Aprire una rubrica destinata alla rilettura e alla riscoperta dei poeti dell’immediato passato è un gesto che non può essere compiuto forse che partendo da Roberto Roversi, così estraneo, programmaticamente e politicamente estraneo, alle forme di quell’industria culturale e ai sottoprodotti (che sono conventicole, gruppi, “scuderie” come ho sentito dire) che determinano il maggiore o minore successo di un autore, la sua durata sul breve periodo (sul lungo periodo, amava dire Keynes con umorismo britannico, siamo tutti morti).
Proprio per il programmatico rifiuto di assecondare il mercato editoriale e scegliere la nicchia che esso riservava ai poeti, un tempo più generosamente che ora ma senza troppo largheggiare, Roversi è sempre estato esposto al rischio di scivolare via dai canoni, dalle classifiche e in ultimo dalle letture dei posteri. La sua scelta di non pubblicare con grandi editori nessuno dei suoi libri seguenti alla raccolta di poemetti Dopo Campoformio e di produrre in proprio e al ciclostile quasi tutte le sue opere seguenti (affidate solo negli ultimi anni ad associazioni culturali o piccoli e piccolissimi editori) era da lui stesso riconosciuta come una strategia di guerriglia e insieme la ricerca di una più esatta comunicazione: precisamente il contrario di quanto avviene oggi quando lanciamo brandelli di testo nel vuoto dei social network o libri interi nel proliferare della stampa e dell’informazione. «Un canale diretto, meno viziato dal consumo e dall’ingorgo programmato» (1).
Diverso dal sottobosco di poeti di provincia, Roversi è invece stato protagonista di alcune delle grandi esperienze e stagioni del Novecento a cominciare da «Officina», la notissima rivista che redigeva con Pasolini, Leonetti, Romanò e che dalla Libreria Palmaverde, luogo leggendario di Bologna e sua sede di lavoro per tutta la vita, distribuiva. Faceva certamente parte, per letture, frequentazioni ed età, di quella generazione di scrittori intellettuali nati tra la fine degli anni Dieci e i primi Trenta che sono stati il nerbo della sinistra culturale e letteraria italiana della seconda metà del secolo e di essi condivideva la lucidità di analisi politica (anche dei più noti e canonizzati per questo come Pasolini e Fortini) e la convinzione che vi dovesse essere uno stretto rapporto tra prassi letteraria e prassi rivoluzionaria. La scelta però, dicevamo, di marginalità rispetto ai circuiti noti della letteratura lo mise nella condizione privilegiata di poter osservare, nell’arco della sua lunga vita (1923-2012) gli ampi, conflittuali e talora devastanti mutamenti politici, sociali, culturali e antropologici del nostro paese senza cedere alle mode e ai miraggi momentanei, come anche al gusto della profezia.
Roversi è forse l’unico autentico cronista in versi del Novecento e primo Duemila poetico italiano; i suoi testi, frastagliati e dispersi, si dispongono in ordine coerente e perfetto non appena li si voglia vedere come frammenti di un grande poema sulla storia delle sconfitte, delle speranze e dei tentativi di trasformazione della nostra società: in questo senso l’impresa fu esplicitamente tentata dal poeta nell’epos in tre parti L’Italia sepolta sotto la neve dove alla rimeditazione sul passato e alla descrizione del presente (caratteristiche affioranti soprattutto nelle altre due opere “maggiori” Dopo Campoformio e Le descrizioni in atto) si unisce la proiezione del futuro con tratti ora idillici ora distopici e la storia delle lotte di classe appare in tutta la sua pienezza come storia dell’umanità:

Parto da zero.
Le chiatte brulicano di luci mentre sul fiume è caduto l’inverno.
Là dove ottobre un tempo…
là dove ottobre staccava i rami con un sorriso e
l’io errante di me
poteva lasciare orme non labili contrassegnando il percorso
occhi di cervo abbandonati sulla riva
guardano le voci di un altoparlante davanti al bar.
Qui ci sta un soldato che non ha meta e ride.
La forza taumaturgica delle maschere è grande se appena
dieci minuti fa ho visto Colombina pas-
sare in un treno per Basel

Ma in questo stupendo intrico del vivere
c’è troppa tempesta poco tempo nessuna soddisfazione
mentre aggiungono che la bellezza è andata perduta
e io – io confesso che sono stato felice in qualche momento.
Le macchine volanti piegano gli alberi segnati da un vecchio
fuoco
escono fra le foglie gli uomini del futuro
e un ragazzo albino siede davanti alle
pietre
accecato dalla luce

