Caro Giorgiomaria,

una delle accezioni di simbolo che metto ultimamente alla prova è il suo essere alla fonte di una vita ulteriore e altra rispetto alla prima nascita fisica, quindi alla fonte della seconda nascita indispensabile all’intensità reale della vita intellettiva e spirituale, che altrimenti – senza seconda nascita – sarebbe una pallida animula.

Forse vi sono umani che potrebbero dirsi umani simbolici più di altri, e la cui vita getta-insieme nel fuoco vivente che la nutre immagini e figure germinali o in origine lontane tra loro e ne trae creazioni nuove, anche solo qualità nuove, tempi e spazi diversi, vie di conoscenza. Non sono queste le “nascite latenti” di Rimbaud, che dice: «Je fixais des vertiges»?

Naturalmente gli “umani simbolici” sono quelli che infrangono di più i confini dell’orizzonte umano, che amano cercare oltre questo orizzonte, che esercitano l’abbandono (la Gelassenheit di Böhme) in vista di quest’oltre, che potrebbe anche essere un Amore disumano e transumano (lo dico perché sono presa dal pensiero di Hadewijch).

L’infrangimento dei sigilli è il lavoro del Symbolon, un dio che compone insieme cose di un ardire inaudito: un dio delle nascite – che dà origine alle seconde nascite. […] La generazione della Vita, dice il Mirifico con insistenza, è «una lotta e un lavoro permanente».

Un abbraccio,
Rubina Giorgi (da una lettera in prefazione a La consegna delle braci)

da La consegna delle braci (Luca Sossella Editore 2021)

 

da La promessa focaia (2017 -2019)

 

«I simboli sono fessure»

ripeteva.

*

A Remo Pagnanelli

Verità esige il convenire
nell’albore dello strappo.

Fosse l’incrinatura talento       o
germoglio, baderesti a piantare
erosioni per inginocchiarle alla
specie degli inizi.

(e non un presagio         rimasto
inviolato,                         neppure
l’augurio di chiamare
segnatura
lo screpolarsi delle cose)

*

 

***

da Il detto e la carie (2018 – 2020)

 

A S.

Non di meno, s’annoda nel cero
il buio innesto della luce:
la miccia.

A gioia, poi, vien data sembianza
di rammendo.          Si pensa:

è saldatura,            giovenca per
il latte del mondo.

Oppure smalto sull’ortaglia
scolorita.

E noi, abbarrati
nei versi,              diciamo realtà
la lacrima
che ci cola dall’occhio:
nient’altro,
nient’altro.

*

Nota alle parole levigate:

Pensare la promessa come l’aver luogo
dell’incompiutezza nel compiuto,
l’estrema possibilità – da rinnovare
ad ogni ora – di non restare chiusi da
nessuna delle due parti del crinale.

***

da Congedo

Da dove si entra nella poesia? Per quale luogo? È noto come alcune raffigurazioni della resurrezione di Gesù – appartenenti in particolare al Basso Medioevo – mostrino la piaga del costato ancora sanguinante. Nonostante il trionfo sulla morte, le ferite del Salvatore non si sono rimarginate: esse conservano questa aporia di un trascorso mai completamente trascorso, di un qualcosa che qui si mantiene fra il corrotto e l’incorruttibile senza tuttavia appartenere davvero a nessuno dei due: «dux vitae mortuus, regnat vivus» recita la sequenza pasquale Victimae paschali laudes («il Re della vita, morto, regna vivo»). Allo stesso modo, in ogni poesia si entra proprio attraverso quella ferita che, nonostante la trionfante compiutezza dell’annuncio, continua imperterrita a sanguinare – a conservarsi aperta

 

Giorgiomaria Cornelio (1997) ha fondato insieme a Lucamatteo Rossi l’atlante Navegasión, inaugurato con il film Ogni roveto un dio che arde durante la 52a edizione della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro. La loro Trilogia dei viandanti (2016-2020) è stata presentata in festival e spazi espositivi internazionali. Cornelio è redattore di “Nazione Indiana”. Suoi interventi sono apparsi su “Le parole e le cose”, “Doppiozero”, “Il tascabile”, “Antinomie”, “Il manifesto”. Ha vinto il Premio Opera prima con la raccolta La Promessa Focaia (Anterem, 2019). Per Argolibri, ha curato La radice dell’inchiostro – dialoghi sulla poesia. Insieme a Giuditta Chiaraluce ha ideato il progetto Edizioni Volatili. Ha studiato al Trinity College di Dublino

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