Fotografia di Dino Ignani

Recensione di Paolo Pera

La nuova silloge di Silvio Raffo, Il taccuino del recluso (Interno Poesia, 2021), reca come sottotitolo l’ancora più significativo La veglia del novizio, questo perché il poeta di Varese, nel dispiegarsi delle sue quartine, dei suoi versi chiari e perfetti (pure nelle incursioni del sempre vivo “giovane dolore”), narra anzitutto la propria esperienza d’incontro con la Luce trascendente. Come suggerisce Silvio Aman nella prefazione, Raffo ha quest’esperienza al pari dei mistici: «Stasi come estasi? Certo! … e non sono sempre i mistici, con i loro improvvisi cortocircuiti, a raggiungerla nella staticità delle loro celle?», insomma, l’avvenimento del lockdown, come ci dà da intendere Sacha Piersanti nella postfazione, deve aver portato l’autore a sentirsi come quel novizio che, nei primi giorni di clausura, soffre, ricorda sé stesso nel Secolo, piange, agogna l’incontro con una “novizia” per potersi condividere e, infine, vede il Dio che è stato messo lì a scoprire. Raffo, dunque, trasumana all’interno della sua “celletta”, e – sempre riferendoci alle intuizioni di Aman – la “prigionia del limbo”, durante la quale il poeta ha esperienza del divino, è opposta a quella dantesca, poiché Raffo non sale verso l’amorevole Luce, ma la vede soltanto con gli occhi della mente, non sale col corpo ma coi sensi, la qual cosa gli apre una nuova prospettiva sull’esistenza oltremondana, che scopriremo alla fine del suo viaggio. Quindi, l’autore trasumana non alla maniera di Dante, avventura forse troppo metaforica, ma nel modo che fu della sua Diva, Emily Dickinson, modalità che lui stesso illustra in un articolo apparso su Pangea.news il 6 ottobre del 2021 (https://www.pangea.news/dickinson-dante-silvio-raffo/): «L’esperienza della visione di Dio non è privilegio esclusivo dei mistici. I poeti – quelli veri, per intenderci quelli che Platone definiva nello Ione “creature alate e sacre” – testimoniano che si tratta di un’esperienza esistenziale che, sebbene quasi impossibile da esprimere in parole (“significar per verba”) può tuttavia essere rappresentata e trovare forma in un linguaggio, appunto, poetico». Porterò ora alcuni esempi delle vicende “paradisiache”, dell’ascesi, racchiuse nel volume. Il poeta sin dalle prime rime tiene a rendere noto che il tempo si sia arrestato, primo indizio d’essere al di là della comune fisica, almeno interiormente, «Il tempo si è sospeso al suo confine / e più non si affatica a tormentarci», così le tristezze di stagioni ormai vanite si dimostrano un misero niente, ora le ali del Nostro puntano ad altro: «Era Amore quel futile delirio, / quell’ossessione ostile a ogni bellezza? / Attingere la palma del martirio / non si poteva a più sublime altezza?», il non-tempo, come un «baratro silente e assoluto» ma incantato, è «sospensione adamantina» che ci avvicina al «costante contatto con l’Eterno». Certamente l’augurio, oltreché il sentore, è quello d’una eternità nella morte; il poeta è comunque afflitto da ciò che chiamo la “possibilità del Nulla”, ma al contempo combatte col modo d’intendere sé stesso: creatura luminosa od oscura? Un Minotauro in attesa della morte che, con Tèseo, verrà dal buio? Nel caso, un Minotauro gentile, com’era quello di Cortázar! Come già scriveva nel suo articolo («una vera e propria ‘ascesi’ dell’anima che dalla ‘stasi’ (annulla-mento del contingente) perviene all’‘estasi’ (contatto con l’essenza): l’avvertimento della compiutezza del desiderio, che più intenso non potrebbe essere») così Raffo mette in versi la realtà d’elevazione dai desideri immanenti: «Migrano altrove i sogni e i desideri / e lasciano la Terra di Nessuno / all’anima deserta di pensieri, / di vane brame e di tormento alcuno», ma pure: «Esaurito ogni palpito, ogni afflato / deposta ogni speranza che ci affanni, / non c’è minaccia di futuri inganni. / Ed è come se nulla fosse stato». Si raggiunge così l’assenza di tempo e spazio, in una parola l’Infinito: «Trasumanare è l’unica avventura / annullare del corpo ogni barriera – / del tempo valicare la frontiera. / Questa è dell’Infinito la misura», è forse questa la Gioia? Eterna evanescenza di ogni cosa, ma lieve, irrorata di Bellezza, pure nel costante oblio di tutto. Ma il male, che l’oblio è, «annienta solo chi lo vive», chi se ne lascia tormentare. Ora il poeta, resosi davvero anacoreta, almeno fino alla fuoriuscita dalla “clausura imposta”, ha un vero motivo di sprezzo per quell’«atomo opaco del male» e per i suoi abitatori, che – legati all’io, alla materia e al tempo – soffrono ed esibiscono la loro sofferenza, giacché incapaci di prendere le distanze dalla condizione umana. Con questo spettacolo sotto la torre con «portali d’alabastro» Raffo è, di fatto, la «Sentinella del Disastro»; fortunatamente per distrarlo dall’orrore basta «una flotta di nuvole», in pratica «velieri in fuga di un etereo mare». Il Silenzio – che, si sa, è Voce di Dio – diviene ora la Sirena di quest’Ulisse, ahilui, sedentario. «Moltiplicare i giorni dell’attesa / nella certezza di un’estrema festa. / Eterno si fa il tempo, e l’ardua impresa / si fa leggera. Gioia pura è questa», insomma: l’Eternità è l’attesa di un evento sublime, evento (la fine?) che non arriva… E che non arrivi è ciò che dà piena soddisfazione d’esistere. Il poeta, poi, assunto nella Luce («Quest’immobilità di luce infusa / è vitrea sospensione dell’Evento – / non speranza che resterà delusa, / ma incredulo e perenne incantamento»), ha finalmente sconfitto il suo “dolore sempre giovane”, il dolore che lo manteneva giovane: manteneva, sì, poiché ora a renderlo tale è la Luce stessa. Al fine della prigionia, Raffo si riconosce amico del proprio «Uomo Interiore», che, recluso nella celletta, deve aver di certo cesellato ulteriormente: quest’Uomo potrebbe sembrare lo shapeless friend della Dickinson, ma là dove in Emily si trattava di una presenza altra da lei, in Raffo si tratterebbe di un sé stesso “più vero” in lui contenuto, e al contempo suo specchio e compagno di viaggio verso la medesima direzione («Sempre allo stesso Centro ritorniamo»). Arrivando quindi alla fine del percorso, il poeta ha acquistato un nuovo rapporto con la morte: «Il nulla che di sé ci ha contagiati / anestetizza ogni ansia, ogni paura», essa non è più il tempo che ci dilania, il divenire, ma bensì quel passaggio silenzioso che investe di Luce, passaggio saggiato dal Nostro in quelle ore di cheta e solitaria angoscia. E Dio, per ciò, ci sarebbe ma «non esiste»: Raffo, in conclusione, ne comprende l’essenza quale luce, “chiarore mentale”, che si dà e che subito si ritrae (come l’Essere heideggeriano?!), ma che, nello stesso modo, infinita ogni morto in sé – come pure ogni vivente –, rendendolo luce nella Luce in un «flusso ininterrotto» di Vita.