Una dimensione di storicità e di oggettività, sapendo però che «Non c’è pace nella storia, e nella poesia ch’è dentro la storia» (2) e che quindi non si può trattare di una oggettività super partes che non esiste, rappresenta una costante di ricerca nell’opera di Roversi, come ha ben individuato Fabio Moliterni, uno dei pochi studiosi organici del poeta bolognese (3), decisamente poco attratto dalla lirica e che anzi sembra voler rovesciare l’assunto hegeliano del genere lirico come genere moderno della poesia destinato a superare l’arcaica e aristocratica epica.
L’opera su cui vale assai la pena soffermarsi, in quel percorso di riappropriazione del passato suggeritomi da chi gentilmente mi ha invitato ad aprire questa rubrica, è certamente Descrizioni in atto, libro che conosce diverse edizioni ciclostilate e variazioni (Roversi sarebbe il paradiso dei filologi se entrasse nei canoni accademici) fino al 1990 ma che nella sostanza copre l’arco cronologico degli anni Sessanta. In queste poesie scompare o si attenua il paesaggismo di Dopo Campoformio, viene meno qualsiasi esibito omaggio alla tradizione otto-novecentesca del poemetto civile che invece era stata certamente tra le forze motrici dell’esperienza poetica di «Officina»; a tutto ciò cede il posto intenzionalmente una fedele descrizione di eventi (riecheggiando volutamente il titolo del romanzo roversiano coevo alle poesie) estremamente franta però, sia perché la tradizione torna in forma di sussulto della memoria e di meditazione del soggetto, sia perché scomposta e priva di un principio di ordine si mostra la mera percezione della vita in una società neocapitalistica. Fare ordine è semmai severo e difficile compito politico dell’autore e del lettore: si veda ad esempio la Ventesima descrizione in atto

I.
Non avendo nulla da dare
è ovvio che non ci sia nulla da prendere.
Niente da offrire, allora non c’è nulla da ottenere
il conto è matematico.
Dopo può rivolgersi egli nel letto
battere le nocche sul tavolo
anche disperarsi con discrezione
offendere il cameriere;
alle volte si arriva al punto di maledire la sorte
d’essere nati ecc.
Se fosse felice altrimenti, o fortunato come dicono,
quieto nelle circostanze
balzerebbe dal letto zufolando al mattino
per sbarbarsi con Gibbs
la faccia nello specchio. Accadono strane cose.
Contare le persone.
Tre o quattro erano per la strada
poi improvvisamente s’accesero lampade al neon
nella notte le lampade segnavano
su e giù per la strada
il luogo dell’incontro, la gente salutava;
così tutti andavano per incontrarsi
e via per strade e sentieri:
non c’era nulla da dirsi, nessun commento in proposito
si raccontavano i commiati, come i figli
crescevano, e i mariti ahi!
poi la minoranza s’attestò al caffè aspettando.
Le ombre della sera.

II.
Analisi di una sconfitta
sopravvenuta tale e quale una sconfitta sulle spalle.
La sconfitta era del singolo e della collettività
così gli anni passavano (valutare questi impossibili anni
sessanta)
gli uffici della rivoluzione
chiudevano per ferie dal 1 al venti agosto
gli uomini di questa rivoluzione
lubrificati gli slogans per i geli invernali
andavano in vacanza nelle ville sul mare
dal primo al venti agosto
(ciascun italiano che si rispetti
che sia rispettoso
acquista la sua cuccia l’abbellisce la riempie
ha la sua casetta sul mare).
Anche i poveri riposano
i ricchi si rilassano dal primo al venti agosto
le città vuote, smarrimenti, ladri
sui balconi, qualche delitto ubiquo. Le chiese erano fresche.
Steso sulla chaise-long a filo di quel mareinsonne
con tutti i suoi flutti
il sapiente giovane convince le signore
– pianga Achille di rabbia, urli la disperazione
per morte che sopravviene
ari le onde del mare
perda la giovinezza
lasci uccidere ma
quando una tragedia si conclude sia non fastidiosa
e appartata, non disturbi il relax, tantomeno
il sogno della mente sulla contemplazione degli alberi
che fuggono in lontananza. È così la natura.

