“Earthrise”, di William Anders,  da Apollo 8, 24 dicembre 1968

 

 L’esplorazione spaziale nella poesia italiana. Parte Prima: la Terra vista dalla Luna(1)

 

Il lancio dello Sputnik 1, il primo satellite artificiale mandato in orbita intorno alla Terra il 4 ottobre 1957 dal cosmodromo di Bajkonur, oggi in Kazakistan, dall’Unione Sovietica, è l’evento che apre convenzionalmente l’Era Spaziale o, meglio, col senno d’oggi, la prima era spaziale(2), che va dal lancio dello Sputnik all’ultima missione lunare sovietica del 1976

Ciò che, anche nello sguardo degli scrittori, sembra caratterizzare questa fase ed emergere nelle coscienze e poi nella letteratura (comunque in modo abbastanza marginale) è lo shock che hanno prodotto le prime immagini della “Terra vista dalla Luna”(3). Una vera e propria rivoluzione che, dopo quella di Kopernik, riconfigura la posizione della Terra e dell’umanità nell’Universo, avviando uno stravolgimento che è tuttora in pieno fermento e lo sarà ancor più nel futuro: la cosmologia, lo studio degli esopianeti, l’astrobiologia determinano potenti scosse che dall’epicentro scientifico si propagano alla superficie filosofico-umanistica (o viceversa, scegliete la metafora che più vi convince).

L’indagine letteraria (scatola magica dove ogni disciplina dello scibile ha trovato posto, tra filosofia e storia, religione e psicologia, scienza e spiritualità ecc…), si è esercitata in maniera sbilanciata tra narrativa e poesia, a favore della prima. E non solo, ovvio, perché alcuni generi, e in primis la space opera, sottogenere della fantascienza, ne fa addirittura l’elemento centrale.

Lo sguardo prevalente della poesia in questa sfera si è orientato, più che con attenzione alla tecnologia o al viaggio epico, su una prospettiva cosmica, in un certo senso di memoria pascoliana («E la terra sentii nell’universo/ sentii fremendo, ch’è del cielo anch’ella./ E mi vidi quaggiù piccolo e sperso, errare tra le stelle, in una stella».(4)

Con tal senso vanno letti i versi di Sergio Solmi, autore dalla «attenzione vorace e fanciullesca alla modernità tecnica e sociale» (Pier Vincenzo Mengaldo). Solmi, che è anche considerato uno degli scopritori in Italia della science fiction, riusa e aggiorna i modelli seicenteschi fantastici del viaggio sulla Luna(5) e della visione della Terra dallo spazio. Il topos del viaggio fantastico sulla Luna sarebbe stato introdotto in Storia vera da Luciano di Samosata nel II sec d.C. ed ereditato, oltre che nel celebre viaggio ariosteo di Astolfo (1516), tra gli altri, nel Somnium sive de astronomia lunari scritto da Kepler nel 1609 e nel Copernico, composto da Leopardi nel 1827 e inserito nella terza edizione delle Operette morali (1835). All’inizio degli anni Cinquanta, e quindi prima ancora dell’avvio della “corsa alla conquista dello spazio”, nello scrivere Levania(6) Solmi pone in esergo, proprio il Somnium di Johannis Kepler (che usa la metafora di Levania per indicare la Luna). È l’ultima strofa quella che ci interessa:

Levania, di Sergio Solmi

quinquaginta millubus miliarum Germanicorum
in aeteris profundo sita est Levania insula
(Joannis Kepleri Somnium seu de astronomia lunari 1634)

« […]
E sovente dai supremi bastioni
di Levania il verdeggiante
pianeta ho contemplato, l’ombra vaga
di oceani e di foreste, della vita
impetuosa e fuggevole le polle
iridescenti – risalendo l’orlo
dei suoi convulsi crateri, vagando
lungo la sponda dei suoi mari morti.»