Da Il taccuino del recluso (Interno Poesia, 2021)

Del Minotauro immagino la stanza
di pareti fasciata ultrasonore –
Arianna il filo tende, alla distanza
Tèseo avanza nel fitto tenebrore.

*

a Edgar

Ligeia vedo, e Berenice ancella
dell’incubo, e nel gelido splendore
di un sepolcro l’orrida Morella –
le immacolate Spose del Terrore.

*

Distilla di quest’intimo liquore
ogni goccia con fervida pazienza:
la gioia consapevole non muore,
si dissolve in perenne evanescenza.

*

Docile inerte apprendistato il nostro.
La sfida è di resistere sereni
senza difese di contravveleni
mentre ci insidia un favoloso mostro.

 

Silvio Raffo è poeta, traduttore, saggista e drammaturgo. Ha al suo attivo più di dieci romanzi, tra cui La voce della pietra (già finalista al Premio Strega nel 1997, ora Elliot, 2018) da cui è stato tratto il film omonimo di Eric Howell con Emilia Clarke; Il segreto di Marie-Belle (Elliot, 2019), vincitore del Premio Lord Byron e Lo specchio attento (Elliot, 2020). Ha curato, sempre per Elliot, L’amore che non osa, che presenta per la prima volta in Italia le poesie di Alfred Douglas e Natura, la più dolce delle madri, una raccolta delle poesie di Emily Dickinson. Di Emily Dickinson ha tradotto più di 1.500 poesie, per I Meridiani Mondadori e in varie antologie. Per Castelvecchi ha curato l’antologia della poesia italiana contemporanea, Muse del disincanto (2019). Ha vinto prestigiosi premi e collaborato a trasmissioni radiofoniche e televisive.

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