Via via via un’estate dopo l’altra
ciascuno ha il suo momento di gloria
la sua avventura al mare
il suo nome sul giornale.
Eh là, e tu?

È evidente come Roversi abbia la capacità, garantitagli dalla sua collocazione volutamente marginale, di osservare il miracolo economico per quello che fu: un durissimo scontro di classe nel quale i costi dello sviluppo, molto più dei benefici, caddero sui lavoratori (e la durezza e i risvolti tragici di questo processo sono corpo e sostanza delle Descrizioni), ma anche una vera e propria trasformazione della società italiana che rapidamente diviene una società di capitalismo avanzato capace di soffocare i legami sociali nell’opulenza delle merci, di sovvertire antiche tradizioni (da non rimpiangere) con nuovi modelli culturali e di consumo e anche, come questi versi dicono con spietata evidenza, di annegare nell’indolenza e nell’amministrazione corrente ogni slancio progettuale di una società diversa. L’incertezza, consapevole, nell’elaborare modelli di consumo culturale alternativo è lo specchio del fatto che il poeta si accorga di come quelli furono gli anni nei quali si cominciò quel lavoro di assimilazione delle opposizioni, di introriezione nel corpo sociale di parti che ne avrebbero dovuto essere estranee e avverse: le minoranze sedute ai caffè, gli uffici della rivoluzione.
Non c’è però nel poeta bolognese solo l’ironia e la rabbia nel rappresentare la deriva delle speranze rivoluzionarie, la stanchezza di una «particella empia e malvagia» (4), come dirà parlando di un possibile impegno politico negli anni Novanta, che fa perdere di vista la storia del mondo come azione umana volta all’emancipazione, ma anche la rappresentazione degli orrori, la denuncia scevra di retorica che è anche critica degli stessi limiti, o piuttosto impieghi limitanti, della poesia come edonismo estetico e consolatorio. Per questa ragione man mano che le Descrizioni procedono (e che la società si sviluppa si sarebbe tentati di dire) il caos anche formale si fa più evidente, così la Trentunesima:

Lei dice che non si può andare avanti così
impazzisce a dover correre di nascosto
guardandosi nel portone prima di salire
perché le convenienze capisci contano ancora
qualcosa
una signora non può considerarsi una puttana, poi
se l’impara senza le dovute regole mio marito
così ligio al buon nome, inoltre
quando si va per strada nelle sere della Brianza che
fa i tetti di carbone acceso

in questa Lombardia matta

la quale non ha più sangue che corra

la quale è affumicata lercia di una ricchezza squallida
remota
è bello tenersi per mano senza paura.

Biciclette e colori.

(Ecco i gas e i liquidi tossici che gli aerei americani
spargono sulle popola-
zioni, sulle coltivazioni e sui boschi del Vietnam del Sud.
Molte di queste
sostanze vengono anche gettate sui territori della R.D.V.)

II.
Guarda che bel campanile barocco
e la luce su quelle montagne
guarda che luce
ti rendi conto di cos’è la Brianza?
I clacson chiedono strada
alcuni operai su una ottocentocinquanta tranquilli
“il commenda ha sgranato senza fiatare,
ormai con quelli basta una stretta di mano”.
Elp.
Le domeniche gorgogliano verso un autun-
no che è stagione pregiata, tutte di rosse biciclette e di dame
anche agli uomini è permesso
di ascoltare oltre gli anni qualcosa
che li chiama. Nel pugno chiuso. Per un momento.

1) 2/4 – D (acido diclorofenissidoacetico, formula C/8
H5 O3 CL2).
2) 2-4-5/T (acido triclorofenossidoacetico; formula C/8
H5 O3 CL3)
3) DNP (dinitrofenolo; formula (NO2) 2O6H3 OH) gas
di colore giallastro
cosparso sui villaggi per costringere le
popolazioni civili a
fuggire. È letale.
4) TRIOSSIDO ARSENICALE (formula As 2 O3);
prodotto letale, usato nei ra-
strellamenti anti-partigiani.

III.
Ma
tu non capisci la situazione, sei egoista, lontano,
dai un suono di botte, sordo, rimbombi, alle volte
mi fai paura. Perché non ti limiti a considerare
la situazione semplicemente e ascolti il tuo cuore?

