Nota di lettura di Fabio Michieli

Tieni a mente le notizie sparse
gli avvenimenti minimi
i fatti relegati ai margini del viaggio…

Come sempre accade quando si dà inizio alla lettura di una raccolta di poesia di Marco Aragno, sono i primi versi a indicare la strada che condurrà ai «margini del viaggio», ossia alle molteplici periferie dell’esistenza; un viaggio che pare centrifugo, e che in realtà è centripeto poiché si viaggia sempre verso il centro della ricerca poetica di Aragno: l’individuo.

E che si sia posti di fronte a uno scandaglio dell’esistenza in tutti i suoi aspetti lo dice il titolo: Sonder. I versi di queste poesie si immergono nel vissuto e lo interrogano; ed è quanto accade subito alla seconda poesia della prima delle sei sezioni di cui si compone la raccolta, “E noi siamo qui”. In «Sembra in piena costruzione…» due lunghe domande dominano l’intero testo in cui l’io – a chi appartenga non è dato sapere, come in molta della poesia contemporanea – si specchia, o si trova a fare i conti, nella domanda posta da un altrettanto indeterminato tu, disorientato di fronte alle crepe sulla apparentemente solida superficie della quotidianità che tenta, o tende, a una ripresa («Eppure non basta […] a restringere il tuo sguardo/ a sospendere la gioia/ di gru e cantieri in movimento?»); prima domanda rimasta sospesa a cui segue immediata una nuova, che di fatto costituisce la seconda parte del componimento e che, nel volere risponde al primo interrogativo, ricaccia l’io nel proprio mondo («Non è sufficiente […] il tuo sorriso/ che fa luce e si smorza/ nel silenzio di questo parco/ a liberare […] l’accumulo di fragilità…») generando un cortocircuito tra l’io e il tu dove quest’ultimo sembra dare voce non solo a un corpo altro, interlocutore, bensì pure alla coscienza stessa dell’io, come si legge quasi al limitare della raccolta nell’ultima poesia della quinta sezione “Malva”: «riconoscersi/ in un soggetto/ recitarsi in un pronome».; un tu che nonostante quanto ho appena detto è anche presenza certa ma non possiede un solo elemento, un senhal, che permetta di assegnargli una funzione salvifica, anche quando a qualche poesia di distanza fa capolino una “retina”, e per distrazione si vorrebbe vedere attraverso essa la presenza di una novella Clizia. Ma non lo è; e non lo è per la netta distanza che intercorre tra il dettato di Aragno e ogni suo modello letterario di riferimento, che non si riduce – e mai si ridurrà – a repertorio al quale attingere per offrire sostegno a un discorso che non abbisogna di alcuna stampella o belletto poetico.

Eppure, la ricerca di un qualcosa che possa dare speranza e senso al naturale svolgersi dell’esistenza c’è, e è evocato costantemente in continue variazioni di temi e contesti (nessuna raccolta precedente di Marco Aragno ha offerto uno spettro così ampio di indagine, il che – se ce ne fosse ancora bisogno – spiega ulteriormente la scelta del titolo della raccolta) che riconducono a un solo punto: la parola; una parola che consenta di distinguere il passato dal presente; o un’altra che definisca ciò che dimenticato ora riemerge e perciò ci ridefinisce e nel farlo ci sconcerta; o, molto più semplicemente, «distingua ancora il mio nome dal tuo». E, quando incontro questo verso, sono già nel cuore di Sonder, nelle sezioni in cui si fa più forte una vocazione che si può definire ecologica di questo nuovo capitolo della poesia di Marco Aragno, e che ovviamente esibisce la coscienza maturata già quando in Terra di mezzo raccontava la sua terra martoriata, che tutt’ora fa capolino; ma lo fa con tutta la sua storia anche geologica, senza però tradursi in resoconto sterile, pedissequa sequenza di fatti, aspetti, fenomeni. No!, qui ogni gemito del suolo un suo controcanto nel più misero, infinitesimale, vagito emesso dalla presenza umana, che nel tentativo di piegare la natura ne rimane inesorabilmente piegato, disorientato come la capsula dispersa nell’orbita e destinata a ruotare a vuoto attorno al proprio asse, come si legge in chiusura della prima poesia della quarta sezione, “Altri mondi”.

