Recensione di Maria Pina Ciancio

Pianure d’obbedienza è un libro dell’anima, che si rivolge e parla all’anima. Non vi è nulla di esteriore, nulla di affidato al caso. Le parole che danno vita a questa raccolta sono gemme e foglie di un albero, grate di esistere e di essere in questo universo immenso, in questo grande mistero della vita. E come le foglie sperimentano la luce, il buio, il vento, la resistenza, la caducità e lo sforzo senza fine di comunicare con il cielo.

“Arrivò così la sera
come una caduta di foglie al frangere del vento
e niente mi impaurì
né il silenzio né la pace
né la strada smarrita sulla fronte”
(p.64)

Si sentono in questi versi, dedicati ad Edith Stein, filosofa e martire cristiana, le parole fluttuare e ondeggiare “come foglie strette ai rami” che si elevano sublimi a toccare le vette più alte della poesia. Nei versi sopra citati è evidente come è nella caduta che si cela l’accettazione del proprio destino, ma solo se lo sguardo riconosce sé come infinitamente piccolo e pone ciò che si è nelle mani dell’infinitamente grande. È la fatica che ci porta verso l’alto, ci eleva, ci fa scoprire nuovi orizzonti, amplia e dilata la visione, ci proietta sempre e ovunque oltre.

Il pensiero è una reliquia talvolta
un tralcio battuto dal vento
in preda al suo viaggiare
fra sassi e muri impervi
ma lei rimane, pioggia sì costante
e tessitura ardente
senza viscere né peso
principio e gloria di ogni devozione
(p.62)

Questa silloge di Marina Minet è il frutto di una lunga gestazione e rappresenta la sintesi di un percorso interiore e spirituale maturato nel corso degli anni, in cui la sua scrittura – nutrita di solitudine, silenzio, raccoglimento – è giunta a un livello alto di consapevolezza, di ascolto e di esaltazione dei valori umani. Le tematiche esistenziali incontrano quelle spirituali, così come quelle della vita, della morte e del destino, senza dimenticare l’impronta diaristica, su cui aleggia la figura materna a cui è dedicata la raccolta. Le poesie che la compongono sono prevalentemente poesie-preghiere dove la parola, di alta ispirazione spirituale e religiosa, si fa mezzo e strumento di comunione con Dio. Scrive infatti l’autrice: “forse è così che nasce la parola/ pregando”, ”Nutrite le parole/ preparate una culla per ogni sillaba”, “Grazie Signore per tutte le parole”. C’è dunque la conquista di una parola ‘semplice’, incarnata e vivente, che ha lo scopo di rendere tangibile il mondo nascosto e invisibile. Una parola che sa dire che il mondo è pieno della grandezza di Dio.

“Prima che sia giorno devo finire una preghiera
pesare le parole una per una e darle in mano a Dio
come richiesta altissima”
(p.49)

Ci troviamo di fronte a un cammino spirituale e religioso insieme. Spirituale perché un percorso di ricerca interiore, religioso perché pellegrinaggio sul cammino dei Santi, devozione, gratitudine “obbedienza che redime”. Una fedeltà dello spirito che richiama e ci riconduce al significato  del titolo Pianure d’obbedienza. Nel corso dei secoli i cristiani, infatti, hanno sempre cercato di seguire l’esempio e l’insegnamento di Cristo, anche riguardo all’obbedienza; Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae indica addirittura il voto di obbedienza come il capo dei voti religiosi. E in molti versi la metafora nasce indispensabile a sondare questo percorso difficile e indicibile.

Grappolo è la meta, tralcio il cammino
ti siamo debitori e nulla conosciamo
se non quest’obbedienza che redime
(p.21)

Un cammino non facile, certamente, perché la via di ciascuno di noi è lastricata di dubbi, di oscurità, di cadute e di fragilità, ma come scrive l’autrice nell’introduzione al libro “il bene è l’unico tesoro che ci appartiene come volontà e la preghiera è l’unica opportunità per attuare quella rinascita necessaria all’incontro con Cristo”. Ciò che sorregge il suo percorso è dunque la consapevolezza, e ciò che dà linfa alle sue parole la ricerca della verità, l’esercizio dell’umiltà e la compassione verso il prossimo e gli ultimi. In Pianure d’obbedienza c’è un posto per tutti, la parola poetica è vita, sublimazione di quell’attimo che la vede protagonista nell’incontro eucaristico e quotidiano con l’altro. Grazie al dono dell’immedesimazione, dà prova dell’incontro viscerale con il prossimo, soprattutto nelle poesie della guerra. Il noi, presente in quasi tutta la raccolta lo evidenzia “abbiamo smarrito le lampade/ le palpebre si affiancano alle ombre”, ma anche nella poesia Domani, scritta in tempo di pandemia, l’autrice si esprime con voce corale “Cosa sogneremo domani/ quando lo spavento diventerà una storia/ trascritta  come un gesto già compiuto/ da raccontare antica come il pane”. Un noi non astratto, ma che esprime da un lato il bisogno di un sentire condiviso, dall’altro di essere parte di un tutto.

