Poetica more geometrico demonstrata 

Definizione derivata dalla proposizione n. 2

La forma poetica è il tì estìn, la definizione non definitoria, perché la poesia non può mai essere racchiusa in una coercizione univoca e data una volta per tutte, in un’ermeneusi definitiva, giacché appartiene al campo delle modificazioni del linguaggio, che di per sé nasce da istanze sì definitorie, ma consiste in un sistema aperto in cui l’assiomatica fine a sé stessa, di per sé, non regge.

Per comprendere compiutamente questo assunto, bisogna orientarsi un minimo nella storia della logica matematica almeno da Platone in poi. Proverò a chiarire la questione nel modo più accessibile e divulgativo possibile.

Per Hilbert, per Tarski, per Shoenfield, come per Aristotele, l’assiomatica è l’unico metodo valido della matematica. Secondo Shoenfield, infatti, “è chiaramente impossibile dimostrare tutte le leggi matematiche. Le prime leggi che uno accetta non possono essere dimostrate perché non vi sono leggi precedenti a partire dalle quali possano essere dimostrate”. [1] La differenza fondamentale tra tali studiosi contemporanei e Aristotele è che quest’ultimo ha sempre considerato l’assiomatica semplicemente come un metodo didattico; i primi, invece, l’hanno considerata un metodo di ricerca vero e proprio. Questo atteggiamento preclude il campo della ricerca successiva in direzione di una logica euristica (di ascendenza platonica) relativa ai sistemi aperti di contro al metodo assiomatico dei sistemi chiusi, come esemplarmente esposto da Carlo Cellucci nel suo Le ragioni della logica (Laterza 1998). Andiamo a spiegare con ordine quali implicazioni sorgono da quanto detto per il nostro discorso intorno alla natura del fondamento estetico della poesia.

Secondo Hilbert, sostenitore dell’assiomatica contemporanea, ogni disciplina scientifica può essere ridotta alla forma di una teoria assiomatica (pan-assiomatismo), laddove peraltro ogni disciplina scientifica è riconducibile alla matematica (pan-matematicismo). Questo astrattismo hilbertiano darà luogo agli ulteriori sviluppi filo-assiomatistici ma verrà in parte rigettato da Henri Poincaré, sostenitore del metodo intuitivo, in base al quale “se con la logica si dimostra, è con l’intuizione che si scopre”. [2] Da qui in poi, comincia ad affacciarsi nella logica contemporanea la possibilità di riesumare il metodo euristico platonico di contro all’assiomatismo di ascendenza aristotelica nelle sue estremizzazioni contemporanee, ovvero a concepire i sistemi logici come sistemi aperti invece che anapoditticamente chiusi.

Infatti, se i sistemi chiusi sono “isolati rispetto all’ambiente”, e “sono sistemi il cui stato finale è interamente determinato dalle condizioni iniziali”, allora sono anche sistemi “la cui evoluzione comporta il verificarsi di fenomeni che corrisponde in generale a una diminuzione di informazione”[3]. Ciò, detto per inciso, segna la somiglianza tra i sistemi logici chiusi e i sistemi fisici chiusi, quelli che seguono il modello della fisica classica.

Ebbene, la concezione di un mondo chiuso, come mal si adatta alla fisica contemporanea dei quanti, così mal si adatta alla poesia: l’assiomatica, di fatto, non la riguarda. Essa vive di istanze definitorie perpetuamente in fieri, a cui il campo d’azione della dimostrazione logica non si applica. Questo perché “il metodo assiomatico è un procedimento di generazione della dimostrazione che muove dall’alto verso il basso, dai principi alla proposizione da dimostrare”, ovvero “non è un metodo di scoperta bensì un metodo di giustificazione”, giacché il suo scopo non consiste nell’acquisire nuove conoscenze, bensì giustificare conoscenze già date per buone. Inoltre, nel metodo assiomatico “le dimostrazioni sono aspaziali, atemporali e acontestuali”, [4] perché devono risultare valide sempre come leggi generali. Nella poesia, al contrario, le conoscenze sorgono dal livello di comunicazione del principio analogico, il quale comunica spostando sempre in altro il senso rispetto al significato e fornendo interpretazioni del mondo legate allo spazio, al tempo, al contesto; nella fattispecie, alla dimensione storica e biografica dell’autore, al processo creativo dello stesso, determinato dalle proprie conoscenze pregresse e dalle proprie attitudini, nonché dalla dimensione psicologica e sociale in cui egli è o è stato immerso. Di contro al metodo assiomatico, che procede dall’ipotesi al fatto, il metodo analitico euristicamente procede dal basso verso l’alto, dal problema all’ipotesi. Le ipotesi, come nella pratica filologico-critica dell’analisi testuale, vengono trovate solo alla fine del percorso di ricerca sul campo, pertanto possono modificarsi nel corso della ricerca stessa per adattamento. Inoltre le ipotesi, in filologia come in analisi testuale, vengono individuate tramite inferenze di tipo non deduttivo, bensì induttivo, ovvero per successivi tentativi e scarti, anche attraverso l’errore, la scoperta fortuita, l’illuminazione improvvisa. Per questo, il metodo analitico (euristico) porta a una conoscenza sempre parziale, in fieri: si muove all’interno di un sistema aperto, di natura osmotica, in continuo interscambio con l’ambiente esterno.

