Dalla Prefazione di Ivan Crico

Un verbo ricorrente, che intesse, in modo quasi ossessivo, l’intera raccolta: dire. Lo sforzo, la tensione estrema di dire il presente, di dire la luce, il brivido, la noia, la coscienza di dire la fine, «pensare di dire / soltanto, e non cosa», con un dire inceppato, un «dire attraverso». Nel componimento finale questo bisogno di dire, si afferma, «non è ansia di aderire, o nominare». Un dire che dunque non definisce, cristallizza, cataloga, impone una sua definitiva lettura di ciò in cui si imbatte, ma un dire in perpetuo movimento verso e attraverso la realtà: una parola nomade cosciente di fiorire «da luoghi mai davvero appartenuti».

Da Queste poche parole (Vydia 2023)

Dire questa luce che incontra. L’ombra del portico,
la maglietta fradicia, il brivido. Dire la noia
dentro l’asfalto, lo sforzo dei condizionatori.

Ancora, la fatica di tacere, l’erba falciata
per chi non c’è più. Penseremo sia giusto
così. Stringeremo le mani e nelle mani
poche fotografie, che sono volti, luoghi
e hanno smesso di assomigliare. Ancora.

(Saremo qui, per dire ora. Ma queste labbra
non sanno più sorridere.)

*

Rimane lo sguardo, ci spiegano, anche
nel non poterlo condividere. Dentro un dire
inceppato, il senso insiste, slogato,
insiste nei suoni.

Quanto corpo è starti
di fronte, in questo solo mostrarsi possibile.
Come cose vissute per errore, le frasi
che si dicono e basta. «Su, ancora un sorso,
hai tutte le labbra secche».

*

Il pavimento non scricchiola. Fuori è un solo rumore
sui vetri, per cancellare. E i panni puliti, piegati
sulla sedia, il loro profumo ovunque.

Poi tu, sempre. Un’altra camera è la fodera
dei giorni, altro bianco a coprire il ritardo
di un dolore.
Ma deve restare pulita
la pelle, la forma dello scheletro nei gesti,
pochi, che restano da consegnare.

Entrano piano adesso, mi ripetono
la fine. Se il tuo stare è ancora
una promessa, non so più di cosa.

*

Giorni venuti così, e poi anni,
a imitare un futuro. Questo siamo
diventati. Dentro una lingua mancata,
nelle azioni precise, imparate in silenzio.

Siamo stati gli occhi sulle mani che smettono
e mostrano il vuoto. Le voci, le luci gialle
dei bar. Sempre è il gelo dei cortili, infilato
sotto i vestiti. L’andare dentro il restare.

Ma essere qui non è ansia di aderire, o nominare.
Se l’albero anche quest’anno fiorirà, verremo
da luoghi mai davvero appartenuti. E noi,
queste poche parole. A volte è soltanto
potersi dire attraverso.

 

Enrico Giacomini è nato a San Daniele del Friuli nel 1995. Suoi testi poetici e interventi sono apparsi sui siti di “Charta Sporca”, “Pordenoneleggepoesia”, “Poesia del nostro tempo” e nelle riviste Digressioni n. 9 e Poetikon – Poesia contemporanea slovena. Ha partecipato a numerosi reading e festival, tra cui l’edizione 2020 di Pordenonelegge. È stato curatore per “Poesia del nostro tempo” della rubrica di videointerviste “Dialoghi”. Per Vydia è in uscita nella collana di poesia Nereidi Queste poche parole (IV Premio Gianmario Lucini).

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