Laboratorio di Poesia, a cura di Alfonso Maria Petrosino, esce di venerdì su ‘Poesia del nostro tempo’. Vengono commentati i versi degli aspiranti poeti del Laboratorio online e scelta la poesia della settimana.
Le due cose che più restano negli occhi e negli orecchi e quindi nella mente leggendo le poesie di Andrea Paquola sono le sospensioni e la tavolozza cromatica. Le prime sono affidate ai tanti punti di sospensione, che creano un’attesa (si avvicina la vigilia di Capodanno… / razzi di redenzione e trombette / biforcute sono alle porte), rafforzano un a capo (devi prenotare un viaggio… / per raggiungere il fondo di una valle) o fanno le veci di virgole o deittici (Tu… spargitore di funghi / atomici). I colori oscillano tra la sinestesia e l’epiteto formulare: il soliloquio tinge Venezia di bianco; la violenza è rossa; l’orizzonte, gli eventi, il tramonto, la valle e l’accordo musicale cercato da un ubriaco sono verdi.
Le poesie di Paola Mastandrea sono dolenti. Parlano di una vicina indigente, dei bambini in zone di guerra, del figlio rinchiuso in una malattia. La dizione è semplice, i guizzi formali ridotti al minimo. Qua e là la metafora si emancipa dal referto giornalistico (Scrosciano bombe) o si compone una cadenza crepuscolare (nell’ora dei rientri e delle ombre), ma a dominare sono l’indignazione, le voci familiari (piedini, trottolino) e la pena (Un dì ci siamo asciugate le lacrime / e abbiamo mangiato insieme la stessa fame).
La poesia della settimana è Neon di Paolo Pitorri. I suoi versi sono lunghi e prosastici. I dettagli attraverso cui descrive una degenza o, in un’altra poesia, un glaucoma mettono la sordina al pathos e creano una dimensione onirica. Il tumore all’occhio è un fiore – come il fiore in bocca della pièce di Pirandello – l’utero materno una campana di vetro, medici e infermieri persone vestite di bianco.
Neon
Hanno osservato contro luce il mio sangue
ho regalato le mie nudità a donne vestite di bianco.
Tra poco devono tagliarmi, togliere i pezzi, ricucire.
Col volto cianotico fisso mia madre soffrendo
voglio rientrare in lei per non dover più vagire.
Un passo indietro per non dover morire.
Ventidue anni alle spalle per non dover nascere – soffrire.
Tornare in lei dove ero l’unico corpo piccolo
In una sacca amniotica: un universo nero.
Ora sto supino a riflettere il neon.
Adesso dentro di me un paese si dilata,
si espande nel mio corpo – delirando penso:
sono stufo di Londra. Ma arrivano i guanti in lattice.
La vestita di bianco mi regala dieci secondi:
un’anestesia, occhi di cataratta: dimentico come respirare.
Un taglio, uno scoppio, un maroso, un tesauro di emorragie.
Mi risucchia la schiena il nadir della barella.
Mia madre mi parla, mi stringe la mano, è nuovamente la prima volta.
Mi ha detto che sono nati quattro gatti in questa notte “bella”.
È la seconda volta che esco con lei da una stanza di ospedale.
 
Alfonso Maria Petrosino ha pubblicato tre libri di poesia, Autostrada del sole in un giorno di eclisse (Omp, 2008), Parole incrociate (Tracce, 2008) e Ostello della gioventù bruciata (Miraggi, 2015). La sua poesia, che descrive luoghi e situazioni in relazione a un paesaggio urbano e all’umanità che lo abita, si avvale di una metrica precisa e raffinata. La redazione di Poesia del nostro tempo ha scelto Alfonso Maria Petrosino per impersonare la figura del maestro, capace di leggere attentamente e suggerire soluzioni, anche ai neofiti della poesia, proprio per la sua capacità di aderire sia al “canone”, alla tradizione, che frequentare i nuovi palcoscenici della poesia, dagli happening e performance al poetry slam, essendo stato campione indiscusso di queste scene per molti anni.

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