IV.
Il mio cuore. Ehi ragazza con quegli occhi neri
sulla terra fresca con una donna straniera
rischiai (d’essere accoppato col coltello
che vibrò con un secondo d’anticipo nel lampo dell’acqua
dell’acqua quell’acqua nera sull’acqua del sole.
Con grazia un poco indecente
tentò di farmi fuori eppure con la luce di bianche colombe
in cielo aveva appena goduto e vedo (ancora)
i suoi occhi affannati da una gioia stanca.
Anni di guerra. Anni. Noi giovani.
Aerei andando nel cielo con le tortore dei cristiani.
Cataste di morti sui campi d’Europa felice fino al mare di
Ilio
imputridivano.

CS (gas irritante a base di ortoclorobenzolmalonitrite);
produce
asfissia, dilatazione delle pupille, è letale)

V.
Biciclette, altri colori, la fine di
un giorno, queste parole conducono
a una noia quieta
ammassi di paglia
romba l’oceano del malanno che
scroscia e ingarbuglia, divaricando, le radici;
questa che è la vita stride
nelle caverne del carso trillano in tal guisa i pipistrelli
una lunga flessibile bacchetta li colpisce ammazzandoli.
Altrove si uccidono in modo uguale uomini colorati
di bianco, i bufali impazziscono
suono di morte di zoccoli
chi alza la testa l’avrà tagliata
il sangue non basta più
frammenti di ossa
le vecchie alla finestra
i topi mordono il calcagno dei bambini.
(Il fosforo bianco è un tipo di fosforo ottenuto da una
lavorazione
speciale. Viene lanciato con proiettili d’artiglieria, quando
esplode
brucia e assorbe l’ossigeno dell’aria sviluppando fino a
1200 gradi di
calore).

VI.
Lei dice che non può andare avanti così
e bisogna decidersi. Se voglio lascia
un marito per sempre e segue il sottoscritto
in capo al mondo.
Dice che non sono più giovane dei miei anni dopotutto
e sente di rischiare con me. Andare
per la Brianza senza nascondersi ora che
sui tetti il cielo si lecca le ferite.
Applausi generali per la società in trasformazione.
Autunno del medioevo.
Qualche sventagliata di napalm.

La poesia bella, secondo l’antico desiderio di Schiller, è sostituita dalla poesia vera. Qui sta, io credo, uno dei maggiori ostacoli del rapportarsi all’opera di Roversi, specialmente per le nuove generazioni; si potrebbe essere tentati di scambiare la sua dissoluzione formale (formule al posto dei versi), le tecniche combinatorie utilizzate in maniera crescente da lacerti di giornale, interviste, dichiarazioni, pubblicità, la sovrapposizione di elementi diversi per qualcosa di simile alla Neoavanguardia, per sperimentalismo poetico, giacché adopera molte delle tecniche che ci vengono spiegate come proprie dello sperimentalismo, tanto più che i suoi cultori odierni sono spesso poeti sperimentali (quali Marco Giovenale, che ha curato la più ampia antologia di opere roversiane disponibile). È un rischio tanto più presente e inevitabile quanto più si ha una visione libresca e accademica della pratica poetica e mano a mano che i concreti eventi che costituiscono la “registrazione” di Roversi, il suo autentico proposito, e la società che descrivono sfuggono alla memoria e alla conoscenza del lettore: qualche decennio fa, al tempo delle Descrizioni, già la sola parola napalm, per esempio, evocava immediatamente un mondo, una serie di nessi e associazioni che oggi sono molto più vacue e probabilmente presto non diranno più nulla, così da poter essere oggetto di scolio e annotazione. Tutto ciò propizia la confusione di questo autore con la Neoavanguardia, nel nome in fondo di una equidistanza dalle esperienze liriche di un Luzi, un Sereni, un Caproni, vale dunque la pena di insistere su come, coerentemente con le proprie matrici culturali nella Nuova Sinistra, Roversi stesso ritenesse la Neoavanguardia e la sua tecnicizzazione della letteratura un esempio di opposizione interna e prevista dallo sviluppo neocapitalistico (si veda in questo senso il suo saggio su «Quaderni Piacentini» Avanguardia e avanguardismo 5) e manifestasse invece altissimo interesse verso l’opera di Sereni. Il punto decisivo è, io credo, che per l’autore di Le descrizioni in atto quello che altrove è l’essenza della ricerca letteraria rappresenta semmai un mezzo di rappresentazione: il solo modo di cogliere lo sviluppo quale processo tumultuoso.
In questo senso il ritorno alla dimensione lirico-poematica di «Officina» sarebbe nei fatti impensabile perché cancellata dagli stessi processi sociali è la società su cui quella tradizione e quel tipo di poesia si fondavano.
È difficile dire se Roversi, che sosteneva l’adagio «poeta non è chi legge, ma chi corregge» (che poeta sia chi scrive poesie alle persone serie non viene neanche in mente) e lungamente è tornato sulle proprie opere, pensasse alla poesia come a una forma cronicamente in ritardo rispetto al proprio presente, come sembra prevalere nella prima fase della sua produzione, oppure in anticipo sul futuro al quale allude, come invece nelle opere degli anni Duemila pare si possa dire. Quello che è certo è che alla poesia il libraio della Palmaverde affidava il non semplice compito di razionalizzare le sconfitte, che nel suo caso, in quello della sua parte politica, della sua generazione, del suo stile nella storia complessiva degli stili, non furono poche: «In realtà i poveri scrittori di versi sono indispensabili solo quando si deve ricominciare dopo una sconfitta», dice aprendo L’Italia sepolta sotto la neve.
Pasolini lo rappresentò in Poesia in forma di rosa come un monaco pazzo intento a salvarsi l’anima mediante la distruzione di ciò che lo lega al mondo e il continuo rifacimento dei suoi scritti:

