Eunice Odio, nata nel 1919 a San José, morì nel 1974 a Città del Messico in completa solitudine, così sola che la sua morte fu scoperta dieci giorni dopo il decesso. Una donna scomoda per la società maschilista del tempo, indipendente e appassionata, un’intellettuale preparata ed esigente con se stessa e con gli altri, spirito libero e creatore alla continua ricerca della bellezza nel mondo e negli uomini, bellezza intesa come forma eloquente di Dio. Il suo mondo poetico si manifesta attraverso ripetute intuizioni primordiali ed è il risultato di una forte esigenza interiore e della capacità di esplorare nuove zone di espressione personale, per giungere, attraverso l’investigazione metafisica, al disegno divino. In una sua lettera Eunice scrive: “Intendo che il compito del poeta è quasi contrario a chi cerca esclusivamente se stesso. Il poeta va cercando Dio e solo lo incontra nel profondo di tutti gli uomini. E solo è poeta quando conosce ciò che è nell’animo di tutti gli uomini possibili; e lo conosce solo quando li ama immensamente e appassionatamente.”

Gli elementi terrestri, primo libro di Eunice, fu pubblicato in Guatemala nel 1947. Nei suoi otto canti, il poemetto esprime l’amore sognato e distante, solamente presentito e desiderato, la ricerca dell’amato in tutte le cose. Ma anche il gaudio della carne e la fusione dei corpi; l’amore dell’uomo per la donna amata ha il potere di farla sognare, rigenerarla in fontane d’acqua e sorgenti nel profondo. C’è un canto che riferisce l’impossibilità di una donna sterile di continuare la catena della vita, ma anche, nella poesia seguente, l’esaltazione del processo di creazione dal suo concepimento fino alla nascita, una concezione biblica del mondo che trasforma l’esperienza umana in un destino cosmico, in un incontro con la primigenia innocenza, permettendo la fusione dell’essere con il divino a partire dalla rivelazione di ciò che è segreto. La transitorietà della vita si risolve nella permanenza in un altro essere, che congiunto a universo è ritorno all’origine. Più che un poema sulla pienezza dell’amore, può sembrare un poema sull’impossibilità, sull’incompletezza, in cui la fusione totale è effimera e non raggiunge la compenetrazione degli spiriti. Dopo la passione travolgente dell’amore, gli amanti continuano a essere due Esseri distinti, due metà che si cercano e si presentono senza incontrarsi. La poesia amorosa di Eunice, che ne Gli elementi terrestri inizia il suo percorso personale estetico e stilistico, contiene sempre uno sfondo metafisico, una integrazione ontologica che trascende la semplice sensazione erotica, trasformandola in una miscela di spirito e materia, di fusione con l’Uno e di scissione nell’Unità.

Di Eunice Odio Tomaso Pieragnolo, curatore insieme a Rosa Gallitelli del volume, ricorda: «Il mio incontro con la poesia di Eunice Odio risale ai primi anni ’90, quando trovai in edizione originale il suo primo libro, Los elementos terrestres, in un capanno spartano e isolato che un amico dell’università di San José mi aveva messo a disposizione mentre lavoravo con Rosa Gallitelli a un progetto nei parchi nazionali del nord lungo il confine con il Nicaragua. I suoi versi mi colpirono, tanto da indurmi a cercare altre sue pubblicazioni e ad approfondire la conoscenza di autori del Costa Rica e dell’America Centrale, ignoti al pubblico italiano. Promisi a me stesso che avrei fatto il possibile per diffondere la voce di questa grande e schiva poetessa, lungamente trascurata sia in vita che dopo la morte; la pubblicazione di alcune sue poesie nella rivista Sagarana nel 2008, della plaquette Questo è il bosco e altre poesie per le edizioni Via del Vento nel 2009 e della prima antologia italiana bilingue in collaborazione con Rosa Gallitelli Come le rose disordinando l’aria per la collana Passigli Poesia nel 2015, mantennero questa  promessa e chiusero un ideale cerchio iniziato ormai più di un quarto di secolo fa. Questo per me ha significato non solo un preciso percorso di traduzione, ma soprattutto un viaggio personale e umano che ha di fatto ispirato la mia vita e le mie scelte; l’esordio di Eunice Odio in Italia, grazie anche all’attenzione e all’affetto di tanti lettori e istituzioni che fin dall’inizio l’hanno accolta e apprezzata, rimarrà sempre legato a questa esperienza peculiare irripetibile e ai libri che ha generato. Per te, Eunice, questo breve omaggio “che fa correre e albeggiare con gli uccelli”.»

da Los elementos terrestres (1947)

Poema cuatro
Canción del Esposo a su Amada

Asomada a mi pecho,
tatuada en él como la edad
y el daño.

