Nota e traduzione di Maria Luisa Vezzali

«Mio padre è nato su un’isola sfiorata dall’orlo del monsone. / Mia madre è nata ai margini del Sahara: / bionda, con occhi blu tra le mani nere / del dottore / che la sculacciò / per farle emettere il primo respiro»
«Ero in Inghilterra, un paese semi-straniero, da alcuni mesi e, quando mi è stato chiesto da dove venissi, non ho avuto una risposta facile»
«“Di dove sei?” / Mia madre è inglese ma è cresciuta nella Germania occidentale e mio padre è filippino ma cresciuto in Spagna e si sono incontrati qui ma mi hanno avuto in California e poi si sono trasferiti in Francia e ora sono qui».

Cosa diventa la questione dell’identità per una donna che ha iscritto nel proprio dna una storia familiare intessuta di divisioni geografiche, conflitti nuovi e atavici, complesse disseminazioni dall’Inghilterra alla Francia, dagli Usa alla Spagna, dalla Germania alla Libia e alle Filippine? La risposta è la necessità di mappare appassionatamente – e contemporaneamente decostruire – ogni idea del sé, nel luogo privilegiato delle contraddizioni, dove tutto può essere messo in discussione appena affermato: quell’oggetto prismatico e inafferrabile che è il poema contemporaneo. È da questa urgenza che nasce Amnion (Granta 2021) di Stephanie Sy-Quia, un libro che rappresenta un esordio straordinario per ambizione, porosità ed erudizione, per tutta la durata del quale si distende un periodare prosastico, ma spezzato a intervalli ritmici, in un continuo dialogo con generi diversi della scrittura: dal memoir al saggio sulle conseguenze del colonialismo, dalla saga familiare alla mitobiografia, dalla lirica alla denuncia degli stereotipi

«Cos’è una donna?
Un irrevocabile invito all’interpretazione»

e della violenza sistemica:

«A scuola ho appreso:
a evitare le lodi e a deviarle sempre
che i ragazzi erano uomini in fase di crescita con bisogni
che io ero disgustosa e, nella migliore delle ipotesi, allegorica
[…] Lezione:
in ascensore c’è un uomo.
Stiamo agli opposti della diagonale
sul tappeto a fantasia in linoleum.
Ed è così che mi dice
che non mi strangolerà in questa scatola
chiusa che fa la spola su e giù lungo un pozzo».

In questo senso viene spontaneo interpretare il titolo dell’opera nei suoi due significati principali, sia quello etimologico di “vaso contenitore del sangue delle vittime” dei soprusi della storia e delle crudeltà individuali, sia quello anatomico di involucro embrionale dove il feto si sviluppa per poi diventare persona. Ma persona non si dà al di fuori dalle condizioni socio-economiche in cui si nasce o delle relazioni in cui si è aggrovigliati ed è così che Amnion ci trasporta attraverso una continua, intrecciata costellazione di voci e di aneddoti: dai ricordi infantili (come una passeggiata sulla spiaggia in compagnia dei genitori) ai cocci mnestici delle vicissitudini degli antenati (come le sofferenze matrimoniali della nonna o il funerale del nonno), dalle reazioni materne di fronte alla caduta del Muro di Berlino alle impressioni ricevute durante la visita alle gallerie del Partenone nel British Museum. Al quale è dedicata una sezione del libro in cui la prestigiosa istituzione culturale inglese incarna l’epitome delle vicende di rapina che hanno avuto come protagoniste le potenze occidentali nel corso dei secoli, del modo brutale con cui le opere d’arte e gli emblemi identitari dei popoli vinti sono stati trafugati e decontestualizzati dal loro mondo per ricodificarsi in simboli di potere coloniale e strumenti di svago borghese. E in tal modo sono divenuti «ironici», segni che esprimono il contrario di quanto veramente significano.
Lo spirito di denuncia che percorre il testo non può dimenticare le contraddizioni che marchiano i paesi più ricchi nei confronti delle migrazioni: «Osservo il tentativo dei giornali di interpretare i cadaveri dei minori trasportati dal Mediterraneo all’interno di una qualche iconografia da Antico Testamento. Finché annegano nel Mediterraneo, è un Esodo. Se sono all’ingresso della Manica, è una piaga di locuste». Ma quando si inizia a temere che il discorso viri troppo sul didascalico, ecco che affiorano squarci di sentimenti, brividi erotici, a ribadire che tutti gli eventi accadono a un corpo, a corpi, che nella loro eloquenza situata sono consapevoli di essere linguaggio, ma loro almeno non covano dubbi sull’identità dei loro desideri:

Sdraiati come parentesi
a racchiudere una pausa:

i nostri figli non ancora evocati

dall’abisso blu.

