Nota di lettura di Francesca Innocenzi

Estranea (canzone), stampata in una nuova edizione riveduta da Puntoacapo nel 2022, include testi composti negli anni Novanta del Novecento, con prefazione di Andrea Zanzotto, nota critica di Marisa Bulgheroni e introduzione dell’autrice.
La canzone, un dire in poesia legato ad una forma antica e nobile della tradizione lirica, si declina qui in un dettato del tutto personale e originale, da cui emerge il particolare nesso tra la parola/ significato e il significante, il suono; ciò avviene anche attraverso l’impiego di figure retoriche come assonanze, consonanze, paronomasie. Il percorso di ricerca dell’autrice ha il suo perno proprio nella parola, che viene esplorata in tutta la sua forza espressiva e in ogni sua possibilità, e riconquista il suo valore di significante nella partitura fonica, nel ritmo, nella riscoperta di un suono primigenio. Così la necessità del canto fonde in sé la musicalità dell’enunciato e i significati profondi del racconto. Molto viva la sfera della percezione, della sensazione, nel concretarsi della temporalità in sensazioni fisiche, tattili: «La sensazione del tempo che passava/ nello spazio e lo lisciava (lo/ pettinava e arava a lungo)»; «le donne i cavalieri le armi/ gli odori».
Il termine «canzone», ricorrente, pare soggetto ad un moto sottile ed incessante che percorre i versi ed è emblema di una condizione esistenziale. La canzone è un veicolo per scrutare nell’ignoto, scoprire in esso inedite corrispondenze, per stabilire fratellanze e sorellanze; così la dedica d’apertura significativamente dichiara: «Agli “invisibili”, fratelli e sorelle/ di generazione, che non presero la parola». Se la canzone si fa luogo da abitare, ogni sua pronuncia va a chi rimase fuori dalla dimora, perché irretito o smarrito nel turbinio della storia. D’altra parte, la poesia è estranea: prende le mosse da una condizione di estraneità del poeta, condizione che presume la costante presenza di una alterità, di un altro da sé che si situa al di fuori di sé come pure in se stesso. Da un lato, l’essere estranea si accompagna ad un senso di solitudine da cui sgorga la potenza del dettato, anche nella forma di un mutismo prolifico di immagini e visioni, preludio di narrazioni. Dall’altro lato, l’estraneità assume una portata salvifica, colloca l’io poetante al riparo da vincolanti appartenenze e da rapporti fusionali; è, insomma, terreno di definizione di sé e di individuazione. L’uso frequente delle parentesi può ricondursi ad una analoga volontà di autonomia della parola, e nel contempo alla peculiarità di un enunciato dai tratti fortemente personali, caratterizzato dall’attenzione al dettaglio sul piano lessicale e sintattico e dalla frantumazione. L’opera si dipana infatti in un flusso consapevolmente spezzato, in una concatenazione di salti e sbalzi; un flusso corroborato dalla tensione a «spurgare la lingua», da un tenace perseguimento di una lingua nuova, che sia capace di ordire una «vita in versi», una differente narrazione di sé, degli altri, del mondo: «l’intero scrivere/ (divenne) storia del presente/ cui parlare». La poesia nasce dalla difficile ricerca di una voce rinnovata, in accordo con lo spirito del tempo, e traccia la storia di un agire collettivo nell’oggi, degli incontri tra le generazioni, dei colloqui con i poeti: da Ungaretti ai russi Cvetaeva e Mandel’stam, fino a Giudici, Bertolucci, Rosselli, Campana.
L’autobiografismo poetico, i frammenti del vissuto individuale, si fanno particolarmente evidenti negli ultimi canti, dove spicca la figura della «figlia, agile ippogrifo», a contrassegnare come centrale l’esperienza della maternità, generatrice di attitudine a fare ponte, a connettere mondi.
Concludono l’opera i versi di Le Moradas, libro che uscì nel 1996, prima di Estranea (canzone), e che, secondo una consuetudine dell’autrice in quegli anni, termina con un prologo di apertura al nuovo libro: un continuum che congiunge idealmente la fine all’inizio e che contiene gli urti e le fratture interne in una circolarità armonizzante; una linea che incide nel solco di un «futuropassato» presente un canto di coralità e condivisione, e di riconoscimento identitario insieme, entro una fitta e partecipata testimonianza di vita in poesia.

 

da Estranea (canzone), Puntoacapo 2022

è nello spirito nell’onda
tiepida e veloce ma contenta, nel
tempo del risveglio che continua,
che una volta animate le
cose i templi (onde, sabbia, futuro)
usava portar con sé – quell’onda e

movimento – ogni altra forma ogni altra
vita se non paura millenaria
deflagrata e còlta fin dalle più intime
essenze e parvori, cioè vera vita.

*

Cantando quelle fila, quei balconi
si popolavano quieti (e sconosciuti)
nella notte muta di fianchi e
luci e di quei borghi e strade
tutta una lucciolata ne venivano

: ecco di là Nadiella, un enzo risanato,
incognite assolute,
la sorella, quella di
lei compagna che al balcone:
poi ancora, più sorelle –

*

Dal tempo ritrovato, munto
deliziato le loro gole
acquattate di parole giovani che
così tacevano –
già pronte già allattate.

Ricordo: pochi eventi oggi
sono traccia di quella mappa
infinitesimale tempestata in pietre –
filastrocche (una
sera che si veste di storia).

*

…..
ecco che la sua testa riposava (e muta)
di fatti e suoni perché nel fondo

sola e accucciata
nelle culle delle sue gambe
andare contro e verso
e voce dispiegata, oggi

essa pensava non potere
(non dovere) (più cantare).

 

Maria Pia Quintavalla, nata a Parma, vive a Milano. Ha dato alle stampe i libri: Cantare semplice (Tam Tam 1984); Lettere giovani (Campanotto 1990); Il Cantare (Campanotto 1991); Le Moradas (Empiria 1996); Estranea (canzone) (Manni 2000, nota di Andrea Zanzotto; rist. Puntoacapo 2022); Corpus solum (Archivi del ‘900 2002); Album feriale (Archinto 2005); Selected Poems (Gradiva, N.Y. 2008); China (Effigie 2010); I Compianti (Effigie 2013, 2015); Vitae (La Vita felice 2017); Quinta vez (Stampa 2009 2018). Cura dal 1985 la rassegna nazionale Donne in poesia e le sue antologie; ha ideato le rubriche Scrivere al buio, Le Silenziose, Muse, Autori Resurrezioni, Essere autrici-essere curatrici; ha curato il convegno Bambini in rima, Atti (su Alfabeta, 1988) e successive dispense per la Fabbri. Fra i più recenti convegni: Coppie del ’900 in poesia (Palatina, Parma 2018). Collabora a Book City. Tra i Premi: Cittadella, Alghero Donna, Città S. Vito, Contini, Alda Merini, Pontedilegno, Città di Como, Europa in versi, cinquina Viareggio. Tra le antologie, figura in: Braci, a cura di Arnaldo Colasanti (Bompiani 2020); La Poesia italiana degli anni Ottanta, a cura di Sabrina Stroppa, UNITO, Pensa Ed. È inclusa nella Poetry Sound Library, curata da Giovanna Iorio. Collabora alla L.u.d., alla S.I.L., alla rubrica Poeti critici, Università Aix Marseille. Redattrice di Menabò, fa parte della Giuria Premio Terre d’ulivi “Riconoscere una storia”. Cura laboratori di lingua italiana a Lettere, Univ. agli Studi di Milano, dal 1992.

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