Como una suave grey de colinas
cuyo rumbo retorna con el alba,

habla mi amada
con su amor que tiene
apenas pecho diurno y voz descalza.

A mi sombra
se bordearon de pulpa sus caderas.

Por mí arrea con sus pechos
el ganado del alba,

y la tarde a su paso se quebranta,
como de junco herido
y laurel entornado.

Párpados transitados
de nieve y melodía,

pozo donde mi boca
desmedida resbala
como torrente de paloma
y sal humedecida.

Sobre los muslos te pusieron
racimos de ira y vocación de besos.

Yo haré que de tus muslos
bajen manojos de agua
y entrecortada espuma
y rebaños secretos.

Ven,
Amada.

Los árboles
todos tienen tu cándida estatura
y tu párpado caído
y tu gesto mojado,

edificio de alondras
habitado de climas
donde legisla el sol
sobre viñedo de oro.

A tu sombra
me encontrarán los pájaros salvajes.

Tu voz de aire caído
entre cuatro azucenas,
desfilará en mi oído
como acude la tarde.

Ven,
te probaré con alegría.
Tú soñarás comnigo
esta noche.

Poesia quarta
Canzone dello sposo alla sua amata

Affacciata al mio petto,
tatuata in lui come l’età
e il danno.

Come un soave gregge di colline
la cui rotta ritorna con l’alba,

parla la mia amata
col suo amore che tiene
appena petto diurno e voce scalza.

Alla mia ombra
si bordarono di polpa i suoi fianchi.

Per me pascola coi suoi seni
il bestiame dell’alba,

e la sera al suo passo si frantuma,
come di giunco ferito
e lauro semichiuso.

Palpebre traversate
da neve e mezzogiorno,

pozzo dove la mia bocca
smisurata scivola
come torrente di colomba
e sale inumidito.

Sopra i muscoli ti posero
grappoli d’ira e vocazione di baci.

Io farò che dai tuoi muscoli
scendano fasci d’acqua
e alternata spuma
e branchi segreti.

Vieni,
amata.

Gli alberi
tutti hanno la tua candida statura
e la tua palpebra caduta
e il tuo gesto bagnato,

edificio di allodole
abitato di climi
dove legifera il sole
sopra vigneti d’oro.

Alla tua ombra
m’incontreranno gli uccelli selvaggi.

La tua voce d’aria caduta
tra quattro gigli
sfilerà nel mio udito
come accorre la sera.

Vieni,
ti proverò con allegria.
Tu mi sognerai
questa notte.

*

Poema quinto
Esterilidad

Tal como flor que sale
y es cortada,

con la piel por donde huye
la risa de los niños,

y llena hasta los muslos
de tristeza;
así es nuestra hermana
en cuyo umbral
naufraga el cuerpo de uso eterno.

Golpe de viento nuevo
inexperto en aromas,
y sin rubor azul ya despreciada sombra,
escombro de oro en sueños por las ramas.

Carne en que tropeza de costado
la gracia del alumbramiento,

fácil como los signos en reposo
por donde llega de la mano el niño;

asomada al arrimo,
con media flor y apenas
medio rostro,
y con el vientre en que tembló
una piedra.

Con un desfiladero en cada pecho,
sola,
venas arriba por los ojos,

sola
como el primer hombre cuando descubrí
la primera sonsrisa
y se volvió,
de pronto,
con todo el cuerpo
a flor de fabuloso labio estremecido,
más solo que antes,
cuando no tenía sonrisa cotidiana
que dividir en dos pedazos triunfales,
cuando no pensaba en el otro
y descendía junto a su piel profunda,
roto entre los sonidos venideros
como pájaro en projecto por los árboles,
júbilo de vacío jubiloso.