Le molte domande, il procedere spesso per anafore (frequenti in queste poesie), l’incalzante bisogno di definirsi e manifestarsi di questi tempi a noi prossimi (riconoscibili nei simboli stessi della nostra rivendicazione del fittizio diritto d’esistere e mistificazione costante di esso, attraverso il compulsivo immortalare per immagini ogni attimo della vita, «flusso ininterrotto di dati/ duplicando per non estinguerci/ infinite versioni di noi»), si frange nella penultima sezione, “Malva”, ossia nel luogo del libro in cui l’autore ha deciso di non nascondere la paura:

Ma la paura è che alla fine
non ci sia premio né salvezza
per il corpo che abbiamo abitato
per le fitte nelle ossa
o per il brulichio di globuli
che ci ha tenuto svegli
fino alla fine della corsa.
La paura è che non ci sia altro
che questo racconto
questo residuo di coscienza
organizzato in forma di parola
una diceria, un “ti ricordi quando”
da dire davanti a un’effigie
attaccata su una lastra di marmo
o sfogliata per caso
dentro un archivio digitale

Così, senza tanti giri di parole, con la lucidità che da sempre abita la sua poesia, Marco Aragno sveste l’io e il tu, sveste l’individuo e la sua esistenza, senza ridisegnare le regole di un gioco, perché è già scritto da tempo, già scritto nel tempo, e muta solo nei modi e ma di poco nella sostanza, forse aggiungendo maggiore inconsistenza nel suo essere fatuo. Immutata la fede nella parola, e in essa, forse, «L’oltre sembra a portata di mano».

 

Da Sonder (PeQuod 2023)

Tieni a mente le notizie sparse
gli avvenimenti minimi
i fatti relegati ai margini del viaggio.
Tieni a mente l’insetto che annega
nella goccia del finestrino
e scivola agli angoli della visuale
corpo affiorato mentre fissi il paesaggio
smarrito in un giorno di pioggia

*

Sembra in piena costruzione
una parte di mondo che forse
resisterà anche a noi:
grattacieli in espansione,
impalcature e strati d’acciaio
votati un giorno a farsi orizzonte
a competere con nuvole e sole.
Eppure non basta
– mi chiedi camminando –
la crepa che sfalda il cemento
l’asfalto spaccato o il tombino
che come un ventre scoperto
mostra rifiuti e liquami
a restringere il tuo sguardo
a sospendere la gioia
di gru e cantieri in movimento?
Non è sufficiente – mi ripeti –
un piede messo in fallo
sul marciapiede, il tuo sorriso
che fa luce e si smorza
nel silenzio di questo parco
a liberare come sciami da un albero
l’accumulo di fragilità,
a fare di questo fresco bitume
che calpestiamo con sicurezza
città sepolte prima di noi
nelle zolle, lingue non sopravvissute
morti e sabbia e scaglie di pietre?

*

Al sorgere mattutino della stella
la distesa di silici e crateri
si accende d’argento
nel breve giorno del pianeta.
Una leggera atmosfera increspa
il lago di mercurio, lo confonde
nella sua apparenza
quasi a immaginare la vita.
Ma dal gelo della superficie
non c’è occhio che veda
gli sbuffi di gas, la crosta aperta
dagli effluvi di lava
che di rosso rigano la notte polare.
Una capsula ormai dispersa
naviga nell’orbita, ruota a vuoto
intorno al suo asse

*

Non sanno di aver viaggiato
dal vuoto del big bang
alla formazione del sistema solare,
dalla comparsa della vita
fino all’antropocene
non lo sanno fino al punto
in cui accade il miracolo
di dirsi in parole, riconoscersi
in un soggetto
recitarsi in un pronome –
non sanno gli esseri che violano
i confini della carne
di vivere su questa pagina, rinascere
dentro uno spazio lessicale

 

Marco Aragno è nato in provincia di Napoli nel 1986. Ha esordito in poesia con Zugunruhe (Lietocolle, 2010), a cui è seguita la raccolta Terra di mezzo (Raffaelli, 2015). In narrativa ha pubblicato Absolute (Con-fine edizioni, 2015) e Cancellare la città (Transeuropa, 2018). Suoi testi sono apparsi su “Atelier”, “NuoviArgomenti”, “NazioneIndiana”, “PoetiePoesia” e nell’antologia “ItalianPoetry Review” della Columbia University. È giornalista professionista presso l’emittente televisiva campana Teleclubitalia.

Fabio Michieli è nato a Venezia nel 1971. Si è laureato in Lettere Moderne nell’ateneo lagunare (Ca’ Foscari) con una tesi su Niccolò Tommaseo e il racconto storico Il duca d’Atene, base dell’edizione critica e commentata pubblicata nel 2003 presso Antenore (Padova). Suoi interventi critici dedicati a Tommaseo sono apparsi in rivista («Quaderni Veneti», «Giornale storico della letteratura italiana») e in volumi miscellanei. Nel 2008 ha pubblicato con L’arcolaio la raccolta di poesie Dire; nel 2019 per lo stesso editore è uscita la seconda edizione rivista e accresciuta. Sempre per L’arcolaio ha diretto le collane “Fogli di critica” (insieme a Gianfranco Fabbri) e i “Fuori collana”. Ha fatto parte del comitato scientifico di Carteggi Letterari Le Edizioni. Sue recensioni e interventi critici sono apparsi in rete e in rivista («l’immaginazione». «Italian Poetry Review»); mentre alcuni suoi componimenti sono stati tradotti in francese, portoghese e tedesco. A partire dal 2008 è stato redattore del lit-blog «Poetarum Silva», prima di assumerne, insieme a Anna Maria Curci, la direzione, esperienza conclusasi nel 2021.

 

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