Gli scambi continui con l’ambiente portano inevitabilmente i sistemi aperti a un aumento progressivo dell’informazione, contrariamente a quanto avviene nei sistemi assiomatici chiusi. È esattamente quanto accade alla poesia, che attraverso la forma delinea la propria natura in un’istanza definitoria ma mai definitiva: essa consiste in un sistema aperto vigente in base al principio analogico, il quale funge da chiavistello, come il passepartout che spalanca le porte dell’Oracolo nel corridoio di Matrix, permettendoci un salto estetico-logico dal senso al significato attraverso la natura comunicativa del linguaggio in forma di poesia. Il linguaggio, che esce dal proprio uso banale e quotidiano (il prosastico), si dice poesia laddove, quando e in quanto assume la forma che il principio analogico le fornisce in base all’esigenza del continuo spostamento dal centro del sistema aperto rappresentato dal linguaggio stesso verso semiosfere di significanza sempre altra: l’effetto che ne deriva è un continuo aumento di informazione, nelle modalità dell’emozione, del sentimento, dell’impressione (dimensione estetica) e, infine, trapassando nel teoretico, del concetto.

Diversi sono i poeti che tentano oggi di fondere sfera estetica e sfera teoretica applicando l’argomento scientifico alla poesia. Avendo gettato un occhio nel campo specifico della metodologia logico-matematica e avendola barbaramente applicata per i nostri fini al contesto estetico-critico del poetabile, mi piace proporre tre testi di argomento scientifico per sottolineare come, in poesia, forma e contenuto si determinino in corrispondenza di una linea estetica comune, all’interno (e sempre sul bordo) del sistema aperto più importante: il linguaggio. Ho scelto, all’uopo, Bruno Galluccio, Sergio Gallo e, per una volta, un mio componimento che mi sembra adatto al caso. Apriamo così uno sguardo poetico che prende le mosse dalle istanze della matematica, della biologia e dell’astronomia, in quel sincretismo tra poesia e scienza che già fu di Esiodo, di Lucrezio, di Dante.

Buona lettura.

1)J. R. Shoenfield, Mathematical Logic, Addison-Wesley, Readng, Mass. 1967, p.1.
2) H. Poincaré, Les définitions mathématiques et l’einseignement, POM, p. 137.
3) C. Cellucci, Le ragioni della logica, Laterza, Bari 2000, p. 195.
4) C. Cellucci, Le ragioni della logica, cit., p. 223.

 

Bruno Galluccio, da La misura dello zero (Einaudi 2015)

mi trovo in una strana prova
non riesco a spingerla al di fuori del tempo presente
non mi sporgo oltre gli assiomi
cado nello specchio che sto creando
e tu che guardi un panorama statico
dici e ripeti e fai cenni
ora il silenzio algebrico ha preso la stanza
metà del volume è suo
i filamenti che si dipartono dal foglio
non vanno da nessuna parte
non convergono come dovrebbero
al completo disegno del teorema

*

Sergio Gallo, Lepisma saccarina, da Corvi con la museruola (Lieto Colle 2017)

È in quel tuo apparire effimero
veloce lampo argenteo
di notturna creatura
che esposta all’improvvisa luce
fugge in cerca di riparo
o nell’argentea tua traccia
di sottili scaglie metalliche
lasciate sulle dita di chi
invano tenta di catturarti;
nel continuo inanellare di mute
che accompagnano da neanide
diafana a sfuggente imago
l’intera tua esistenza fragile
l’essenza dell’essere lepisma.
Quello stesso spirito
che sin dal tardo Siluriano
animava i tuoi illustri antenati,
tra i primi insetti
a colonizzare la terraferma.
Con cosa banchetterai oggi
zigzagando tra i detriti:
farina, forfora o francobolli?
Scaglie di pelle, fibre d’arazzi
rilegature di libri polverosi?
Avrai per dessert colla
a strati, inusitati
carboidrati o la tua stessa
dismessa esuvia?
È in quella strana danza d’amore
per attirare le femmine fino
al sericeo bozzolo di sperma,
la tua vita oltre la vita,
la tua vita oltre la morte.
Fuggendo ragni, millepiedi, forficule
a differenza d’estinte lucciole, cervi
volanti, sempre più rari lepidotteri… tu sì
che ci sopravviverai, insieme forse
a qualche robusto ratto delle cloache.