Como huella que cae
clara y sin cuerpo
y no levanta hoja
que al volver por el suelo,
alta de días
instala al humus su unidad primera;

así es nuestra hermana.

Secreto cauce,
quieto,
agua sin ruido.

Nacida de mujer,
corta de días, y harta de sinsabores;
que sale como una flor y es cortada,
y huye como la sombra y no permane.

Poesia quinta
Sterilità

Come fiore che cresce
ed è tagliato,

con la pelle da cui fugge
il riso dei bambini,

e colma fino ai muscoli
di tristezza;
così è la nostra sorella
sulla cui soglia
naufraga il corpo d’uso eterno.

Colpo di vento nuovo
inesperto d’aromi,
e senza rossore azzurro ormai sprezzata ombra,
maceria d’oro in sogni tra i rami.

Carne in cui inciampa di traverso
la grazia del parto,

facile come i segni in riposo
da dove giunge dalla mano il bimbo;

affacciata sul ciglio
con mezzo fiore e appena
mezzo volto,
e con il ventre in cui tremò
una pietra.

Con una gola in ogni petto,
sola,
con le vene fuori dagli occhi,

sola
come il primo uomo quando scoprì
il primo sorriso
e si voltò,
d’un tratto,
con tutto il corpo
a fior di favoloso labbro abbrividito,
più solo di prima,
quando non aveva sorriso quotidiano
da dividere in due pezzi trionfali,
quando non pensava all’altro
e discendeva unito alla sua pelle profonda,
rotto tra i suoni a venire
come uccello in progetto per gli alberi,
giubilo di vuoto giubilante.

Come orma che cade
chiara e senza corpo
e non solleva foglia
che al tornare al suolo,
alta di giorni,
installa all’humus la sua prima unità,

così è la nostra sorella.

Segreto alveo,
quieto,
acqua senza rumore.

Nata da donna,
corta di giorni, e stanca di tormenti;
che cresce come un fiore, ed è tagliato,
e fugge come l’ombra, e non permane.

*

Poema séptimo
Germinación

Introducción

I

Oh don,
oh don de sí, tu pelo
albo discurso,
designio azul,
futuro de jacinto.

Yo podría cantar una canción
para que me sospechen de humo, en aire,
y de animal tallado entre la espuma,
en larga, leve, carcajada de arpa.

Yo podría traer al corazón recuerdos
como uñas cayendose del alma.

Pero estoy casi al borde de tu cuerpo,

pero está al pie del surco tu desnudo
en traje de profundidad;

piensa en tu edad el mar y palidecen
delfines ciegos cielo arriba, en rama,
pensando más en cielo en menos aire
mar con sólo las olas y sin agua.

Y tú a la orilla del paisaje tiemblas
ah, intramarino pescador de espumas
cuya cadera crece entre corales,

crepúsculo manchado de violines,
compañero fugaz de mi costado.

II

Alguien pasa rozándome las venas
y se abre el surco entre las flor y el labio.

Es que llega la noche
en columna de amor y ruiseñores;
su casco azul, lacustre, enjuaga el alba,
baja la niebla por su piel y huyen
roces de pluma herida y madrugada.

Y antes de ser,
para futuro arribo de planeta
tiniebla inaugural,
cristal esquivo,
quietud de sumergidos resplandores,
la noche es de aire y tallo oscurecido.

Preludios

I

Óyeme esta canción que en mí te nombra
carne para la fruta necesaria.

Cuando la soledad
bajo tu nombre oída y apretada,
cuando yo era como un niño enterrado
a quien llaman por su nombre pasado,
y responde, y no se oye en sí mismo;

y mi mano en el fondo,
confundida,
tenía ya atisbo, llave, forma mía,

y se sentía más arriba del pecho y el abrazo
como corona alegre y consumada.

Tú me llamabas a tu nombre;
y vine,
con clara identidad de nacimientos,
con la veraz acostumbrada gracia
con que sueñan su honor las catedrales.