Sguardo simile è quello di Eugenio Montale, che affida ai versi una riflessione suscitata dalla vista della Terra dallo spazio:

Fine del ’68, di Eugenio Montale

«Ho contemplato dalla luna, o quasi,
il modesto pianeta che contiene
filosofia, teologia, politica
pornografia, letteratura, scienze
palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo,
e io tra questi. E tutto è molto strano.
[…]»(7)

Nell’avvincente saggio “Il telescopio della letteratura. Gli scrittori italiani e la conquista dello spazio”(8) Alessandra Grandelis fa compiere al lettore «Un viaggio – in compagnia di Tommaso Landolfi, Dino Buzzati, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Primo Levi, Italo Calvino, Sergio Solmi, Andrea Zanzotto, Vincenzo Consolo, Gianni Rodari, Paolo Volponi, Guido Morselli, Oriana Fallaci, Dacia Maraini, Anna Maria Ortese, Alfonso Gatto, Guido Piovene, Goffredo Parise, Carlo Fruttero, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Lucio Piccolo.» Tuttavia, al netto degli interventi d’attualità, di interviste e opinioni, articoli e saggi, prose e racconti, i testi in versi costituiscono di fatto una rarità. Come appare dagli esempi citati, inoltre, le poesie si sviluppano senza significative concessioni a contenuti o linguaggi tecnico-scientifici. Anzi uno dei temi più frequentati è quello della mutazione del valore simbolico e poietico della Luna, da astro caro ai poeti a freddo corpo pietroso.

Neppure frequenti sono le poesie dedicate all’astronautica strictu sensu, che reperterò in un successivo articolo, spostandomi allora verso frontiere cronologiche più vicine e confini spaziali invece più lontani.

Quasi a ponte tra le fasi della corsa alla Luna e quella successiva – popolata da navicelle indagatrici del sistema solare, da radiotelescopi e da telescopi spaziali, Primo Levi, con la sua natura ibrida, da “centauro” letterato-scienziato, merita una citazione, pur breve rispetto alla rilevanza nella sua poetica del tema trattato. Dalla lettura di un articolo dello scienziato Kip S. Thorne dal titolo The Search for Black Holes, apparso nel 1975 sulla rivista «Le Scienze», edizione italiana di «Scientific American», Primo Levi trae spunto per la scrittura di uno dei componimenti centrali della sua raccolta(9) : Le stelle nere. Articolo, quello di Thorne, certamente influente per Levi – e per la sua articolata e profonda analisi trasversale – al punto da essere inserito in La ricerca delle radici(10),  un’antologia che raccoglie brani degli autori che più hanno contato nella sua formazione enciclopedica, ove si incrociano gli interessi scientifici con quelli umanistici.
La visione di un universo minaccioso e, in fin dei conti, inutile, già che il “seme umano” in esso vive e muore per nulla, contrasta con la necessaria forza indagatrice della scienza.

Le stelle nere, di Primo Levi

Nessuno canti più d’amore o di guerra.

L’ordine donde il cosmo traeva nome è sciolto;
Le legioni celesti sono un groviglio di mostri,
L’universo ci assedia cieco, violento e strano.
Il sereno è cosparso d’orribili soli morti,
Sedimenti densissimi d’atomi stritolati.
Da loro non emana che disperata gravezza,
Non energia, non messaggi, non particelle, non luce;
La luce stessa ricade, rotta dal proprio peso,
E tutti noi seme umano viviamo e moriamo per nulla,
E i cieli si convolgono perpetuamente invano.

Osserva Belpoliti(11): «L’espressione buchi neri non è usata né nel titolo né nei versi. Levi preferisce la dizione classica di stelle nere; la poesia ha un andamento classicheggiante, sebbene costellato di alcuni termini di origine scientifica, entrati tuttavia ormai da tempo nel lessico comune (energia, messaggi, particelle, atomi)».