Questo letto
si coniuga
con tutti i verbi del nostro contorcersi.

È sul margine del giorno
che ti amerò.

Anche la forma di cui il poema si materia inevitabilmente partecipa del «confuso ibridismo» del soggetto e si colora di un pluristilismo e un plurilinguismo fondativi:

Avevo l’inglese nel cleristorio della bocca. Il francese riposto nel davanti della mascella inferiore. Mio padre parlava spagnolo, che era scivoloso sulla lingua e sui denti come un pugno di ciottoli lisci. E poi c’era il tedesco, la lingua che i miei genitori scambiavano tra loro come un segreto […] Mio padre ha parlato Tagalog fino ai cinque anni. Ma ora l’ha perduto […].

E infatti, oltre a inglese, francese, spagnolo, tedesco, durante lo scorrere del testo si incappa nell’antico inglese, nel greco, nel russo, nel latino, e si passa dall’arcaismo al gergo, dal colloquiale al poetico, dalle citazioni letterarie al candore sarcastico di uno scambio durante una lezione liceale («Prof, Dio ha stuprato Maria? / Eh? / Dio ha stuprato Maria? / Perché dici una cosa del genere? / [Stiamo leggendo “Leda e il cigno” di Yeats] / Perché Zeus ha stuprato Leda!»).
Una domanda che può sorgere a questo punto è: all’interno di tale cavalcata nel tempo, nello spazio e nei toni qual è il ruolo riservato a chi legge? Chi si concede l’agio di viaggiare insieme a Sy-Quia per le 110 pagine dell’opera – che meriterebbe una pubblicazione integrale e da cui è difficilissimo, totalmente randomico, antologizzare – si ritrova ora a sbirciare nel diario intimo di un’adolescente, ora a sfogliare un lungo, variopinto album di foto familiari, ora a rivivere alcune sanguinanti ferite della storia recente. Ride, si indigna, si stupisce, dentro di sé esclama «OK wow» come i compagni perplessi di fronte alla genealogia labirintica di Stephanie. Ma soprattutto chiude il libro convinto di averci capito qualcosa, di aver conosciuto qualcuno davvero, per quanto in quel tipo di verità che può consustanziare il poema. Nell’ultima pagina, d’altronde, Sy-Quia smette i panni letterari, si congeda con un discorso piano, brevi frasi spontanee che potrebbero essere state prelevate da una mail o un post, indirizzate agli «amici che adoro» perché al loro fianco si sente «salda e preparata / ad affrontare lo squadernarsi degli anni». E fra questi amici, si capisce, con una strizzata d’occhio, comprende di sicuro ogni lettrice e lettore.

*

Portuguese Beach, Mendocino, 1997

Ero una massa di riccioli scuri dalla pelle temperata dall’amore. Mi riempivo le tasche di vetri marini fino a sformare il mio impermeabile giallo. C’era mia madre che scheggiava il sole con la testa, e c’era mio padre che camminava silenzioso sulla sabbia.

I miei genitori, panatenaici alla luce delle sequoie: così forti e belli, e così giovani – come l’oceano ruggiva dietro mia madre congelata in un fotogramma – ricordo un oceano del colore di un occhio –

Colossale statua marmorea di un leone sdraiato; intagliato con occhi intarsiati, in origine probabilmente di vetro, ora mancanti.

Le orbite vuote del Leone di Cnido avevano occhi di vetro
per aiutare le navi al largo di Alicarnasso.
Con le sue dodici tonnellate di peso,
giace ironico nel cuore inchiostro
di Londra.

*

Portuguese Beach, Mendocino, 1997

I was a crop of dark curls skinned soft with love. I was cramming my pockets with sea glass until my yellow mac sagged. There was my mother, splintering the sun with her head, and there was my father walking silent on the sand.

My parents, panathenaic in the light of redwoods: so strong and beautiful, and so young – how the ocean roared behind my mother freezing in a frame – I remember an ocean the colour of an eye –

Colossal marble statue of a recumbent lion; carved with inlaid eyes, originally probably of glass, now missing.

The Lion of Knidos’s empty sockets would have held eyes of glass
to help ships off Halikarnassus.
Weighing twelve tons,
it sits ironic in the inky heart
of London.

*

Quando cadde il Muro mia madre aveva ventun anni e pianse perché quella era la fine del mondo come l’aveva conosciuto.

Nel posto dove sono cresciuta c’erano cavalli,
cosce che si muovevano come nudità sotto il loro manto.
Adesso in alto grugano i piccioni
(nel British Museum ci sono cocci di cavallo)
(nel British Museum c’è un leone cieco)
Mio nonno collezionava leoni.

