Immagine di Rahul Pandit

Intervento tenuto alla III ed. del Festival di poesia Paolo Prestigiacomo (2023) – San Mauro Castelverde

 

Il desiderio è da tempo al centro dei miei interessi e letture, anche per il suo intrinseco rapporto con la vita. Come quest’ultima, infatti, si possiede senza possederlo, è una sorta di presenza che ci abita e ci determina senza che questa permanenza si traduca mai in una possibilità reale e concreta di controllo sulle sue istanze e dinamiche. Il desiderio, anche, lavora come disvelatore rispetto alle slogature o meglio alle mistificazioni identitarie: non è mai solo nostro, è desiderio di qualcosa che desiderano altri, si nutre del mio sguardo sull’altro/a (Girard ha spiegato bene questo meccanismo con il concetto di “desiderio mimetico” nel denso saggio Shakespare. Il teatro dell’invidia, Adelphi 1998); il desiderio è desiderio di suscitare desiderio nell’amato/a (Lacan, durch Alexandre Kojève). Proprio la natura rivelatrice del desiderio rispetto alle trappole identitarie conduce a una riflessione: il desiderio può riguardare l’io narcisistico o una collettività – più o meno estesa.

Nella ricerca poetica di Giancarlo Majorino il desiderio mira a una totalità intesa in senso poetico-estetico e politico. Attraverso la meditazione approfondita e continua di Hegel, Majorino ritiene che le parti della realtà debbano entrare in dialogo e scambio per superare la loro istanza parziale, lungo le tappe della famosa triade “tesi-antitesi-sintesi”. E in effetti Majorino è stato, insieme ad Andrea Zanzotto, l’autore della nostra tradizione poetica più fedele all’idea di una sperimentazione continua, sempre tesa, quindi, a mettere in dubbio gli assunti della realtà, a farli intervenire in quella contrattazione di senso che è il linguaggio (e quindi la scrittura, poetica ma non solo). Poeta proteiforme, aperto alle più ampie contaminazioni, Majorino non ha mai voluto mettere la parola fine alla sua ricerca, non si è assestato su una formula o un modus che potessero dare forma ad un mondo interiore posto in relazione con una realtà dissonante, quella metropolitana – e di una metropoli dominata dal terziario come Milano – tenuta in piedi da equilibri precari (il titolo di una sua raccolta, Equilibrio in pezzi, è in questo senso una dichiarazione di poetica che vale per tutto l’arco della sua scrittura). Una ricerca totalizzante, aperta alla realtà, punto fermo della ricerca del poeta della Capitale del Nord, che non a caso intitola la sua antologia poetica Poesie e realtà.

La realtà per Majorino, che la guardava con occhi di un autore non certo ancorato alla tradizione ma pienamente novecentesco, è il prender forma misterioso, ambiguo, delle diverse parti che compongono il sé, l’io che tanto più è scisso tanto più si arrocca su posizioni di difesa identitarie; ma di fronte a una realtà violentemente sconnessa il poeta milanese, sulla scorta di Hegel, prova la via della totalità. Una via vagheggiata soprattutto attraverso il poema, un testo su cui Majorino lavorò grossomodo dagli anni Settanta fino al 2008, anno di pubblicazione. Viaggio nella presenza del tempo è stato definito dal critico Alfonso Berardinelli in un saggio critico “una sconfinata, incurabile patologia”; in effetti, il poema si presenta come un insieme di scritture, un enorme spazio aperto in cui i flussi di coscienza, i tic, i pensieri autonomi ed eteronomi sono inseriti in una palta linguistica in cui le scritture liriche, saggistiche, prosastiche, i dialoghi, i monologhi si mescolano senza soluzione di continuità, lungo la strada, ambiziosissima, di portare a compimento e unità tutti i tempi, pur nella schizofrenia di cui questa operazione risentiva. In questo, Giancarlo Majorino è stato un poeta “con-temporaneo”, nel vero senso del termine, ovvero capace di riunire nel presente anche il passato e il futuro. Viaggio nella presenza del tempo è quindi il tentativo di fare in modo che ogni attimo sia denso di tempo ampio, diventi uno “spazio tempato”, come lo definisce lui stesso ad inizio opera – con uno di quei “concetticona” (come li definiva lui) in grado di creare ipostasi e riassumere zone di idee ampie e stratificate – ovvero un insieme di aperture entro cui vedere riflessa una totalità vagheggiata.

L’idea hegeliana totalizzante può sostanziarsi in quella che lo stesso Majorino ha definito “l’epoca del gremito”, quindi l’epoca dell’accumulazione di oggetti, solo come totalità scissa internamente, franta, sgemba. Del resto, come ha sottolineato Slavoj Žižek in un saggio dedicato a Hegel, Hegel e il cervello postumano (Ponte alle Grazie, Roma 2021) lo stesso filosofo tedesco quando parlava di totalità non alludeva affatto a un orizzonte perfettamente omogeneo, amalgamato, compostato, appunto, ma ad un insieme di brandelli che tentano la via unitaria pur non dimenticando l’impossibilità dell’operazione:

Per Hegel l’Uno dell’autoidentità non è solo sempre contraddittorio, fratturato, antagonistico, ecc,. L’identità stessa è affermazione della radicale differenza (da sé).
(S. Žižek, Hegel e il cervello postumano, Ibidem)

Un’operazione poematica modernista, quella compiuta da Majorino – che in questo percorre la stessa via tentata da Pound e Eliot – la quale non può che mostrare l’impossibilità del poema, il suo essere minato intimamente da un morbo che lo corrode, per tornare alla definizione di Berardinelli. Le vie di ricomposizione dove si pacificano i perimetri – mettendo a tacere le spinte eteronome o centripete – sembrano spesso forzature, rilasciano un suono metallico di fondo, non tornano e sono forse sorrette da un’ingenuità di base. Fra il Novecento e il Duemila il poema non può che descrivere il suo fallimento, la sua ambiguità, il suo contraddire i termini che si era dato. Se vuole essere veramente attaccato ai tempi, se vuole scriversi con i tempi.
Questa lezione, non semplice da cogliere, difficile da assimilare, ci ha lasciato Majorino a inizio Duemila.

 

Laura Di Corcia è poeta, critica teatrale e letteraria. Ha pubblicato tre raccolte poetiche. L’ultima, Diorama (Tlon, 2021), ha vinto il Premio Terra Nova 2022 (Premio assegnato dalla Fondazione svizzera Schiller) ed è stata finalista di diversi premi nazionali italiani (Premio Tirinnanzi e Premio Montano). È inserita in diverse antologie in Italia e all’estero. Scrive radiodrammi per la Radiotelevisione della Svizzera italiana e fa parte del Comitato delle Giornate letterarie di Soletta.

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