La riflessione di Primo Levi, a seguito degli studi astronomici degli anni Settanta è esemplare, quantomeno circa lo sconvolgimento dell’interpretazione tradizionale del rapporto terra-cielo e poco prima Terra-Luna. Luca Florio, in un saggio fondamentale per capire il pensiero di Levi (e del poeta, in senso ampio), dal titolo Il buco nero della poesia. Versi e vortici celesti in Primo Levi (12) riporta, tra i molti, alcuni passaggi che somigliano a una sentenza, epocale ed irrevocabile:

«Le “vaghe stelle dell’Orsa” sono quelle che ridavano pace a Leopardi, la W di Cassiopea, la croce del Cigno, Orione gigantesco, il triangolo di Boote affiancato dalla Corona e dalle Pleiadi care a Saffo, sono ancora sempre quelli, abbiamo imparato a conoscerli da bambini e ci hanno accompagnato per tutta la vita. È il cielo “delle stelle fisse”, immutabile, incorruttibile; l’antagonista del nostro mondo terrestre, il nobile-perfetto-eterno che abbraccia e avvolge l’ignobile-mutevole-effimero.
Continuare a osservare le stelle [e la Luna e la Terra, ndr] in modo così ingenuo e primitivo è impossibile:
Il cielo dell’uomo d’oggi non è più quello. Abbiamo imparato ad esplorarlo con i radiotelescopi, ed a mandare in orbita strumenti capaci di cogliere le radiazioni che l’atmosfera intercetta: […] il cielo si sta rapidamente popolando di una folla di oggetti nuovi, insospettati».(13)

 

Note

  1. La Terra vista dalla Luna è il titolo di un mediometraggio di Pasolini, inclusa nel film collettivo Le streghe, del 1966 (en passant è anche il titolo di un testo-canzone di Tiromancino, ma decisamente posteriore, 2007)
  2. Ai tempi della mia scolarizzazione primaria, la storicizzazione convenzionale era tripartita (Evo antico, medioevo ed evo moderno) e ricordo la suggestione di essere entrati d’emblée nell’Era Spaziale. Ora pare che questa venga considerata una fase dell’Era Contemporanea (e che, dagli Anni 90 si sia entrati nell’Era della comunicazione). Restano aperte le discussioni sull’inizio di questa (1789, Rivoluzione Francese? 1815, Congresso di Vienna?). Questioni, comunque, non centrali ai fini di questo articolo
  3. La prima fotografia della terra vista dalla Luna venne scattata il 23 agosto 1966, alle 16:36 ora del meridiano di Greenwich, dal satellite Lunar Orbiter I. Il 24 dicembre del 1968 l’astronauta William Anders, nel corso della missione Apollo 8, scattò la prima foto a colori del mostro pianeta dall’orbita lunare, la celebre “Earthrise”, una delle “100 fotografie che hanno cambiato il mondo”
  4. Giovanni Pascoli, Il bolide, in Canti di Castelvecchio, 1903
  5. Emanuele Zinato, Il riuso del viaggio lunare seicentesco: Solmi e Landolfi, in Moderno e modernità: la letteratura italiana- Atti del XII Congresso dell’Associazione degli Italianisti, Roma, 17-20 settembre 2008, a cura di Clizia Gurreri, Angela Maria Jacopino, Amedeo Quondam, Edizioni Università Sapienza di Roma, 2009
  6. Sergio Solmi, Levania e altre poesie. Con una nota di Vittorio Sereni, Ediz. Mantovani, 1956
  7. Eugenio Montale, Satura, Mondadori, 1971
  8. Alessandra Grandelis, Il telescopio della letteratura. Gli scrittori italiani e la conquista dello spazio, Bompiani 2021
  9. Primo Levi, A ora incerta, Garzanti, 1984
  10. Primo Levi, La ricerca delle radici, Einaudi, 1981
  11. Marco Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, Guanda, 2016, pag. 579.
  12. Luca Florio, Il buco nero della poesia. Versi e vortici celesti in Primo Levi, Aura 1/ 2022. pagg. 13-25
  13. Primo Levi, Opere, 2 voll., a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, 1997, Vol. II, pag. 787

 

 

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