Recensione di Franca Alaimo

Il titolo, coincidente con il soggetto poetico, richiama immediatamente un mito  antichissimo che ha dato vita ad una sterminata produzione letteraria ed iconografica, a partire dall’età neolitica fino ai nostri giorni, arricchendosi, via via, di significati ed interpretazioni diverse, quasi adattandosi al variare della percezione individuale e collettiva della realtà esteriore ed interiore. La svolta più significativa è stata determinata, nel ‘900 da Freud, che con la teorizzazione dell’inconscio, ha svelato l’esistenza dei mondi infiniti che ci abitano parallelamente a quelli dell’universo teorizzati da Einstein, mandando all’aria l’ordine razionale di Cartesio per sostituirlo con il disordine labirintico della psiche. In ogni caso sull’idea freudiana di questo “continente interiore”, che è uno dei nuclei fondanti del pensiero dell’autrice, dirò, spero meglio,  successivamente.Quello che adesso mi preme di più  è fare emergere lo stretto legame che la poesia di Mirella intrattiene con moltissimi architetti e soprattutto pittori dal Novecento ad oggi, i quali, più che dalla riflessione filosofica, sembrano attingere i propri contenuti dalle scienze occulte, come, per esempio, Balla.

Torniamo, dunque, indietro, prendiamo il libro in mano, e guardiamo la copertina che è la riproduzione di un dipinto della stessa autrice intitolato “The sacred circle” (per chi non conoscesse l’inglese: Il sacro cerchio) e ne deduciamo che Mirella Crapanzano dà al percorso labirintico il valore di una prova iniziatica: si tratterebbe, in altre parole, di un viaggio avente come meta il centro, ossia quel luogo sacro da cui ha inizio ogni nascita. Nel dipinto di copertina vediamo, fra l’altro, il motivo della spirale e il simbolo dell’utero, assolutamente complementari l’uno all’altro. Il simbolo della spirale così frequente nella pittura di Balla, come scrive Verzotti, nelle scienze occulte ha una funzione simbolica vicina, o equivalente, a quella del labirinto. Il simbolo dell’utero, usato dall’autrice, non è nemmeno esso una sua invenzione, se già dalla preistoria il principale significato del labirinto sarebbe quello dell’utero, del grembo materno da cui si è partiti e al cui ritorno si anela in una sorta di annichilimento, dal quale, in seguito, ha di nuovo inizio la vita.

Tutto questo discorso non è una forzatura, in quanto Mirella Crapanzano, originale pittrice così come poeta affatto inquadrabile in qualsivoglia corrente o scuola, sottolinea con questo libro la perfetta coincidenza del suo personalissimo immaginario iconico con quello verbale, teso, attraverso invenzioni di difficile traduzione, alle altezze mitiche del soggetto. Basterà, dunque, tenere presente quanto detto fino a questo momento  per cominciare la lettura di questo itinerario labirintico che l’autrice traccia attraverso 31 testi, che, privi di titoli (rari, invece,  i segni d’interpunzione), sono caratterizzarti da un ritmo poematico, come sottolinea il prefatore Giuseppe Manitta. stazioni di un itinerario verso il monstrum, l’ambivalente termine latino che indica tanto l’orrore che il prodigio. E, visto che siamo passati a considerare l’immaginario verbale dell’autrice, mi sembra molto utile citare Bonito Oliva che in un saggio sul labirinto, scrive che ogni artista, come l’eroe Teseo, munito di spada, di gomitolo di filo e del proprio coraggio, esplora con il suo linguaggio il labirinto per eliminare la bestia e risalire alla luce.

Il lessico dell’autrice, in cui tutti i simboli del mito (il labirinto, in primis, che ricorre dodici volte, il gomitolo, il filo) accoglie molti altri archetipi, come la terra, l’acqua, il buio e la luce, che si caricano, però, di sensi ed emozioni personali. Infatti, il percorso di Mirella non è una proiezione mentale, ma un reale inabissamento nel proprio continente, come prima si diceva, o labirinto interiore, sulle cui pareti la memoria  personale e collettiva (quella specie di recipiente cosmico di cui parla Jung) hanno lasciato strani geroglifici e incisioni da interpretare perché dal confuso gomitolo del nostro essere ed essere stati possa venire fuori quel filo che lega insieme, che offra un appiglio, per quanto sottile possa essere, utile a non smarrire se stessi.

Le emozioni, anche se declinate attraverso metafore e archetipi, balzano fuori violentemente da questo narrato simbolico, caricandolo di una continua tensione (appena alleggerita dall’affioramento di qualche punto luminoso) che si scioglie solo nel testo finale. È come se l’autrice tentasse di innervare la propria biografia, il proprio mondo interiore, in un sistema di metafore del profondo; per esempio, trovare nel suo labirinto l’acqua, elemento estraneo all’antico mito, se provoca da una parte un improvviso, forte stupore, dall’altra parte favorisce un salto interpretativo che rimanda (al di là delle acque dell’utero/uroboro, di cui, come si diceva il labirinto è simbolo) al territorio nativo che illumina i versi di  Terracqua – titolo di  un’altra raccolta del 2016 della Crapanzano –  e a quel mare di Sicilia in cui il suo corpo bambino fu avvolto come da un lavacro sacro, mare culla e sposalizio: “la bambina ha squame d’oro/ abita voci di tartarughe/ le mani incrostate da unioni anfibie/ si confonde con i fondali verdazzurri” scrive in Terracqua e in Il Labirinto: “aspiro l’odore/ che fa la terra umida/ sempre ho il sentore/ di una dimora sconosciuta/ l’acqua allaga custodisce la memoria/ il tempo, la distanza…”

