Fotografia di Dino Ignani

Dalla Postfazione di Maria Grazia Calandrone

Lettere della fine è un libro aperto, articolato, maturo, fatto di poche parole limpide, accresciute da tutto il non detto che echeggia negli spazi bianchi. Agustoni non si preoccupa della sintassi, i suoi versi sono spinti da un impulso che deriva, con immediata evidenza, dall’osservazione del mondo. Non si tratta però del micromondo che circonda chi scrive, bensì del mondo che tutti ci guarda e riguarda: di infanzia e di lavoro, di paesaggio e storia, di osservazioni quasi impressionistiche che, nel momento in cui vengono tradotte in parole, si sentono risucchiate all’indietro – e avanti – nell’imbuto del tempo. I piani temporali e dello scorrere del discorso di Agustoni sono dunque molteplici, s’intrecciano e sovrappongono, compongono un mosaico dell’esistenza in tutte le sue forme, inclusa quella del dialogo coi maestri, già citati nell’attenta introduzione di Renata Morresi, che percorre con amore, dall’inizio alla fine, il libro di una fine mai davvero finita.”

da Lettere della fine (Vydia editore 2022, collana Nereidi, nuova edizione ampliata)

 

dalla sezione Frammenti di un me

 

due

la pianura sta lì coi nostri occhi le mani
domani avrà il sale di uomini
alti come i muri
e la paura:

la nebbia custodì i cappotti
e un odore di mele ci riempì
i capelli le braccia
la fabbrica accorciata dal gelo:

dov’era stato un muro di rondini
dicevano:
“guarda… se ci sarà
primavera”.

 

*

nove

i nostri frumenti sono stati il mare
i viventi la luce –
allora non capimmo
perché la morte
finiva nei volti.

portammo l’acqua delle rogge e il pane
indifferentemente –
così paghiamo i muri
alzati contro ognuno

e la luna
sui pini
tace sempre
tace.

 

*

dieci

abitavano coi fiori stanze d’ospedale
e in caserme e cave la febbre di chi ride
emigrati come un’altra specie
con tutta la casa:

a volte portavano regali
cose piccole, un cibo
le bocche malate dei poveri
o il dolore preso in Germania

dove gli sterminati non parlavano.

per questo sappiamo
che chi tace non acconsente
e la lingua dei morti
è più lunga ferita.

 

Nadia Agustoni (1964) scrive poesie e saggi. Vive a Bergamo. Suoi testi sono apparsi su riviste, antologie e lit-blog. Del 2021 è [la casa è nera] (Vydia editore), del 2020 è Gli alberi (Pordenonelegge-Lietocolle), del 2017 è I Necrologi (La Camera verde), del 2016 è Racconto (Aragno), del 2015 Lettere della fine (Vydia editore – premio ex aequo Bologna in Lettere Interferenze 2017, nuova edizione ampliata collana Nereidi 2022) e la silloge [Mittente sconosciuto] (Isola Edizioni); del 2013 è il libro-poemetto Il mondo nelle cose (LietoColle). Una silloge di testi poetici è presente nell’almanacco di poesia Quadernario (LietoColle 2014). Nel 2011 sono usciti Il peso di pianura ancora per LietoColle, Il giorno era luce, per i tipi del Pulcinoelefante, e la plaquette Le parole non salvano le parole, per i libri d’arte di Seregn de la memoria. Del 2009 la raccolta Taccuino nero (Le voci della luna). Altri suoi libri di poesie, usciti per Gazebo, sono: Il libro degli haiku bianchi (2007), Dettato sulla geometria degli spazi (2006), Quaderno di San Francisco (2004), Poesia di corpi e di parole (2002), Icara o dell’aria (1998), Miss blues e altre poesie (1995), Grammatica tempo (1994).

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