Nel terzo
petalo odoroso si contempla
ROVERSI, come un monaco di clausura
diventato pazzo che cerca una clausura nella
clausura, per rifare di nuovo il cammino già fatto,
senza notizie biografiche, cicala nel sole della tomba,
a trasformare livore in malinconia – comunque
quella è la sua vita, e della sua vita
i suoi versi sono testimoni
che hanno senso in con-
testi di dolore
nero.

Una componente di tentativo di salvezza individuale, di fronte alla durezza della contemporaneità e al non facile cammino autoriale che così spesso e facilmente diventa inutile o addirittura strumento dell’oppressione, può anche esservi, sarei tentato di dire sì quando penso di aver comunque trovato, alcune settimane fa, una copia di Dopo Campoformio in vendita a prezzi astronomici.
Se la storia e il capitale rischiano di avere facile vittoria sulla protesta e sulle strategie di un singolo è pur vero che la sua memoria è tenuta viva da un piccolo ma fedele numero di allievi e conoscenti diretti, a partire dall’Associazione culturale Versodove, che ormai da anni fedelmente ne continua l’eredità.
L’ultimo magistrale colpo di questa inedita figura di poeta, libraio, intellettuale e organizzatore è stato forse predisporre l’intera digitalizzazione della sua opera sul sito che porta il suo nome, cosa che non mi risulta nessun altro autore contemporaneo abbia fatto e il motivo è ovvio: lui solo non ha firmato il patto con il diavolo dell’editoria che espropria l’opera promettendo vita eterna e condanna di fatto alle fluttuazioni del mercato editoriale.
Da questo sito si potrà cogliere la vastità e imponenza dell’opera roversiana che comprende poesie, poemi, diversi romanzi, saggi, articoli giornalistici, libri d’arte e svariati testi per il teatro e per la musica (è stato, tra l’altro, uno dei pochi scrittori italiani ad occuparsi seriamente di critica della musica leggera e del cantautorato) e sapere che dunque questa nota ha più il valore dell’esortazione all’esplorazione di un continente che rischia di venire dimenticato che non il desiderio di chiudere in poche, inadatte, ma facilmente consumabili forme l’opera di un maestro.

Note
1  R. Roversi, Conversazione introduttiva, in, Id. Tre poesie e alcune prose, Roma, Luca Sossella 2008. p. 447
2 R. Roversi, Dall’Arcadia a Parini, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 2002 p. 3
3 F. Moliterni, Roberto Roversi. Un’idea di letteratura, Edizioni del Sud, Bari 2003
4 R. Roversi, Forse non è ancora tempo di ritirarsi in campagna, in Tre poesie e alcune prose, cit., p. 506
5 Ora in Id. op. cit., p. 382-392

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1 Comment

  1. Alfredo Rienzi 04/03/2021 at 8:38 am

    Importante, importantissimo rileggere! Per evitare il mulinello del leggi-e-getta, in quest’epoca di poesia nebulizzata. Complimenti e ringraziamenti