Tú eres ya de día junto a la noche.
Ya soy contigo el día,
y en virtud de la ausencia en que me evoco
miro cómo mi forma me comparte,
cómo respiro en pelo y a mansalva,
por dentro de mi voz y no a lo largo.

Epígrafe

I

Tu mano en que desdoblan ruiseñores
su pálido desnudo,
su ancho pecho de musgo coronado,
es mano que abre al viento reclinado
claro jazmín entre la sien oscura.

Sí, deshojada el agua entre la frente,
labra pequeña placidez de lirio
y entre los dedos gajos de violines.

II

Tiende el oído y óyeme esta canción
que es como semilla de estaciones.

Que es como la casa de verano
donde me crece de la mano un niño
y el alma da empujones a la orilla,
y es como piel el alma, no se siente.

Entraremos de pronto en el verano como árboles
vegetalmente abiertos de oídos y de polvo,

porque todo refluye hacia el arribo,
asciende el vientre a capital de fruto
y el aire hacia ecuación de golondrina.

¡Brotes sacramentales de la hierba,
oh, dádivas subiendo de la entraña,
suma de transitados alimentos!

Y a la altura del pecho y la labranza
semilla de silencio y luz desierta.

Todo regresa hasta su forma exacta.
La vida retoma su ambición pequeña
de ser, del todo, vegetal profundo,
recóndito edificio y luz abierta.

Acorde final

Al borde de alegres segadores tiembla el agua,
y ofrece para el orden del labio complacido
dulce rumbo crecido de preñadas mañanas
y agraria transparencia, dulcemente encendida.

El trigo coronado de apretada espesura,
retiene el desbordado color con que le ordenan
– vecino de la carne – colmarse en primavera.

El ganado decrece tiernamente en lo oscuro
donde dilata el suelo su asombrosa corriente,
y la abeja termina su tránsito de nieve
y su majada oculta sobre tímidos jaspes.

Y tú, Amado,
que pones rumbo fijo al arado
que circuye la tarde y apresura la rosa,

dónde tienes el pecho frondoso de raíces,
dónde la sien desnuda sin regazo ni término.

Sobre los pastos suaves, cándidos mayorales
habilitan la uva para que se aloje el vino,
y congregan el clima para que crezca su aroma
y reparta en la lengua manojos de alegría.

Así el verano atiende su reciente hermosura
y sobre el viento solo distribuye sus pájaros.

Así el nácar esparce su quietud y deleite
y su color silvestre reanuda y apacienta.

Oh dádivas,
oh dones terrestres,
oh suaves alimentos.

Sólo agotar la siembra con el pecho,

sólo desembocar al gozo y detenerse

oh piel,

¡oh ceniza colmada y balbuciente!

Poesia settima
Germinazione

Introduzione

I

Oh dono,
oh dono di sé, i tuoi capelli
bianco discorso,
disegno azzurro,
futuro di giacinto.

Potrei cantare una canzone
perché mi sospettino di fumo, in aria,
e di animale tagliato nella spuma,
in lunga, lieve, risata d’arpa.

Potrei portare al cuore ricordi
come unghie che cadono dall’anima.

Ma sono quasi al bordo del tuo corpo,

ma il tuo nudo è ai piedi del solco
in veste di profondità;

pensa alla tua età il mare e impallidiscono
delfini ciechi cielo in alto, in ramo,
pensando più il cielo in meno aria,
mare con solo onde e senz’acqua.

E tu al bordo del paesaggio tremi
ah, intramarino pescatore di spume
la cui anca cresce tra coralli,

crepuscolo macchiato di violini
compagno fugace del mio fianco.

II

Qualcuno passa sfiorandomi le vene
e s’apre il solco tra il fiore e il labbro.

È che giunge la notte
in colonna d’amore e usignoli;
il suo casco azzurro, lacustre, sciacqua l’alba,
scende nebbia dalla sua pelle e fuggono
attriti di piuma ferita e prima luce.

E prima d’essere,
per futuro approdo di pianeta
tenebra inaugurale,
cristallo schivo,
quiete di sommersi risplendori,
la notte è fatta d’aria e stelo oscuro.

Preludi

I

Ascoltami questa canzone che in me ti nomina
carne per la frutta necessaria.