Parlaci Signore
traccia nel fogliame la fatica di Maria
L’esistenza è una spina che non cede
(p.38)

La sofferenza e i dolori del mondo si riflettono nell’animo e nel cuore di chi scrive, e l’autrice li rivolge a un ‘padre’ affettuoso e che accoglie per non dimenticare “Chi è solo, il viaggio dei bambini / chi ha steso i panni al buio e non potrà tornare presto a casa”. E lo invoca più volte, con il cuore disarmato, colmo di desiderio e amore. Forte è anche la devozione alla Vergine come maestra di fede, oltre che protettrice e mediatrice. La Madonna ci insegna, infatti, a essere completamente disponibili alla Volontà divina, anche quando è misteriosa. Di tanta alta bellezza è a tal proposito la poesia dedicata alla Madonna Noli Me Tollere di Sorso “Nessuno la tocchi/ lei è la carne del Signore”, riconducibile a un’apparizione risalente al 1200, quando la Vergine si mostrò in tutto il suo splendore a un povero muto. Si tratta dell’unica Apparizione Mariana ufficialmente riconosciuta dal Vaticano in Sardegna e oggi tanti fedeli si recano in pellegrinaggio presso la sua dimora nella chiesa dei Cappuccini di Sorso. Ed è proprio dalla preghiera che scaturisce l’ascolto, un ascolto che ci pone in sintonia con l’infinito e con l’altro, perché come scrive anche papa Francesco nel libro sul Vangelo di Luca, “Guardare verso l’alto è guardare l’altro”.

Da Pianure d’obbedienza (Macabor Editore 2023)

Ci sono terre che non perdiamo mai

Ci sono terre che non perdiamo mai
di notte si annidano malferme
dentro ai pugni
per poi svanire all’alba già incomprese

E sono terre dure, queste, pungenti
radici di frontiere piantate in mezzo al ventre
e a spingere ci dicono che in fondo
le abbiamo sempre amate

Di queste terre – dentro – abbiamo tutto
coste, ragioni, catene
miniere di licheni che tardano a morire
e lotte già finite e cominciate
che a vincerle cadiamo
se mancano domani

 

Non so morire adesso

Lettera al mondo di una madre soldato

Non so morire adesso
non saprei dirlo ma il tempo non è buono
mi mancano gli abbracci da recintare al vento
quelli che ho perso hanno lasciato un solco
un seno dentro che non so riempire
né perdere di nuovo
Non so morire
non so partire imperfetta
promessa alla rinuncia
ho in serbo i sogni eletti da mio padre
parole certe bruciate nei deserti
da stendere sui fiumi della mia terra cara
e gesti da piantare sopra il ventre
per rivangare tutte le intenzioni
Non so morire adesso
mancano altre croci per le mie ginocchia
un santo come amico e una missione
luci in discesa e strade di salita
sassi affilati per inciampare ancora
e tutte quelle scosse che sanno farmi piangere
per volgere la pelle allo stupore
Non so morire adesso
non so comprendere la morte di mattina
col sole vivo indosso come un corpo
e conto i ricordi persino quando dormo
pensando ad una sveglia che li riporti indietro

(Nel conflitto in Ucraina sono state arruolate circa 60.000 donne)

 

Frammenti

A frammenti, padre mio
pensami a frammenti, quando il tempo spezzerà la luce
con la bava delle iene sul costato
e distante da quel luogo che facesti
cuore quieto e nutrimento

A frammenti, padre mio, cercami a frammenti
seminandomi la strada di radici
con tre croci sulla schiena
intrecciate a coerenze di germogli

A frammenti, padre mio, trovami a frammenti
come polvere vitale e sguardo vano
come canapa imbastita dal maltempo
come pioggia tramortita sopra il fango

