli elementi atmosferici e stagionali: la neve, la foglia d’autunno. Capovolgendo la prospettiva usuale, suffragata da un’ampia tradizione letteraria, che considera tali elementi nel loro insieme, come moltitudine, il poeta si concentra qui sulla singolarità dell’unico fiocco, dell’unica foglia che optano per un percorso difforme: al moto di caduta, che la massa asseconda, il singolo contrappone l’ascesa o l’immobilità. È il verso 7, in cui lo scenario si sposta sull’umano, a chiarire appieno la valenza metaforico-simbolica di queste immagini: «C’è sempre tra gli uomini/un uomo che non muore». L’esperienza ciclica, ricorsiva, universale dell’individuo che sopravvive ai propri simili viene osservata dall’esterno, come figura emblema di una stoica resistenza alla morte e al dolore. La metafora dell’accensione lo contrassegna come astro o faro notturno, guida per gli uomini, veicolo di una luce che non è mera speranza di sopravvivenza, ma insegnamento spirituale.
Nell’explicit compare per la prima e ultima volta l’io poetante («un’eternità che non so»), a completare il quadro di questa sommessa testimonianza dell’ineluttabilità della vita/morte, dell’umana limitatezza di fronte all’imponderabile, della comparsa di inattesi soli in grado di dissipare, almeno per brevi istanti, le tenebre del non sapere.

 

Davide Cortese è nato nell’isola di Lipari nel 1974 e vive a Roma. Si è laureato in Lettere moderne all’Università degli Studi di Messina con una tesi sulle Figure meravigliose nelle credenze popolari eoliane. Nel 1998 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, titolata ES (Edizioni EDAS), alla quale sono seguite le sillogi: Babylon Guest House (Libroitaliano) Storie del bimbo ciliegia (Autoproduzione), Anuda (Aletti, in seguito ripubblicato in versione e-book da Edizioni LaRecherche.it), Ossario (Arduino Sacco Editore), Madreperla (LietoColle), Lettere da Eldorado (Progetto Cultura), Darkana (LietoColle), Vientu (Poesie in dialetto eoliano – Edizioni Progetto Cultura), Zebù bambino (Terre d’ulivi edizioni), Tenebrezza (L’Erudita). I suoi versi sono inclusi in numerose antologie e riviste cartacee e on-line, tra cui «Poeti e Poesia», «Nazione Indiana», «Poetarum Silva», «Atelier», «Inverso» e «Alma Poesia». Nel 2004 le sue poesie sono state protagoniste del “Poetry Arcade” di Post Alley, a Seattle; nel 2015 ha ricevuto in Campidoglio il Premio Internazionale “Don Luigi Di Liegro” per la Poesia. Cortese è anche autore di due raccolte di racconti, Ikebana degli attimi (Firenze Libri) e Nuova Oz (Escamontage), del romanzo Tattoo Motel (Lepisma), della monografia I Morticieddi – Morti e bambini in un’antica tradizione eoliana (Progetto Cultura), della fiaba Piccolo re di un’isola di pietra pomice (Progetto Cultura) e di un cortometraggio, Mahara, premiato dal Maestro Ettore Scola alla prima edizione di “Eolie in video” nel 2004 e all’”EscaMontage Film Festival” nel 2013. Ha inoltre curato l’antologia-evento YOUNG POETS * Antologia vivente di giovani poeti, Gioia – Antologia di poeti bambini (con fotografie di Dino Ignani, Edizioni Progetto Cultura) e Voce del verbo vivere – Autobiografie di tredicenni (Escamontage).

 

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