Quando la solitudine
sotto il tuo nome udita e premuta,
quando ero come bimbo interrato
che chiamano col suo nome passato,
e risponde, e non si sente in se stesso;

e la mia mano nel fondo,
confusa,
aveva già indizio, chiave, forma mia,

e si sentiva più in alto del petto e dell’abbraccio
come corona allegra e consumata.

Tu mi chiamavi al tuo nome,
e venni,
con chiara identità di nascite,
con la verace abituata grazia
con cui sognano le cattedrali il proprio onore.

Tu sei ormai di giorno unito alla notte.
Ormai sono con te il giorno,
e in virtù dell’assenza in cui mi evoco
guardo come la mia forma mi divide,
come respiro in capelli e a mansalva,
da dentro la mia voce e non lontano.

Epigrafe

I

La tua mano in cui sdoppiano usignoli
la loro pallida nudezza,
il loro ampio petto di muschio coronato,
è mano che apre al vento reclinato
chiaro gelsomino tra le tempie oscure.

Sì, sfogliata l’acqua sulla fronte,
coltiva breve placidità di lirio
e tra le dita spicchi di violini.

II

Tendi l’udito e ascolta questa canzone
che è come una semente di stagioni.

Che è come la casa dell’estate
dove mi cresce dalla mano un bimbo
e l’anima dà palpiti alla riva
ed è come pelle l’anima, non si sente.

Entreremo d’un tratto nell’estate come alberi
vegetalmente aperti di uditi e di polvere,

perché tutto rifluisce nell’approdo,
ascende il ventre a capitale di frutto
e l’aria all’equazione di una rondine.

Germogli sacramentali dell’erba,
oh, doni che salgono dalle viscere,
somma di transitati nutrimenti!

E all’altezza del petto e alla coltura
semente di silenzio e luce incolta.

Tutto ritorna alla sua forma esatta.
La vita riprende la sua ambizione breve
d’essere, del tutto, vegetale fondo,
recondito edificio e luce aperta.

Accordo finale

Al bordo di allegri segatori trema l’acqua,
e offre per l’ordine del labbro compiaciuto
dolce rotta cresciuta d’impregnati mattini,
e agraria trasparenza, dolcemente incendiata.

Il grano coronato di premuto spessore,
trattiene lo sbordato colore con cui gli ordinano
– vicino alla carne – di colmarsi in primavera.

Il bestiame decresce teneramente nell’oscuro
dove dilata il suolo la sua stupita corrente,
e l’ape termina il suo transito di neve
e il suo ovile occulto sopra timidi diaspri.

E tu, Amato,
che poni rotta fissa all’aratro
che aggira la sera e affretta la rosa,

dove tieni il petto frondoso di radici,
dove la tempia nuda senza grembo né termine.

Sopra le greggi soavi, candidi condottieri
abilitano l’uva perché alloggi il vino,
e congregano il clima affinché cresca il suo aroma
e spartisca sulla lingua mazzi di allegria.

Così l’estate cura la sua recente bellezza
e sopra il vento solo riparte i suoi uccelli.

Così la madreperla sparge la sua quiete e diletto
e il suo colore silvestre riannoda e alimenta.

Oh doni,
oh doni terrestri,
oh soavi alimenti;

Solo sfinire la semina col petto,

solo sboccare a gioia e detenersi

oh pelle,

oh cenere colmata e balbuziente!

*

Poema octavo

I

Pregunté a las mujeres del campo
por el Hombre;

pregunté a la mujer
cuya insepulta frente deteníase
al cabo de su niño infecundo
y sollozaba.

¿Mujer,
has visto tú a mi Amado,

has visto al huésped mío,
al Camarada hermoso?

Su carne que el verano
golpea de amapolas,

su nariz de poniente,

y el pecho de oro náufrago
como los litorales.

¿Lo conoces?

Puede pasar de pronto
con la piel soñolienta
y alegres las axilas retumbantes
y frescas.

Oh,
el Camarada hermoso
con los talones ágiles
y pálido el peinado candoroso,

saturada de clima nocturno
su garganta,

y la mano en que estalla la angustia
como el mar.

