Vincitore del Primo premio (ex aequo) al Concorso “F. Liszt” di Bellagio 2011 per pianisti-compositori, finalista al Concorso “A. Dvorak” di Praga 2014, segnalato (con esecuzione e pubblicazione) al Concorso di composizione per pianoforte “Città di Spoleto” 2017, Jozef Pjetri ha dedicato parte dei suoi studi, delle sue ricerche e del suo percorso di pianista e compositore al legame tra letteratura e musica. Lo dimostrano la sua opera intitolata Prometheus che mette in musica il testo del compositore tedesco W. Goethe, la dimensione musicale costruita attorno ad alcune liriche di E. Montale, P. Neruda e ad alcuni scritti del filosofo F. W. Nietzsche. I suoi brani e alcune sue rivisitazioni in chiave personale di autori celebri lo hanno infatti poi condotto ad avvicinarsi a realtà culturali degne di rilievo nel panorama internazionale, permettendogli di esibirsi all’estero, in particolare nella città di Vienna. Ad essere onesti, sono poche le figure di spessore musicale e spirito creativo nell’Italia contemporanea che si muovono con disinvoltura e ampiezza di sguardo come il giovane J. Pjetri che, dichiarandosi «alla continua ricerca di un’Opera d’Arte Totale», ha dimostrato nel corso degli anni di considerare musica e poesie come un linguaggio unico e profondo, in grado di dialogare e di far confluire parole e note in un’unica composizione, e che forse lo ha condotto a fondare, assieme a Francesco Zevio l’associazione “Cultura in Atto”. Questi elementi caratterizzanti si fanno notare nei Tre notturni per Ezra a Venezia, omaggio al poeta americano Ezra Pound che amava la città di Venezia e che il compositore Pjetri immagina – nel primo movimento di quest’ opera – passeggiare lungo le Zattere nel suo ultimo giorno di vita. Un amore perduto, ma ancora in grado di destare l’animo del poeta da un torpore e da un susseguirsi di ricordi, è il primissimo soggetto della composizione; qui la successione lenta di accordi al pianoforte riportano la mente all’infrangersi delle onde sulla riva. Nel corso del secondo movimento si ha la sensazione di addentrarsi in abissi che solo la poesia è in grado di penetrare e di riportare in superficie, contemplando immagini, suoni, visioni e vuoti, silenzi che spesso sono temuti dagli scrittori e dagli artisti stessi. Lo sguardo di E. Pound, del resto, ha dimostrato già di esser stato capace di indagare il suo tempo, il Novecento e la sua arte, con sguardo critico, divenendo un autore di riferimento anche per molti successivi poeti e letterati, tra i quali Hemingway e Eliot. Non a caso J. Pjetri ha intitolato questo secondo momento musicale Guardandosi dentro e ha deciso di scrivere sottolineando la tendenza alla trasfigurazione e il carattere ideogrammatico dei Cantos del poeta americano. Il complesso lavoro del compositore qui, infatti, pare essere rivolto al concetto di scrittura stessa, conducendolo quasi a cercare nel pianoforte i testi da lui stesso creati, come si riscontra nella prima lirica, ad esempio: «infastidito al suono / che trasforma il dire in semplice voce». Ecco allora che effettivamente recuperiamo una duplice sfumatura del suo scrivere: da una parte l’esigenza di rendere comunicativo il silenzio, l’atmosfera quasi nostalgica a cui l’individuo si lascia andare; dall’altra il profondo desiderio di mettere se stessi in comunicazione col resto attorno, cercando un proprio linguaggio, una propria voce: «la mia lingua si unisce al vento e a queste onde nel pronunciarlo / e diventa un tintinnio». Qui in particolare l’autobiografismo si rende palese, mescolando ricordi, suggestioni, dolori, nostalgie e visioni in una composizione in cui la donna amata da Pjetri si ritrova nei suoni e nelle pause da questi. Il giovane compositore non vuole essere chiamato “poeta” poiché in realtà la sua scrittura muove da ispirazioni occasionali che quasi sempre sono alla ricerca di una sintesi, anche musicale, che egli desidera perfezionare, studiare, ricercare quasi ossessivamente senza sosta e senza vincoli lungo archi temporali piuttosto lunghi. Il terzo movimento, in tal senso, incarna proprio questo ideale: la sintesi d’una sensazione così forte e totalizzante da risultare eccessiva a chi sente l’esigenza di trasformarla in verbo o in musica. Il messaggio dei singoli componimenti si riscontra immediatamente nei titoli, come in quest’ultima parte dei “Tre Notturni”, intitolata Spiga cullata da placide onde. Muovendo tra percezione e realtà le parole, riconducendole poi al pianoforte, ecco formarsi l’opera nel suo significato complessivo: dei Notturni. Il carattere di questa forma musicale è infatti meditativo, seppur non invariabile: creato innanzitutto per il pianoforte, porta con sé evocazioni che mettono in relazione riflessione e immaginazione. In realtà, le composizioni qui trattate richiamano un’altra opera di Pjetri dal titolo Sur la Mélancolinie, opera per pianoforte in tre movimenti.
Curioso il fatto che Jozef Pjetri abbia prima scritto le poesie e solo in un secondo momento le composizioni pianistiche, inseguendo, appunto, la sintesi, la brevità e l’incisività che del resto ritroviamo nell’attacco dei primi accordi dei “Notturni” ma non solo, come dimostrano i seguenti versi, frutto di un lavoro successivo a quello del 2013, ma spinto da eguali attitudini e ambizioni: «in fondo / quello che rimane / sono solo gli Attimi chiamati col proprio nome» (testo pubblicato sul sito www.culturainatto.com).

Preludi a Tre notturni per Ezra a Venezia (2013)

I. Ricordando un Amore alle Zattere

consegno a certi giorni
il miglior silenzio
quello delle labbra serrate
infastidito al suono
che trasforma il dire in semplice voce
giorni di folla
più o meno folta

ma tengo per me
il nome che sussurro come un furto.
la mia lingua si unisce al vento e a queste onde nel pronunciarlo
e diventa un tintinnio

II. Guardandosi Dentro vel De profundis

porto con me un dolore
che maledico a voce alta
un dolore malato di malinconia
che ha Nome
e mi cammina affianco reggendo l’ombrello
un dolore che nutro
certe sere persino lo cullo
attendo che calmo si addormenti
per poter chiudere gli occhi anch’io
nei giorni di estremo silenzio
mi volto e più di una volta ​
lo cerco attorno
e nell’ansia di perderlo
smarrisco la strada

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