Gli imperi sono come denti da latte.
Cadono.

*

When the Wall fell my mother was twenty-one and she cried because this was the end of the world as she had known it.

In the place where I grew up there were horses,
thighs moving like nudity under their fur.
The pigeons are clattering into the heights now
(in the British Museum there are shards of horse)
(in the British Museum there is a blind lion)
My grandfather collected lions.

Empires are like milk teeth.
They fall.

*

Le cose che si conservano dei morti sono buffe: una scatola da scarpe piena dei suoi papillon antiquati che nessuno indosserà più, ma ho una teoria mia madre li conserva sullo scaffale insieme ai cappelli per i matrimoni a causa dell’odore, o l’anello con sigillo dallo stemma consumato, reciso dal suo dito morto, o le immagini di statue di leoni in un raccoglitore, che lui collezionava insieme a paesaggi di chissà dove.

Lo ricordo mentre moriva. Lo ricordo smemore perché lo riempivano di morfina. Ricordo il giacinto viola in un vaso nella sala d’attesa dell’ospedale di Nîmes. Ricordo come mia madre andò via la prima volta quando lui cominciò a morire. Ricordo che lei dormiva su una branda nella sua stanza (mi disse più tardi che era dovuto al fatto che lui aveva incubi e allucinazioni e, avendo dormito nudo per tutta la vita, sarebbe corso per strada indicando il cielo e dicendo: Stanno arrivando!). Ricordo le persone che vennero a trovarlo – inglesi con cui, mi dissero, ero imparentata. Ricordo di avergli portato in camera su un piatto un pompelmo rosa. Prima che morisse ricordo il suo Kipling e la sua Bibbia, il tuono di nicotina che proveniva da lui quando mi sedevo sulle sue ginocchia. Al suo funerale ricordo la voce incrinata di mia nonna. Non ci fu permesso vestirci di nero, quindi mia madre si vestì di bianco e mio padre di blu, io indossai un vestito verde e mio fratello indossò un completo bianco e grigio. Tre giorni prima avevo compiuto sei anni, quindi avevo portato con me la mia borsetta di paillettes e ogni volta che ci alzavamo o ci sedevamo (per me e per mio fratello era la prima volta in chiesa) la aprivo e ci guardavo dentro, perché credevo fosse quello che facevano le donne adulte. Più tardi, mio fratello mi chiese perché ci eravamo alzati e seduti così spesso, e io risposi: Perché le panche sono così scomode.

*

The things you keep of dead people are funny: a shoebox full of his oldfashioned bow ties no one will wear, but I have a theory my mother keeps them, up on the shelf with the hats for weddings, because of the smell, or the signet ring with the crest worn off, cut from his dead finger, or the pictures of lion statues in a box-file, that he collected with views to who knows.

I remember him dying. I remember him of us unremembering because they shot him full of morphine. I remember the purple hyacinth in a pot in the waiting room of the hospital in Nîmes. I remember how my mother went away for the first time when he began to die. I remember her sleeping on a cot in his room (she told me later this was because he had nightmares and hallucinations and, having lifelong slept naked, he would run into the street and point to the sky and say: They’re coming!). I remember the people who came – English people I was told were related to me. I remember taking a plate of pink grapefruit up to him in his bedroom. Before he died I remember his Kipling and King James, the nicotine thunder of him as I sat on his lap. At his funeral I remember my grandmother’s voice cracking. We were not allowed to wear black, so my mother wore white and my father wore blue and I wore a green dress and my brother wore white with grey. It had been my sixth birthday three days before, so I had taken my sequin hand bag with me and every time we stood up or sat down /my brother’s and my first time in a church) I would open it and look inside, because this is what I felt grown-up women did. Later, my brother would ask me why we stood up and sat down so much, and I said, Because the seats are so unconfortable.

*

Le Gallerie del Partenone
il Cavallo urlante di Selene:
Madre, Padre, vi muovete processionali
monumentali, privati delle origini per essere custoditi in questo museo che ho reso
una cattedrale per tutti i miei colonialismi
Mamma, Papà, nomi con cui non vi ho mai chiamati –
comparite tra i risultati più raffinati dell’arte assira antica
Ho raccolto tutti i cocci che mi avete offerto
Guardate!
Vi ho costruito una cattedrale
siete mia madre e mio padre
sarete eterni come i frammenti del grand tour di lord Elgin
corinzi avvolti nell’acanto
ionici ironici iconici.
Nel museo ci saranno anche le mitologie che creerò –
le sequoie, il loro odore nella nebbia.

