Poesiadelnostrotempo.it intervista Michele Laurelli, primo a istruire un’intelligenza artificiale per realizzare dei testi poetici in italiano.
Michele, nella mia intervista a Nanni Balestrini del 2006 per Fucine Mute il poeta della Neoavanguardia prefigurò la possibilità di una poesia “al di fuori del controllo umano”. Puoi spiegare cos’è un’intelligenza artificiale, una rete neurale, e come hai istruito in modo che autonomamente realizzasse dei testi poetici?

Per costruire un lessico comune, partirei col dire che l’intelligenza artificiale altro non è che un ramo della scienza informatica che studia la progettazione e la realizzazione di sistemi capaci di riprodurre prestazioni finora pensate esclusiva dell’uomo. In effetti, calza se pensiamo alla poesia, no?
Le reti neurali sono forse tra le più affascinanti scoperte di questa scienza: ispirandosi vagamente al funzionamento delle nostre sinapsi sfruttano il più grande vantaggio, cioè il modello di apprendimento. In sostanza, quello che sono capaci di fare queste reti neurali è imparare dai dati che hanno a disposizione in modo molto più efficace di quanto mai visto in precedenza.
Insegnare ad una macchina a scrivere poesie, tuttavia, comporta molti aspetti più complessi del solo apprendimento: la macchina, da sola, non può comprendere moltissime cose basilari per noi: l’uso dello spazio, andare a capo in un determinato momento… oppure elementi non necessari, come i numeri che suddividono versi e strofe, quando ci sono.
Per questo ho dovuto seguire alcune fasi importanti: anzitutto la scelta del testo di partenza. Ho scelto, per questo compito importante, i poeti principali del novecento, tutti quelli che ci hanno lasciato da più di 70 anni (la ragione è semplice: questo è il numero di anni minino perché scadano i diritti d’autore sui testi). Solo quelli del novecento perché il linguaggio, prima, era differente.
Una volta scelti i testi, una prima parte del programma li esamina e li “normalizza”, togliendo tutto ciò che non è poesia: note a piè di pagina, riferimenti numerici dei versi e via dicendo. Il risultato che si ottiene assomiglia ad un muro di testo. Subito dopo, il testo viene trasformato in numeri, in modo che la macchina possa leggere e capire.
A questo punto la rete neurale compie una lunghissima serie di letture del testo: dall’inizio alla fine e dalla fine all’inizio, più volte. Ogni ciclo si chiama “epoch” e possiamo immaginarcelo come quando dobbiamo studiare qualcosa e lo leggiamo con cura più volte, scoprendo cose nuove ad ogni ciclo (solo che la macchina legge in tutti e due i sensi). Questo serve alla macchina a comprendere il contesto che, nel nostro caso, significa che se prima ha imparato il lessico ora impara la sintassi e la struttura del linguaggio.
Per permettere di scrivere una poesia, infine, la macchina ha bisogno di un “seed”, un seme appunto, necessario a dare il via alla poesia. Può essere una parola o più di una, la macchina partirà da quella e arbitrariamente deciderà quando fermarsi. È bello pensare, in qualche modo, che anche una macchina, dopotutto, abbia bisogno di qualcosa che sembra essere una fonte di ispirazione, fors’anche una sola parola, vero?

La rete neurale o macchina, come la definisci, ha un nome? È costituita attraverso algoritmi? Puoi spiegare la sua essenza, ed essa svolge il solo ruolo di poeta al momento?

Ho pensato a molti nomi, l’unico che sembra piacermi è PoAItry.
Come dicevo, ci sono diversi step che compongono il processo; ognuno di questi è, invero, un algoritmo. Ed è qui, ritengo, la questione centrale da affrontare: imparare, studiare e poi produrre in modo asettico si può definire processo poetico? E, di conseguenza, il ruolo che assume è quello di poeta? Questo io non lo so. Io non sono un poeta e non so rispondere a questa domanda. Sfidare questo concetto mi interessa, ma è necessario affrontarlo insieme, con strumenti di diversa natura.

Quali sono i tentativi di poesia attraverso reti neurali nelle altre lingue?

L’esperimento più riuscito ad oggi sembra essere Xiaoice (piccolo ghiaccio, in cinese). Ha scritto alcune poesie studiando 200 poeti circa. Lo strumento però è differente: nasce come un chatbot, ovvero uno strumento conversazionale, che sviluppa conversazioni con gli esseri umani e simula, appunto, una chat. In inglese, invece, esiste il sito internet “CuratedAI” che pubblica testi letterari scritti, appunto, da intelligenza artificiale.

Puoi citare qualche opera utilizzata per istruire la macchina?

Certo: tra le tante ricordo Disjecta di Igino Ugo Tarchetti, Parole di Antonia Pozzi, Poesie di Sergio Corazzini. Ma non vorrei fare torto a nessuno: gli autori sono tanti e la scelta è stata davvero impegnativa. Ho incluso, con l’aiuto di qualche esperto, altri poeti significativi del Novecento italiano (ricordando che la loro morte dev’essere avvenuta almeno 70 anni fa, per non violare il diritto d’autore).