 Ma sospendere il viaggio entronautico sulla soglia dello stupore infantile sarebbe  una facile e infeconda soluzione per l’autrice, che, volendo invece raggiungere una qualche verità, accetta come Teseo, la sfida di accedere al centro, al monstrum della propria psiche adulta, indagandone coraggiosamente tutto il buio fra smarrimento e paura, tracce e presagi di morte. Il filo rosso delle parole si sgomitola fra coppie oppositive, attraversa l’incandescenza del mistero, la stanza enigmatica dell’anima con i suoi indecifrabili oggetti, dà voce alle lacerazioni intime, privilegia il ritmo ripetitivo proprio dei simboli, tentando comunque un approdo.  Sembra, ad un certo punto,  che le venga incontro una figura amorosa: è il “tu” che irrompe nei versi evidenziando il desiderio di un dialogo, di una relazione affettiva; e non importa che quest’ultima sia immersa nel fragile tessuto del tempo terreno, perché “che sia breve poco importa – si legge nel testo a pagina 33 – è un breve che ripaga d’ altre vite/ ad uscire da se stessi: la notte si fa chiara”.

In questo modo, l’io, dopo un rito di spoliazione e ridefinizione di sé, incontrando il tu e con esso l’amore, si apre verso una direzione salvifica. Già a partire, infatti, dal ventisettesimo testo si insinua una nuova chiarità: è il preludio a quel canto di guarigione che suggella l’ultimo testo, che dice: “il velo squarciato manifesta l’oltre/ un canto di guarigione/ a strapiombo sull’incertezza/ è un faro”. Non è certamente la fine del viaggio, ma l’inizio di una navigazione meno incerta ed angosciante, ora che il canto a strapiombo sull’incertezza è simile a un faro che squarcia la tenebra. Né d’altra parte c’era da attendersi un esito diverso da parte della poeta: è la parola a traghettare ogni cosa dal pensiero alla materializzazione della scrittura; è la musica che fanno le parole accostate le une alle altre a generare armonia. Non per niente la poesia di Mirella Crapanzano suona e anche fortemente tra reiterazioni, rime, assonanze, consonanze, allitterazioni, e altri legami che trasformano le parole quasi in un flusso acquoreo incessante. È, insomma, quella della Crapanzano una poesia che scavalca se stessa, che genera echi, che spesso si sottrae ad una comprensione totale e diventa essa stessa segnale, oltre che insieme di segni, tensione evocativa piuttosto che definizione.

 

Da Il labirinto (Il Convivio Editore, 2018)

I

torno al mio centro
all’isola senza confini
isola d’acqua fonda
che l’Essere conosce
torno e il mio tempo
diviene terra, materia
da plasmare
si srotola in un filo
un punto oltre l’orizzonte
oltre le ombre
tiene sgombra la mente
mi allena al vuoto
il mio tempo, la mia origine
dentro la terra
sta tutto in un gomitolo

*

VI

da quale distanza arriva
questo silenzio
replico l’oro, l’essenza
il gesto misurato
una combinazione alchemica
predispone la mia esistenza
a un richiamo
vi è forse una ragione
per indagare l’inquietudine
che sempre mi appartiene?

*

XXII

sono asimmetrica, imperfetta
una gocciola su terra nuda
scura, imbevo di sogni l’oro
dei miei occhi, il verde acqua
affiora, incessante, dalla pelle
cosa resta se non la brevità
un bagliore di bellezza
consapevole
in quel bagliore una visione

 

Mirella Crapanzano (Agrigento 1959) è pittrice e poeta.  Sue poesie sono presenti in diverse antologie, riviste e in numerosi siti e blog di letteratura. Tra le sue pubblicazioni: Le stanze del fiore nero (LietoColle 2014) e Terracqua (Terra d’ulivi edizioni 2016), con la quale ha vinto il primo premio Castello di Prata Sannita L’Iguana, dedicato a Maria Ortese, per la poesia edita 2017.

 

Franca Alaimo è nata nel 1947. Vive a Palermo. Esordisce come poeta nel 1989 con Impossibile Luna a cui sono seguite altre diciassette sillogi, quattro e-book editi con La Recherche, e una pubblicazione con PulcinoElefante. Ha scritto saggi sugli autori contemporanei: D. Cara, T. Romano, L. Luisi, F. Loi, G. Rescigno. È presente in numerosi volumi di Storia della Letteratura italiana, e in InsulariI. Romanzo della letteratura siciliana di Stefano Lanuzza; in diverse antologie (tra cui: Newton Compton, Aragno, LietoColle, Laboratorio delle Arti; Giuliano Ladolfi Editore) e in riviste quali Poesia (dove è stata presentata da M. Bettarini e da M. G. Calandrone), Anterem, Italian Poetry Review, Bomba carta e molte altre. Ha tradotto dall’inglese due brevi sillogi del poeta irlandese Peter Russell. È presente sul sito Italian Poetry e in quello internazionale di Sabido Sanchez. Alcuni suoi testi sono stati tradotti in spagnolo, inglese e tedesco. Fa parte del team redazionale della rivista on-line La Recherche. Si occupa anche di critica letteraria, recensendo opere di autori contemporanei. Le sue più recenti pubblicazioni (2018), edite da Giulinao Ladolfi, sono: la raccolta poetica Elogi e l’antologia Il corpo, l’eros, che riunisce i testi di oltre sessantotto poete italiane e straniere, alla quale ha partecipato in veste di curatrice e di autrice.

 

 

 

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