Immagine di Giovanni Chiaramonte

Discreto Sguardo

Rubrica a cura di Luca Pizzolitto

Sono entrato in quella piccolissima libreria dell’usato di Genova grazie alla mia ossessione per la puntualità. Per tre anni, una volta al mese, in un preciso momento della vita, mi sono trovato a scendere a Brignole, il sabato mattina, e da Brignole ripartire, la domenica pomeriggio.
Le lezioni iniziavano alle 10 ed io, non di rado, alle 8 mi trovavo, in perfetta solitudine, a far colazione in qualche bar, fuori dalla stazione.
Il resto del tempo camminavo per la città, spesse volte senza una meta precisa; mi fermavo in qualche dove, leggevo. Aspettavo si facesse metà mattina, l’orario di inizio delle lezioni.
Un sabato d’estate, trovai il solito bar (sono anche fortemente abitudinario, su alcune cose) chiuso. Così andò che attraversai una piccola piazza che, in precedenza, non avevo mai considerato.
In quella piazza non trovai alcun bar, ma una libreria dell’usato. Aperta alle 8,30 di un sabato mattina d’estate.
Entrai, mi diressi verso lo scaffale dedicato alla poesia e, in mezzo ad una sfilza di nomi finanche troppo conosciuti, trovai un libro dalla costa verde scuro. Lo sfilai dal posto che occupava. Mi bastò il titolo della raccolta, Vivere alla giornata, per andare verso la cassa ed acquistarlo.

La poesia di Gemma Bracco è una poesia intimista, caratterizzata da una precisa attenzione per le piccole cose (in particolar modo quelle che appartengono al mondo vegetale ed animale). C’è, nella sua parola, una continua oscillazione tra il dentro e il fuori, l’ambiente e lo spirito.
Il peso del vivere quotidiano, la paura, la ferita del vuoto sono contenuti ed accolti nell’ampio grembo dell’incedere di stagioni, nei ritmi della natura, che diventano così possibili momenti di salvezza, spiragli in grado di cogliere un senso, un significato.

Da Vivere alla giornata (Mondadori 2013)

perché sono diventata povera
ognuno si allontana
e anche la primavera che ama
le bocche fresche e le braccia forti
I miei occhi sguarniti
possono guardare nel fondo del mare
e le mie mani accarezzare le radici
sotto la terra
Se la grazia mi ha lasciato
guardami come sono
la mia povertà come un cilicio
mi punisce e mi tiene in vita
Ho conosciuto i colori ora immersi
nella pioggia
posso sentire cadere
i petali della rosa
e accendersi l’alba sul mare
ora posso con ogni foglia
bagnarmi di luce
sospirare nel vento

*

cancella e cancella
quasi avevo cancellato
i miei glicini che si susseguono
i lilla e i bianchi
così affollati e continui
a non finire oltre la vasta pergola
li ho catturati in fotografie
li guardo e li riguardo
cancella e cancella
solo loro e il mare di Anacapri
che li attraversa
fremono nella mia retina
un tremito di bellezza
quando il vento li accarezza
dopo il brivido della paura
dopo la scossa del dolore
dopo il crollo della speranza
ecco il dono annuale del giardino
ecco la ritrovata dolcezza della natura
il luminoso presente che è già rimpianto
apparizione e sparizione
di pochi giorni

*

scrivevi la vita è precaria
la nostra precarietà è diventata un’abitudine
un difetto congenito
senza mutare il mondo
abbiamo tanto camminato sulle strade
pellegrini stremati ma determinati
un viottolo un tratturo
il puzzle dei sampietrini
o l’alta velocità
tra sonno e veglia
molti giorni e molte stagioni erano comandati
dalla sveglia del mattino
Per noi il miracolo
prometteva solo penitenza e purificazione
Quest’anno l’autunno vuole aiutarci
fa tutto al posto nostro
scarnire e mettere a nudo ogni vivente
il pioppo è quasi puro scheletro
la quercia porta il saio bruno
della penitente

*

per anni ho rischiato
di non amare l’estate
era la pietra tombale
su speranze mai nate
sorrette ancora delle grucce dell’inverno
Ora alibi non ci sono più
spazzati via dal fortunale
o disciolti nel caldo
Il temporale di primavera
pone fine ai finti attacchi
e già ogni sera
si sgrana il ronzio lungo dell’estate
Ogni stagione tanto poco dura
Vivere alla giornata
per noi è già un’avventura

*

di primo mattino
la luce è entrata strisciando
dolorosa nascita
parto senza grido
la paura riavvoltola le sue spire
e si nasconde
È giorno ormai
fruscio di pioggia soffice
sulle piastrelle
un guanto ci ghermisce
senza lasciare impronte

 

Una riflessione sulla poesia di Gemma Bracco, di Loretto Rafanelli

La Bracco ha costruito un libro che pare una lunga intima confessione sui vari momenti della sua esistenza, che spesso si tramuta in una dichiarazione di impotenza ad affrontare la «malinconica giornata», specie quando persiste il «mattino silenzio»; ma pure contengono scatti che si risolvono «nella speranza di pace», nell’attenzione piena a chiedere ancora una svolta proprio alla notte: «la notte mi deve insegnare/ a rendere invisibili i dolori/ e anche con un ritmo così lento/ aprire nuove fasi/ di luce». Poesia, dicevamo, fortemente intima (come spesso capita di leggere nella poesia italiana, decisamente lirica e introspettiva a differenza di certa poesia europea), tuttavia, la Bracco non guarda solo dentro di sé, ma ha pure un occhio attento al mondo, uno sguardo leggero e dolce, che si proietta sulle cose senza alcun clamore, perché la dimensione della sua scrittura è sempre appropriata a un passo che si fa amorevole e ospitale, nell’accezione proprio di un abbraccio alle cose, quel «puro esercizio» alla comprensione dei fatti della vita, quando questi «stupiscono ancora», come nel caso di «un canto fuori dalle righe/ una storia di fedeltà/ un fuoco che riscalda e non brucia…».

 

Gemma Bracco è nata a Milano, dove ha compiuto i suoi studi, laureandosi con una tesi su La bufera di Eugenio Montale. Vive a Roma. Dopo la laurea, è rimasta per qualche tempo all’università di Milano, lavorando come assistente di Sergio Antonielli, mentre veniva istituita la cattedra di Letteratura Italiana Contemporanea. Parallelamente al lavoro di studio, scriveva già testi poetici, ma si concentrava maggiormente sull’attività di pittrice. Dal 1990 ha iniziato a dedicarsi interamente ed esclusivamente alla poesia. Nel 1993 ha pubblicato Misure del tempo (Mondadori) che raccoglie la sua produzione poetica dal 1989 al 1992. Alla fine del 1997, presso Guanda, Notturni. Nel 2006 è uscito il suo terzo volume, L’orto di Capri, Mondadori. Sempre per Mondadori viene pubblicato, nel 2013, Vivere alla giornata. La sua ultima raccolta è La musa del coraggio del 2017.

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