¿Lo reconoces
reposando al borde de mis inmediaciones
como torrente de islas y pájaros cautivos?

II

Yo lo busco.

Él es mi Camarada;

junto a su mano dejan
su olor las golondrinas

y una ola de mineral oculto
lo recorre.

Queréis hallarlo conmigo

¡oh mujeres de vientre madurado
en cuya piel antigua desfallece el tiempo del desnudo
y se hace honda en la frente
la señal de parir
y sollozar!
¡Oh, doncellas alegres
en cuya boca estalla el primer ruiseñor
y el agua masculina
es recogida en cauce estremecido!

¡Oh, niños de marfil y nácar fugitivo
por cuyo salto de jazmín
resbalan las mañanas escolares!

Busco a mi Camarada
y por su origen inocente
avanzo
sin saberlo;
y me detengo.
Buscadlo cuando el trueno,
cuando las manos de Dios vienen rodando
como suaves árboles enfurecidos,

por entre los sepulcros invasores,

entre semanas llenas de ovejas
y enramadas.

Queréis buscarlo conmigo,
y exaltarlo,
a Él, al Hombre,

al que camina en parte
con mi alma,

al del muslo entornado
cuya daga sumergida en la noche
ya no tiembla en el aire,
ni secará en su diestra
cortada a pico
y sola con el miedo.

Y al otro,
desamado sollozo de mi frente
que apenas tiene un trozo de hierba
para posar su oído
y es señor de arboledas y ciudades.

Al Hombre, al Camarada.

Bendito sea su vientre
que comparto en el seno de mi madre.

Queréis buscarlo
y exaltarlo conmigo,

al Amado del día transitorio
cuya angustia se detiene
en mis pechos como el mar.

Queréis que vaya y me ofrezca en sus manos
como semilla de éxtasis,

que le lleve mi cuerpo
reclinado entre palomas,

y que llene su boca
de sol y mediodía.

Oh niños,

oh doncellas alegres,

oh mujeres de vientre madurado,

glorificadlo
y exaltadlo conmigo.

Hasta que nuestras bocas sagradas
se detengan.

Así sea.

Poesia ottava

I

Domandai alle donne del campo
dell’Uomo;

domandai alla donna
la cui fronte insepolta si tratteneva
al capo del suo bimbo infecondo
e singhiozzava.

– Donna,
hai visto tu il mio Amato,

hai visto l’ospite mio,
il Camerata mirabile?

La sua carne che l’estate
colpisce di papaveri,

le sue nari di ponente,

e il petto d’oro naufrago
come i litorali.

Lo conosci?

Può passare d’improvviso
con la pelle sonnolenta
e allegre le ascelle risonanti
e fresche.

Oh,
il Camerata mirabile
con i talloni agili
e pallida la pettinatura candida,

saturata di notturno clima
la sua gola,

e la mano in cui scoppia l’angustia
come il mare.

Lo riconosci
riposando al bordo delle mie immediatezze
come torrente d’isole e uccelli rinchiusi?

II

Io lo cerco.

Lui è il mio Camerata;

giunto alla sua mano lasciano
il loro odore le rondini

e una onda di minerale occulto
lo percorre.

Volete trovarlo con me

oh, donne di ventre maturato
nella cui pelle antica sviene il tempo della nudità
e si fa fondo nella fronte
il segno di partorire
e singhiozzare!
Oh, fanciulle allegre
nella cui bocca scoppia il primo usignolo
e l’acqua mascolina
è raccolta in alvei tremati!

Oh, bimbi d’avorio e madreperla fuggitiva
per il cui salto di gelsomino
scivolano le mattine della scuola!

Cerco il mio Camerata
e per la sua origine innocente
avanzo
senza saperlo;
e mi trattengo.
Cercatelo quando il tuono,
quando le mani di Dio vengono rotando
come soavi alberi infuriati,

fra i sepolcri invasori,

fra settimane colme di pecore
e infrascate.

Volete cercarlo con me,
e esaltarlo,
Lui, l’Uomo,

quello che cammina in parte
con la mia anima,

quello del muscolo socchiuso
la cui daga sommersa nella notte
già non trema nell’aria,
né seccherà nella sua destra
tagliata a picco
e sola con la paura.