Al momento PoAItry è in grado di sviluppare una serie di testi prendendo spunto da modelli preesistenti. Secondo te sarebbe possibile collegarla al flusso di informazioni per generare un’opera collegata alla realtà, come interpretazione, come pensiero, con una carica emozionale, o siamo distanti da questa possibilità?

Io non sono un poeta, non so cosa significhi scrivere una poesia, caricarla di emozioni. Ammiro chi lo fa, rimango stupito davanti alle poesie come si rimane stupiti davanti alle manifestazioni degli innumerevoli talenti artistici e tecnici dell’umanità.
L’intelligenza artificiale studia la possibilità di imparare a imitare questi talenti ma per farlo non può avvalersi di una scintilla interna, di un moto interiore. Deve avere una solida base di partenza ed un input che gli dica cosa fare.
Possiamo, quindi, chiedergli di continuare a produrre no-stop componimenti poetici a partire, ad esempio, dalle parole che legge di attualità, ma se interpreto bene la tua domanda non potrà mai formarsi un’idea degli eventi; non proverà pietà, commozione, amore o orgoglio per quello che legge. Leggerà e basta.
Non sono nemmeno sicuro che dire “siamo lontani” da questa possibilità sia la giusta espressioni, perché implicherebbe valutare quella distanza e, quindi, volerla accorciare. E io non lo so se stiamo facendo questo.

In effetti, la poesia, come tutte le operatività artistiche, implica opzioni legate a possibilità interpretative, che solo parzialmente PoAltry sembra intuire, se non come riflesso di un apprendimento procedurale, dato che naturalmente l’emozione, il pensiero, il linguaggio, la relazione con la realtà e tutte le forme della condivisione sono connesse all’esperienza umana. La fascinazione nasce piuttosto dalla possibilità di avvicinare ciò che possiamo intuire come “nuovo essere” o nuova intelligenza al progetto più vasto di comprensione della realtà, e non solo come comprensione del compito.
In questo senso la poesia è da sempre nodo fondamentale, per la filosofia, ad esempio, perché intreccia legami oltre il testo, e il tempo (se pensiamo alla diacronicità dell’intervento interpretativo).
Vorrei dunque chiederti Michele, quali saranno i tuoi prossimi progetti, rispetto a PoAItry, se pensi di continuare a istruirlo, e come.

Questo lavoro è un frutto derivato da tanti esperimenti linguistici (e non) che sto portando avanti per la scrittura di un mio libro. Devo dire che l’aspetto che più mi interessa non è il risultato prodotto, quanto l’apprendimento. Il concetto di “istruire” una macchina è molto potente, dal mio punto di vista. Implica l’impegno di chi lo istruisce, ma soprattutto un soggetto in ascolto, pronto a guardare cosa gli viene mostrato ed assumerne tutte le informazioni possibili.
Fino a che punto è capace di apprendere? C’è un limite? O il limite è solo il nostro, ovvero che non siamo in grado di insegnare oltre un certo punto? Mi piacerebbe scoprirlo.

da Come un’anima di Cristo (Formato Kindle 2020)*

Nave,
di una sera,
di una stella

Tu non sai
che mi fa il sole
E non sai,
non sai che piange
le stelle e la polvere
E non sai,
non sai che mi vedi

*

Buio
come un’anima di Cristo

e tu lo dici
poeta sentimentale
fra i pianti
e le pupille ferme
nell’ombra

*

Pianto

all’ora convenuta
soggiungeva

noi ricordiamo

e lui triste
in questo sangue
dietro una catena
del fato
il corpo lo porta
in questa notte pallida

*Dalla nota alla pubblicazione: “Michele Laurelli è l’autore dei tre algoritmi che hanno insegnato a una rete neurale artificiale il lessico, la sintassi e le strutture testuali della lingua italiana, grazie ad un dataset costituito da alcuni tra i più importanti libri di poesia italiana del primo Novecento. Le poesie sono state generate fornendo di volta in volta un seed specifico alla macchina: l’intelligenza artificiale ha costruito i testi utilizzando parole afferenti ai topoi tipici della tradizione lirica italiana.”

Michele Laurelli è nato in provincia di Savona nel 1991. Vive a Milano. Lavora come Marketing Manager e Business Developer per alcune società. Nel 2014 ha fondato il magazine online “Midnight”, mentre tra il 2015 e il 2016 ha insegnato Marketing e Comunicazione presso alcune scuole private.
Nel 2018 è nata la società WBD, con cui si è si occupato di marketing cognitivo, big data analysis e utilizzo di infrastrutture a intelligenza artificiale. Nel 2019 è stato consulente di Imagina, finanziata dalla Commissione Europea, per lo studio sulle fake news; nello stesso anno ha iniziato un progetto di divulgazione scientifica sui temi della AI, del digital e del marketing cognitivo.

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