Dalla descrizione della casa editrice

Agreste è un silvario in versi e radici, un inventario – nel senso di galleria, accumulo,  raccolta ma anche fucìna d’invenzioni – di parole, nel quale realtà e immaginazione si nutrono l’una dell’altra, scambiandosi, incrociandosi, gemellandosi, rincorrendosi o ingannandosi. La matita del poeta si sospende ora in un sogno, ora tra le righe di un romanzo, nell’intimità di un uomo qualunque, nella corteccia di un albero o in un incauto tentativo di dialogo con un animale. Ma la domanda che sobilla le creature qui ritratte è sempre la stessa, declinata in vari modi: Chi o che cosa sei? Chi o che cosa puoi essere oggi? Come puoi vivere? Di che cosa puoi vivere? La scrittura di Tiziano Fratus, dettagliatamente legata ai grandi alberi e alla meditazione in natura, abbonda di campagne, boschi, fiori ed erbe, una ruralità che è ricerca di autenticità, ma che si infiltra anche nei palazzi delle periferie, nelle terre distanti, nei ricordi, nelle ipotesi, in tante distinte eventualità.

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Una delle voci più originali del nature writing in Italia, Tiziano Fratus è anche qualcosa di più: è un poeta radicale, un cercatore d’alberi, un filosofo che pensa e trova i suoi pensieri nei boschi. La sua dendrosofia è l’augurio di una saggezza arborea in cui tutto dialoga con tutto: radici, foglie, uccelli, insetti, suoni, umori, tempo. [Serenella Iovino]

 

Da Agreste. Silvario in versi e radici (Piano B edizioni 2023)

ERBARIO DOMESTICO

Il filosofo antico diceva: e il mondo accade
oltre la finestra, oltre le nostre strade, oltre
le nostre lingue a forma di statua greca.
Potremmo dire che vige uno strabismo
domestico, nuovo strabismo umanoide:
dalla luce ovattata delle nostre stanze
le montagne sembrano piccole e noi grandi,
ma quando ci avventuriamo, al di fuori,
al di là, oltre, le montagne sono grandi
e noi siamo così piccoli, tutto il nostro
dizionario sta nel palmo di uno scoiattolo,
nell’incavo di un tronco di frassino,
in una manciata di muschio strappato.
Possiamo continuare a tatuarci addosso
modeste poesie rivelatrici, profetiche,
ma tutto quel che possiamo è rincorrere
nelle nostre ombre architettoniche
la profondità del buio, il mistero della notte

L’UOMO CHE MANGIAVA LE RONDINI

C’era una rondine che entrava ed usciva
dalla sua piccola testa di montanaro,
nidificava e accudiva i cuccioli pigolanti
con la pazienza del ragno violino, che gioia
negli occhi per tutta quella festa gratuita!
un carnevale che fioriva dall’alba al
tramonto, e quando s’incamminava tra
la gente dissimulava fischiettando, per
non farsi accorgere, nel paese le rondini
le avevano scacciate, non le volevano,
sporcano diceva qualcuno, portano malattie,
dicevano altri, sono vestite di nero come
certi becchini che è meglio suvvia non
avere proprio sulla porta di casa. A ottobre
piangeva puntuale come il mal di ossa
al cambio di luna, tornate! tornate! ripeteva
ogni volta e preparava all’arrivo ruminoso
dell’inverno, incortecciandosi come un vecchio
tiglio da cimitero, perdeva le foglie e le parole
pietrificavano: la neve stava per inventarsi

PAESAGGIO CON DONNA RUPESTRE

Lei non aveva più niente a che vedere con le persone,
le persone per dire la gentaglia del paese, i cittadini
come li chiamano, con quel tocco d’ironia nera che
vige da queste parti, coloro che vivono nelle borgate,
negli accrocchi di case fuori, lontano, distante.
La sua mole animalesca l’aveva resa un bersaglio,
le facili battute dei ragazzoni, i fianconi generosi,
il seno prosperoso, la faccia tonda e la pelle rubizza,
il suo caratterone campagnolo, il sesso facile e veloce,
gli inviti per le scampagnate d’una sera senza molto altro.
Si era divertita, ai tempi, poi era rimasta incinta,
non si sa di chi, non l’ha mai voluto ammettere,
e ora vive, la grande madre scavando terra, coltivando
un orto, accudendo le galline, nella fattoria dei suoi,
e sua figlia assomiglia miracolosamente ad un giunco,
sottile-sottile, delicata come un occhio di Madonna.
Ogni mattina la vede partire per la scuola, la cartellina
rossa sulle spalle, i suoi piedini che avanzano e si dice:
Speriamo che la tua vita sia degna, che Iddio ti protegga

POETA SENZA SORRISO

Quando pensava alla grazia della poesia
non vedeva i libri, non sognava i premi,
non contava la lunghezza dei bei titoli.
Quando pensava alla grazia della poesia
insomma, alla vita di un vero poeta
pensava soltanto all’innamoramento,
a quel sentimento vasto, concentrato,
quella pioggia fitta che sul momento
sembra che non finisca mai, mai, mai.
Indovinava un tizio, un po’ come era
diventato lui adesso, i capelli corti e
ordinati, le mani composte, la giacca
invernale anche a primavera, cose così.
Quando pensava alla grazia della poesia
vedeva un uomo seduto a un tavolino,
in un bar, un amico appena andato via
dopo un saluto sinceramente affettuoso,
e lui restava lì, ancorato in una nube
di sedie vuote, bicchieri, tazzine da caffè;
il barista robotico che mette ordine,
finestre lustre, una sala piena di sole
e fuori il mondo che respira, lui dentro
e i passi, i volti, le automobili volanti,
rondini e piante sintetiche, là fuori,
tutto dipinto dalla mano di un Vermeer

GLI ALBERI NON INVECCHIANO

Il tuono avverte le radici degli alberi:
siate pronti alla nuova fine del mondo.
Ma gli alberi sanno di non potersi fidare,
gli alberi imparano a fare presa tra i sassi,
ad allungarsi capovolti in una tenebra
shakespeariana senz’occhi, senza pensieri.
Gli alberi crescono ma non invecchiano,
restano bambini per sempre, non sanno
prendere sul serio le cose che capitano:
perché mai farsi seriosi, corrucciati,
perché mai non ridere delle montagne e
degli oceani, delle comete e degli inverni,
a che serve farsi saggi quando alla fine
tutto accade senza ragione, ora sei e poi
non sei più, io, tu, noi, tutti, siamo quel
che siamo, siamo quando sentiamo

 

 

Tiziano Fratus (Bergamo, 1975), buddista agreste e nomade editoriale, è autore di un vasto silvario cucito “tra la carta e la corteccia”, composto da una quarantina di titoli; poco più che ragazzo, durante un viaggio in California, ha incontrato le sequoie millenarie e ha coniato i concetti di Homo radix, dendrosofia e selva itinerante che hanno ridefinito la sua vita; attualmente vive nella campagna piemontese, alle pendici delle Alpi Cozie. Tra i suoi libri si ricordano Sutra degli alberi, Piano B edizioni (2022), Ogni albero è un poeta, Oscar Mondadori (2022), Alberi millenari D’Italia, Idee Feltrinelli Gribaudo (2021), Sogni di un disegnatore di fiori di ciliegio, Aboca (2020), Giona delle sequoie, Bompiani (2019).

 

 

 

 

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