*

The Parthenon Galleries
the screaming Horse of Selene:
Mother, Father, you move in processional
monumental, hacked of your origins to be enshrined in this museum I have made
a cathedral for all my colonialisms
Mama, Papa, names I have not called you –
you rank among the finest achievements of Ancient Assyrian art
I have gathered up all the shards you offered
Look!
I have built you a cathedral
you are my mother and my father
you shall be eternal as the broken pieces of Elgin’s grand tour
acanthus-furled Corinthian
ionic ironic iconic.
In the museum also there will be the mythologies I will make –
the redwood trees, how they smelled in fog.

*

La sfinge ha ali a volte
e divorava coloro che non sapevano risolvere l’enigma
e tuttavia
morì
al riuscito divorzio del significato dalle sue sfumature; una strage dell’interpretazione così conservatrice, pedante,

(maschile.)
La scrittura non è il testo ma ciò che cancella la propria interpretazione.

Mamma, papà, guardate
Ho demolito tutto
per farvi un museo!

(nello spazio tra i miei polmoni
sono cresciute oscure ali coriacee
– si accovaccia un nemico oscuramente schierato –
finché non cominciarono a battere
togliendomi il fiato)

(se non vi costruisco il museo mi uccideranno.)

*

The sphinx has wings at times
and devoured those who could not unriddle
and yet
died
at the successful uncoupling of her meaning from its shades; a slaughter of interpretation so rightwing, pedantic,

(masculine.)
Scripture is not the text but that which erases its own interpretation.

Mama, Papa, look
I have torn it all down
to make you a museum!

(in the space between my lungs
the dark leathery wings grew bigger
– a darkly deploying enemy crouching –
till they began to beat
drawing my breath away)

(if I do not built you the museum they will kill me.)

Stephanie Sy-Quia è nata nel 1995 a Berkeley, California, è cresciuta in Francia e vive a Londra. Ha studiato Inglese a Oxford e al momento lavora come critica letteraria e giornalista freelance. Suoi contributi sono apparsi sulle seguenti riviste: “The Guardian”, “The White Review”, “The Boston Review”, “Granta”, “The Los Angeles Review of Books”, “FT Weekend”, “Times Literary Supplement”, “The Economist”, “The Spectator” e “TANK magazine”. Amnion è il suo esordio, per il quale ha vinto il “Forward Prize for Poetry” (Best First Collection 2022), il “Somerset Maugham Award” e l’“Eric Gregory Award”.

Maria Luisa Vezzali (Bologna 1964), docente di Materie letterarie nella scuola superiore, è traduttrice di Adrienne Rich (Cartografie del silenzio, Crocetti 20202, e La guida nel labirinto, Crocetti 20212, premio per la traduzione dell’Università di Bologna) e Lorand Gaspar (Conoscenza della luce, Donzelli 2006). Per Raffaelli (2011) ha curato un’edizione dell’Anabasi di Saint-John Perse. Altre autrici tradotte su rivista: Michelle Cliff, Carole Darricarrère, Imtiaz Dharker, Marlene Dumas, Shira Erlichman, Elaine Feinstein, Denice Frohman, Vénus Khoury-Ghata, Jade Lascelles. In poesia ha pubblicato L’altra eternità (Edizioni del Laboratorio 1987), Eleusi marina (in “Terzo quaderno italiano” a cura di Franco Buffoni, Guerini e Associati 1992), dieci nell’uno (Eidos 2004, disegni e sculture di Mirta Carroli), lineamadre (Donzelli 2007, premio Anterem/Montano), Forme implicite (Allemandi 2011, gioielli e disegni di Mirta Carroli), Tutto questo (Puntoacapo editrice 2018, premio don Luigi Di Liegro 2020). Suoi testi sono tradotti in inglese, spagnolo, francese, tedesco, svedese e arabo. È comparsa in numerose riviste e antologie, tra le quali Sotto il cielo di Lampedusa. Annegati da respingimento (Rayuela 2014), Sotto il cielo di Lampedusa II. Nessun uomo è un’isola (Rayuela 2015), Officine della poesia/1. Bologna (Kurumuny 2018) e Lunario di desideri (a cura di V. Guarracino, Edizioni Di Felice 2019). È stata invitata al Festival di Mantova nel 2011 e nel 2022, al Festival dell’Autobiografia di Anghiari nel 2018, a Vola Alta Parola nel 2021, nonché in varie edizioni di PoesiaFestival, Pordenonelegge e Bologna in Lettere. Nel 2012, 2018, 2019 e 2020 ha tenuto lezioni all’interno del “Corso di Etica e Politica in prospettiva di genere” dell’Università di Bologna. Fa parte dell’Associazione Orlando e del collettivo di traduttrici WiT (Women in Translation), che ha prodotto Audre Lorde, D’Amore e di lotta (Le Lettere, ottobre 2018). www.marialuisavezzali.com

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