*

Sonia Caporossi, Indugiare in parallasse, da Taccuino della cura (Terra D’Ulivi Edizioni 2021)

«indugiare in {parallasse}
ammesso che L ≥ 2 sen p*d
dove l è la distanza fra i due amanti
d è la distanza del corpus amoroso sotto osservazione
p è il limite parallattico strumentale
nonché lo {spazio} di manovra
che viene a mancare a giorni alterni
come si misura la distanza di due corpi desideranti?
:: consideriamo le stelle ::
posta una distanza fra gli osservatori di 100 chilometri
1000000000 metri d’infinito che durano un solo istante
per la Luna, che è l’astro o il tarocco interessato
:: k= 3840 ::
ma se interviene marte a disturbare
a digitalizzare in pianto l’esatta misura del sogno
torniamo a un marzialissimo k= 780.000
per giove! (a cui, dal canto suo :: k= 6.280.000)
di fondante importanza permangono inoltre
le stelle di sfondo
immote, come sospese nel pulviscolo di leonardo
l’atmosfera indecidibile di un astratto tema natale
nonché, nell’ovvio, l’indice di rifrazione
ché se guardi la luna attraverso le lacrime
diventa cristallo
e un cristo di cristallo è fragile come il velcro
cioè permane a corto, diciamo, di profezie
bada all’etimo, {pro-phemì}, ch’è parlare al posto di
in vece di, di contro a, incontro al come, parola flessa
la grammatica suadente di uno scambio di visioni
ché se a sera noi ci apriamo non è solo coi bottoni
per ciò, suvvia, l’astronomia qui-ed-ora ci vuole
una minima mathesis d’astrazione del reale
per stemperare a turno la {sintassi} delle parole
fluenti a frotte sfibranti dal coperchio del cranio di dio
per dimenticare a turno
quando e come ci siamo incontrate
ci vogliono fisica, chimica, biologia
                         aut physika, alchemika, pathos
ma soprattutto la geografia (g)astronomica
che piglia in pancia, che apprende nel {ventre}
alambicchi inibitori come schermi di parvenza
hintergrundgeräusch fino a proxima centauri
e noi qui che sagittiamo, come {pesci} nel forcone
che soffriggono nel piatto di bilance senza fulcro
la cui unica funzione non è il peso, è leggerezza
quando emule di messier numeriamo le occorrenze
delle stelle che ci osservano dalla lista delle spese
non badando a calcolare né le entrate né le uscite
almanacco perturbante dell’ellisse in-orbitale
di due occhi che si guardano a distanza siderale
sospensione in-ebe-dita nell’acconcio di promesse
che son numeri reali, fino a che non integrali
ma tornando a bomba esplosa
ma per dirla proprio in breve
in soldoni, a babbo morto, a rima lieve ::
percorrendo quale p-brana
ci incontreremo la prossima volta
o, anche, tagliando la testa al toro
scapocchiandola all’ariete
archeotipos del paterno nei rimbrotti venuti male
:: nel vrum vruuum! dell’automobile
che passeggia in fila indiana ::
a che ora universale
su quale quadrante del pendolo informe
nel fuso orario di quale atropo bonaria
alla fine abbracceremo
la mia antitesi in {scorpione}, la tua sintesi {ascendente}
per un bacio interinale
e chissà che nome avrai?»

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3 Comments

  1. MASSIMO PAROLINI 08/01/2022 at 6:15 pm

    Ottimo intervento, affascinante nelle sue implicazioni… Bella anche la terna conclusiva dell’ibridazione poetica…

    1. Alberto 19/03/2022 at 1:14 pm

      ..il tre par ‘Stornare’ a genio..

      Salve

      Alberto

    2. Alberto 19/03/2022 at 1:23 pm

      Tentativo della prosa di far fiorire come un frattale l’origine del dramma percettivo ‘archetipico’..allontanandosene inevitabilmente verso un infinito così vicino.. così ipnotico ed artificiale..esplosivo e poi ..domani..domini intellettuali.
      Alberto Colgo.

      Buon Giorno
      Buon Pranzo..
      Salute