E l’altro,
sfacciato singhiozzo della mia fronte
che appena tiene un pezzo d’erba
per posare il suo udito
ed è signore di arboreti e città.

L’Uomo, il Camerata.

Benedetto sia il suo ventre
che comparto nel seno di mia madre.

Volete cercarlo
e esaltarlo con me,

l’amato del giorno transitorio
la cui angustia si trattiene
nei miei seni come il mare.

Volete che vada e mi offra alle sue mani
come semente d’estasi,

che gli porti il mio corpo
reclinato tra colombe,

e che colmi la sua bocca
di sole e mezzogiorno.

Oh bambini,

oh fanciulle allegre,

oh donne di ventre maturato,

glorificatelo
e esaltatelo con me.

Fino a che le nostre bocche sacrate
si trattengano.

Così sia.

(fonte: Eunice Odio – Obras completas, 1996, a cura di Peggy Von Mayer – Editorial de la Universidad de Costa Rica e Universidad Nacional).

Nota:

I quattro testi qui presentati sono a completamento del poemetto Gli elementi terrestri e tratti da Eunice Odio – Obras completas del 1996, per gentile concessione della Editorial de la Universidad de Costa Rica e della Editorial de la Universidad Nacional.

I rimanenti testi de Gli elementi terrestri sono già stati tradotti nell’antologia di Eunice Odio Come le rose disordinando l’aria (Passigli 2015) a cura di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli, nella plaquette Questo è il bosco e altre poesie (Via del Vento 2009), ne I poeti di Costa Rica in Sagarana nel 2011 e nell’ebook Nell’imminenza del giorno (La Recherche 2013) a cura di Tomaso Pieragnolo.

Eunice Odio nacque a San José in Costa Rica il 9 ottobre 1919 da una famiglia piccolo borghese della capitale e morì a Città del Messico il 23 marzo 1974 in completa solitudine, a causa del carattere collerico e dei problemi di alcolismo che accompagnarono gli ultimi anni della sua inquieta esistenza e che la resero infrequentabile anche ai suoi stessi amici. Dopo aver frequentato le scuole primarie e secondarie a San José mettendosi in evidenza per la vivacissima intelligenza e la rapida capacità di apprendimento, arricchì la propria conoscenza con lo studio privato della poesia moderna. Si sposò nel 1939 con l’avvocato Enrique Coto Conde e poté usufruire così della eccellente biblioteca della sua famiglia; si separò da lui dopo appena due anni. Viaggiò per tutta l’America Centrale, Cuba e gli Stati Uniti. Di ritorno in Costa Rica alcune sue poesie furono lette alla radio nazionale con lo pseudonimo di Catalina Mariel; dal 1945 al 1947 pubblicò i suoi testi nel «Repertorio Americano» di J. G. Monge e nei periodici La tribuna e Mujer y Hogar. Nel 1947 vinse il premio di poesia «15 de Septiembre» con la raccolta Los elementos terrestres e, dopo essersi recata in Guatemala per ritirarlo, decise di fermarsi a vivere in quel paese, lavorando come funzionario del Ministero dell’Educazione e come giornalista per riviste e periodici. Continuò comunque a viaggiare frequentemente per l’America Latina, specialmente in Argentina, dove pubblicò nel 1953 il secondo libro Zona en territorio del alba, selezionato per rappresentare il Centro America nella collezione «Brigadas Líricas». Nel 1955 si trasferì in Messico dove visse fino alla morte (tranne una permanenza di due anni negli Stati Uniti) e dove lavorò come giornalista culturale, critico d’arte e traduttrice dall’inglese, pubblicando racconti, saggi e rassegne in riviste specializzate, sviluppando per questo paese e la sua storia mitica un amore profondo e creativo, tanto da farle rifiutare diverse e ben retribuite offerte di lavoro in altri paesi, compresa l’Italia. Fu del 1957 il suo libro di maggiore esito, El transito de fuego che vinse il «Certamen de Cultura de El Salvador». Nel 1962 diventò cittadina messicana e dal 1964 collaborò con la rivista venezuelana Zona Franca. I suoi ultimi anni furono amareggiati dall’aspra polemica con la sinistra messicana, che mal reagì ai suoi critici articoli nei confronti di Fidel Castro, isolandola professionalmente e ostacolando la sua carriera giornalistica. Alimentò quel periodo della sua esistenza con l’alcol e una collera lacerante che ancor più la separarono dal mondo; morì nel 1974 mentre preparava una antologia dei suoi migliori testi (Territorio del alba y otros poemas), che ebbe edizione postuma nello stesso anno; il suo corpo fu trovato nel bagno di casa dieci giorni dopo il decesso.