A frammenti, prendimi a frammenti
come l’agnello addormentato accanto al lupo
come il giglio sotto il gelo di novembre
coi pensieri festeggiati dai sorrisi dei bambini
senza gioia né dolore
a frammenti, tutta amore

 

A Edith

Dedicata a Edith Stein

Arrivò così la sera
come una caduta di foglie al frangere del vento
e niente m’impaurì
né il silenzio né la pace
né la strada smarrita sulla fronte

Quale schianto avrebbe potuto piegarmi
se la bocca benediva il fango
a ogni respiro
e tutte le pietà sembravano straniere
riflesse nella croce di mio padre

Arrivò così la sera, in un cercare di sguardi
col ticchettio dell’orologio come prova
di quell’attesa santa
deposta sulla sorte senza una preghiera

 

Galassie

Sono galassie dentro, certi volti
attese irrinunciabili
timoni d’ancoraggio in mare aperto
il sacro dato al mondo
che non tradiamo mai

 

Marina Minet nasce a Sorso in Sardegna, ha vissuto otto anni in Basilicata e attualmente vive ad Ariccia. Ha pubblicato le seguenti monografie poetiche: Le frontiere dell’anima (Liberodiscrivere® edizioni, 2006), Il pasto di legno (Poetilandia, 2009), l’ e-book  So di mio padre, me (Clepsydra Edizioni, 2010), Onorano il castigo (Associazione Culturale LucaniArt, 2012), il racconto breve Lo stile di Van Van Gogh (Associazione Culturale LucaniArt, 2014), le sillogi poetiche Delle madri (Edizioni L’Arca Felice, 2015), Scritti d’inverno (a cura del premio Città di Taranto, 2017), Pianure d’obbedienza (Macabor, 2023). Fra le pubblicazioni ricordiamo la partecipazione numerosi romanzi collettivi al femminile.  Il racconto-poema Metamorfosi nascoste è apparso nell’antologia Unanimemente a cura di Gabriella Gianfelici e Loretta Sebastianelli (Ed. Zona 2011). Le sue poesie hanno ricevuto numerosi premi a livello regionale e nazionale. Collabora al Magazine LucaniArt e da anni si occupa di divulgare la sua passione per la poesia, attraverso l’ideazione e la realizzazione di interessanti “video poetry” che è possibile visionare sul suo canale Youtube.

Maria Pina Ciancio di origine lucana è nata in Svizzera nel 1965. Trascorre la sua infanzia tra la Svizzera e il Sud dell’Italia e da qualche anno vive a Roma nella zona dei Castelli Romani. Viaggia fin da quand’era giovanissima alla scoperta dei luoghi interiori e dell’appartenenza, quelli solitamente trascurati dai grandi flussi turistici di massa, in un percorso di riappropriazione della propria identità e delle proprie radici. Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia, alla narrativa, alla saggistica. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo Il gatto e la falena (Premio Parola di Donna, 2003), La ragazza con la valigia (Ed. LietoColle, 2008), Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro (Fara Editore 2009), ‘Assolo per mia madre (Edizioni L’Arca Felice, 2014), Tre fili d’attesa (Associazione Culturale LucaniArt 2022), D’argilla e neve (Ladolfi Editore, 2023). Nel 2012 ha curato il volume antologico Scrittori & Scritture – Viaggio dentro i paesaggi interiori di 26 scrittori italiani. Suoi scritti e interventi critici sono ospitati in cataloghi, antologie e riviste di settore. Recentemente è stata inserita nelle collettive: Orchestra (a cura di Guido Oldani) LietoColle 2010; Il rumore delle parole – 28 poeti del Sud (a cura di Giorgio Linguaglossa), Edizioni EdiLet 2015, Sud – Viaggio nella poesia delle donne (a cura di Bonifacio Vincenzi) Edizioni Macabor 2017, Il sarto di Ulm, Bimestrale di poesia, Macabor Editore, luglio-agosto 2020, Dizionario critico della poesia italiana 1945-2020 (a cura di Mario Fresa), Società Editrice Fiorentina 2021 Ha fatto parte di diverse giurie letterarie, ha vinto svariati premi e al Festival Internazionale di Poesia in Versi, in occasione del Premio Nazionale di Poesia “Calabria-Veneto 2023” I edizione, le è stato conferito il Premio alla Cultura per la PoesiaÈ presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt e su internet cura il Magazine LucaniArt.

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