Dall’introduzione di Sonia Caporossi

In Engelbrecht, la parola calca la scena e diviene centrale, poetica nel senso pieno del termine, come nel teatro antico, latino o greco, e come nel dramma protoromantico alfieriano, manzoniano. Si tratta di una parola metascenica, che assume valore assoluto di significante e insieme significato, dove piano dell’espressione e piano del contenuto, le due categorie tradizionali di Hjelmslev, si ritrovano depurate completamente della funzionalità dicotomica dell’opposizione, laddove la forma informa la materia inconoscibile e cangiante semiotizzandola, dando così luogo alla sostanza, che non è altro che materia informata da qualche lingua. Engelbrecht recupera quindi il valore assoluto della parola di contro al gesto, indirizzando le due istanze verso una sincresi rinnovata alla luce di una tradizione poetica mai rinnegata, anzi, accolta nell’attualità della propria potenza. Solo in questo modo l’uomo può recuperare il proprio essere autentico al di là della deiezione, dell’essere-gettati nel mondo che ci assorbe senza centratura del sé. Solo in questo modo ci si ritrova vasi comunicanti di io-tu nella casa simbolica dell’essere.

da Le nostre (de)posizioni (Bonanno Editore 2020) a cura di E. Campi e S. Caporossi

Suite Agostana (Inediti 2022)

1.

dove mi scrivo?
se non per precipitati soliloqui
tra argini di cigli
o nel cavo sterno
d’incisa pietra
stein und stein
in greto di voci
spazzate anche le fronde

 

2.

siedi qui e
nasci un poco
a me
senza sfiorire la rossèdine
di corone afone
e di un’esangue metrica

 

3.

dirimo un ostinato letargo
disrimo tra versi avversi
riarde così un’albedine sorrisa
di perplesse occhiate
spiovute

4.

un pò démodé o
quantomeno diseguale
une allemande risuonava in anfratti
di sguardi smerigliati
slacciata
la lingua
correva canina su bassi caseggiati

5.

così le tue dita
spiovviginando versi in disuso
sorsavano una bevanda galenica da
dondolìi ramificati

quando ancora albeggiava un garrito

6.

non una sarabanda
stridendo le corde di un latrato violino
piuttosto un rammarico
o un torpore
bisbigliano l’inefficienza della lotta

Adriano Engelbrecht nasce in Germania nel 1967, vive a Parma. Poeta, artista, musicista, attore, ha pubblicato Dittico Gotico per Cultura Duemila Editrice (1993), Lungo la vertebrata costa del cuore (prefazione di Pierluigi Bacchini) per I Quaderni del Battello Ebbro (2003), La piscina probatica per Fedelo’s Editrice (2006) Tristano per LietoColle (2007). Nel dicembre 2015 è uscita, insieme alla poetessa Ilaria Drago, Ubicazione Ignota, sempre per Fedelo’s Editrice. Del 2020 è Di versi assenti. Un requiem per LOFT Scritture. Parte dell’ultima produzione poetica si è specificata nella forma installativa/espositiva e sonora indagando il rapporto tra parola, segno visivo e composizione musicale. Il suo lavoro è stato presentato in numerosi teatri, musei, gallerie e festival (tra cui ParmaPoesia, Ricercare – Reggio Emilia -, GenovaPoesia, Natura Dèi Teatri/Lenz Fondazione).

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