Dalla prefazione di Margherita Giacobino

[…] I versi di Anna Segre ci dicono qualcosa che dovremmo sapere bene: che due donne non si amano mai da uguali, ma sempre da diverse. Diverse una dall’altra e da ogni altra. E a volte la diversità è opposizione, e le parole non servono per comunicare o dialogare ma solo per ferirsi, a volte insomma l’amore somiglia a una guerra balcanica che cova sordamente, esplode, infuria per anni senza soluzione di continuità, salvo splendide tregue di passione. […] Agile e compatta, la raccolta di Anna Segre, non solo perché in gran parte ispirata da e dedicata alla stessa donna (quella del «ferino amore», della «carneficina di bellezza», per intenderci – anche se qua e là fanno capolino altre presenze femminili della memoria, forse appena meno formidabili ma anch’esse cariche di suggestione), ma soprattutto per il linguaggio, il tono, che ha un ritmo come di respiro spezzato nella lotta, versi inquieti, balzanti, pervasi di instancabile mobilità. E del resto la poeta ce lo dice, che il suo andare è fulmineo, dominato dall’irrequietezza: «prendo per la giacchetta l’esistenza… ho una fretta indiavolata». La distruzione dell’amore può essere letta, naturalmente, in due modi: la distruzione che l’amore opera in chi ama, e l’amore stesso che viene distrutto da chi ama –una lotta per la sopravvivenza, in cui una delle due parti, l’amante o l’amore, deve morire perché l’altra viva. Anche se ci si chiede come può l’amante vivere senza l’amore, e viceversa, e di cosa potrebbe cantare la poeta se mai la distruzione fosse davvero compiuta. Ma a dispetto della terminologia guerresca e catastrofica, in questi versi risuona costante un sottofondo di humor, un’autoironia che allevia, mette in dubbio, rimette in prospettiva questo così sproporzionato amore.

Dalla postfazione di Beatrice Zerbini

La poesia di Anna Segre agisce la propria urgenza amorosa e distruttiva, fino alla tensione massima e all’eccesso e lo fa su sé stessa, senza mai tuttavia raggiungere l’irreparabile, sempre allusivamente presente nel discorso romantico a essa sotteso. Segre si fa elastico e agente esterno, come se traesse da sé dinamicità e sostanza. Il risultato è una versificazione intimista, ma capace di toccare nodi universali. Già dal titolo di questa silloge si assiste a una dichiarazione di intenti. È davvero La distruzione dell’amore il tema portante, l’amore osservato dalla (e nella) sua parte più disfunzionale; ci troviamo spesso dentro al lato b del progetto che collassa ma non rinuncia, procede zoppo, si trascina, mai smette di essere. Gli scritti di Segre sono spesso allegorici e categorici, si muove tra similitudini e metafore. Lo sguardo della poeta filtra il tu lirico e non lascia mai significato e significante sgombri della propria viva ingerenza. E se la poeta ama solitamente definirsi “medico, psicoterapeuta, anche ebrea, in più lesbica, perfino mancina’’ ecco che comprendiamo come anche i titoli ebraici vogliano portare chi legge all’identità rivendicata e urgente dell’io amante, ribollente di vitalità. […]

da La distruzione dell’amore (Interno Poesia 2022)

Immeritatamente
Lo reuia
היואר אל

Lei mi ama
e ciò alza le mie quotazioni
sul mercato degli affetti.
Ho quei brutti nei,
sono tutta storta,
la faccia stropicciata,
e i fianchi molli,
amata tutta, così.
Nevrotica, ossessiva, iper-reattiva,
spelacchiata,
rauca e bianca fosforescente,
addirittura desiderabile mi vede.
L’amore, diceva la poetessa,
non è cieco:
è un Dio i cui bislacchi criteri
sfuggono
alla gravitazione
e alla termodinamica,
perciò noi vediamo disordine
dove lui crea mondi.

Siamo Icaro
Anachnu Icaros
אנחנו-אקרוס

Sai cosa avrei voluto?
Che fosse come un’irruzione:
‘io sono l’amore.’
Punto.
E che le nostre vite
trasfigurassero
letteralmente
a questa rivelazione.

Adesso aiutami a scrivere
l’avversativa,
adesso non lasciarmi sola
con le mani nel fango dei giorni
a coprirmi dagli sguardi sporchi
di chi non c’entra
e ha ingarbugliato tutto.
Adesso non andartene
da questa trincea
che doveva essere volo,
da questa guerra
che ha trasformato i minuti
in sacchetti di sabbia.

Doveva essere volo
e forse in parte ce l’ha fatta
perché cadiamo in picchiata,
mio passero
mia ala sinistra
mia creatura piumata sontuosa adorata,
troppo vicine al sole.

Pensarti
Lachashov alaich
ךיילע בושחל

Tante cose ho amato di te
ed erano tutte facili.
Non è complicato
godere della bontà,
o bearsi dei tuoi sguardi,
e la tua voglia
che meraviglia.

Ora io amo la tua distanza
come si può amare un coltello
che entra fino al manico.

Amo il tuo silenzio
che mi riempie di universo
di assoluto
di buio.

Amo il dolore
perché me lo dai puro,
come puro era il piacere,
forse.
O forse amo questo vuoto
perché mi rarefà
la coscienza.

Rinuncio alle finte conversazioni,
a quel bisogno di parlarti
che non è più comunicazione,
all’incontro diventato scontro,
mentre ti guardo
ricordando ogni particolare
dalla mia remota Australia.

Nascondo il pensarti
in bella vista.

 

Anna Segre è medico, psicoterapeuta, anche ebrea, in più lesbica, perfino mancina. La produzione letteraria di Segre ha un solo fulcro di interesse: la psiche umana, l’anima. Che si tratti di epitaffi, o dei danni psichici collegati alla Shoà, dell’utilità terapeutica di un libro o della mappa etica o della vita erotica e sentimentale, rimane sempre a fuoco la teoria della mente, il monologo interno, le ipotesi diagnostiche, le interpretazioni possibili. Le parole danno senso, continuità narrativa, chiedono giustizia, sperano nel dialogo, e per questo cercano una precisone, una sintesi. Le parole si protendono sul bianco della riga come acrobati che vorrebbero padroneggiare il vuoto. Tra i libri pubblicati: Monologhi di poi (Manni), Lezioni di sesso per donne sentimentali (Coniglio), Judenrampe (Elliot), Il fumetto fa bene (Comicout), 100 punti di ebraicità (Elliot), 100 punti di lesbicità (Elliot).

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