Tomaso Pieragnolo è nato a Padova nel 1965 e da 30 anni vive tra Italia e Costa Rica. La casa editrice Passigli ha pubblicato il suo ultimo libro “Viaggio incolume” (novembre 2017) e nel 2010 “nuovomondo”, finalista al Premio Palmi, Metauro, Minturnae, rosa finale del Premio Marazza e vincitore del Saturo d’Argento – Città di Leporano. Fra le sue precedenti raccolte Lettere lungo la strada (2002, premiato al Città di Marineo e finalista al Guido Gozzano di Belgirate), L’oceano e altri giorni (2005, finalista ai Premi Libero de Libero, Guido Gozzano di Belgirate e Ultima Frontiera di Volterra, vincitore del Premio Minturnae Giovani). Una sua selezione di poesie scelte è stata pubblicata in spagnolo dalla Editorial de la Universidad de Costa Rica e dalla Fundación Casa de Poesía (Poesía escogida, 2009). La sua attività di traduttore di poesia latinoamericana si è svolta dal 2007 in collaborazione con la rivista Sagarana, nella quale ha proposto principalmente autori del Costa Rica e del Centro America, non ancora tradotti in Italia, e con alcune case editrici che hanno pubblicato le sue traduzioni di Eunice Odio (Questo è il bosco e altre poesie, Via del Vento 2009, Menzione Speciale Premio Camaiore per la traduzione, e Come le rose disordinando l’aria, Passigli 2015 in collaborazione con Rosa Gallitelli, finalista Premio Città di Morlupo e Premio Città di Trento), di Laureano Albán, (Gli infimi crepuscoli, Via del Vento 2010 e Poesie imperdonabili, Passigli 2011, finalista Premio Internazionale Camaiore, rosa finale Premio Marazza per la traduzione) e di Juan Carlos Mestre (Non importa ormai vivere bensì la vita, Arcipelago Itaca, marzo 2019, Menzione Speciale Premio Camaiore per la traduzione). Ha partecipato ad alcuni Festival di poesia nazionali (Pordenonelegge, Poetry Vicenza, Fiera delle Parole di Padova, Quota Poesia di Trento, Cartacarbone di Treviso) e internazionali (Festival di Poesia di Granada in Nicaragua e Festival Internazionale di Poesia Costa Rica).

Rosa Gallitelli, nata a Pisticci (Matera) nel 1969, dal 1970 vive a Padova e dai primi anni novanta tra Italia e Costa Rica, dove ha trascorso lunghi periodi a stretto contatto con le popolazioni native tra la foresta vergine e l’Oceano Pacifico, cooperando poi nel tempo a progetti di tutela del patrimonio naturale. Dal 2007 ha tradotto con Tomaso Pieragnolo noti poeti ispanoamericani nella rivista Sagarana, con particolare attenzione alla ricerca di autori da proporre in anteprima in Italia, confluiti poi negli ebooks Nell’imminenza del giorno (La Recherche, 2013) e Ad ora incerta (La Recherche, 2014); ha curato la prima antologia italiana bilingue della nota poetessa costaricana Eunice Odio Come le rose disordinando l’aria (Passigli, 2015), definita da Giuseppe Bellini “opera importante di traduzione, resa con encomiabile fedeltà, tale da ricreare il clima dell’originale”. A novembre 2015 la casa editrice Passigli ha pubblicato la sua prima raccolta poetica Selva creatura leggera (Premio Minturnae, finalista Premio Città di Marineo e Premio Città di Morlupo, selezione Premio Marazza).

 

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