Caro Alberto*, questo tuo rotondo compleanno è per me un’occasione preziosa per dirti grazie. Grazie, prima di tutto, per le tante parole che hai scritto. E poi per quelle che mi hai detto durante i nostri numerosi incontri (abitare vicini facilita): sulla letteratura, sulla malattia, sul tempo che passa, sul nostro essere al mondo, sull’amore per gli altri. Mai lunghi discorsi, ma concetti precisi, puntuali, illuminanti. È stato sempre così, anche quando ti mettevo tra le mani un microfono e ti chiedevo di parlare dei tuoi libri. Ci è capitato più di una volta, anche davanti al pubblico. Ma c’è un’intervista che più di tutte ricordo con commozione. È quella che abbiamo realizzato da te, in sala da pranzo, alla vigilia della cerimonia di consegna a Berna del Gran Premio svizzero della Letteratura. Ricordi? Era a metà del mese di febbraio del 2016. Non erano ancora arrivati Milo, Cosma e Léon; e non avevi ancora pubblicato Un sabato senza dolore, né Svizzera italiana, né Rime facili per grandi e piccini, dimostrazione evidente di quanto fruttuoso sia sempre il tuo tempo. Poco meno di mezz’ora, per un Laser Incontro andato in onda su Rete Due della RSI il 19 febbraio 2016, poche ore dopo la grande serata bernese.

Alberto Nessi è sempre stato attento a coloro che lo circondano, soprattutto i più deboli, gli emarginati, quelli che non sempre hanno la possibilità di dire la loro. E ha sempre avuto uno sguardo amoroso anche nei confronti della natura, della flora in particolare. Ma si può dire che tutto questo, via via che sono passati gli anni, si è fuso armoniosamente.

Si può dunque affermare che il narratore è sempre comunque anche un po’ poeta. Il senso della lirica è presente ovunque. Alberto Nessi, come riesce a conciliare tutto ciò?

Conciliare è un operazione che mi viene spontanea, perché io ho cominciato a scrivere come poeta e però contemporaneamente, e segretamente, scrivevo anche prosa. Ho cominciato a pubblicare poesie con una prima raccolta I giorni feriali, uscita da un editore che adesso è scomparso, parlo delle edizioni Pantarei dirette da Eros Bellinelli e Manfredo Patocchi. Poi finalmente mi sono sbloccato con la prosa e da lì ho portato avanti parallelamente queste due attività, di poeta e di scrittore. Anche se, per la verità, la mia attrazione è stata maggiore per le parole messe in musica, diciamo così, o per le parole armonizzate, meglio, che si concretizzano poi in opere poetiche.

Ci sta dicendo che si sente più poeta che narratore?

Direi che mi sento le due cose, perché quando scrivo poesia spesso mi muovo rasoterra, per così dire, nel senso che scelgo, o sono scelto, da un filone della poesia europea, e italiana in particolare, che è quella che rade la prosa. Noi quando parliamo di poesia pensiamo sempre al filone sublime e per il ’900 all’Ermetismo, però c’è anche un filone diverso, che io vedrei nella poesia di Cesare Pavese, in particolare nella raccolta Lavorare stanca (la prima che negli anni Cinquanta mi colpì molto) e che vedrei anche nella famosa raccolta di Edgar Lee Masters Antologia di Spoon River. Questo filone mi ha sempre interessato, quindi, quando scrivo poesia, racconto spesso delle storie, e quando scrivo prosa, accendo qua e là fiammelle di poesia. È un modo di lavorare che contamina i generi letterari, il mio.

Nella sua bibliografia c’è un libro secondo me particolarmente importante. È uscito nel 2010. Si intitola Ladro di minuzie, è un’antologia delle sue poesie, con una parte di inediti, scelta proprio da lei. Questo significa che ha rivisitato tutta la sua produzione – operazione anche abbastanza difficile, impegnativa, qualche volta anche un po’ dolorosa – e ha scelto solo alcune pagine di tutte le sue raccolte. Io inizierei dal titolo, perché è un titolo che ci fa capire come lavora Alberto Nessi.

Io lavoro sulle piccole cose quotidiane. Infatti Ladro di minuzie è il titolo di una poesia, di tipo narrativo, che faceva parte di Blu cobalto con cenere, il titolo precedente all’antologia. È la storia di una persona che si aggira in una zona periferica, di Chiasso in questo caso, e si guarda in giro. Questo è il ladro di minuzie, non sono io, è il mio personaggio. Nel quale però io mi identifico. Queste storie raccontate in prima persona nascondono aspetti della mia persona. Per la verità, il mio esordio, negli anni Sessanta, non era ancora così. Io ero legato alla poesia del Novecento: il primo libro di poesia che ho letto e che avevo scoperto in una libreria di Como, si intitola Lirica del Novecento. Quel libro lo acquistai per conto mio, senza che nessun insegnante o amico me l’avesse consigliato, perché ero rimasto come abbagliato da quella copertina gialla che vedevo nella vetrina. La lirica del Novecento… mi prendeva molto. E in quelle pagine scoprii delle poesie che mi affascinarono, grandi poeti del Novecento… Si può dire che cominciò da lì la mia passione per la poesia. Quindi, nei primi testi che ho scritto e pubblicato si possono trovare tracce di questa poesia italiana del Novecento. Poi, continuando a scrivere, il mio stile ha preso anche altre direzioni.

C’è una sezione di inediti in questa raccolta che rivela molto di Alberto Nessi: il destinatario è esplicitato… a volte sono le figlie, a volte è la moglie Raffaella. C’è poi la parte dedicata alla madre, già edita per altro. Così come, sul fronte narrativo, ci sono non poche pagine dedicate al padre. È la conferma che l’ambiente famigliare è sempre presente in un modo o nell’altro nei pensieri e nel modo di scrivere di Alberto Nessi.

L’ambiente famigliare è sempre presente, ma nella prima parte della mia produzione si trovano anche evidenti tracce di impegno politico molto forte, esplicitato poi in un tipo di narrazione radicata nella zona in cui vivo, con delle immagini che evocano una volontà di cambiare le cose, perché non mi piacciono così come sono, e che rispondono un po’ al gusto del momento. Al gusto del momento, rispetto a come ero in quegli anni, e al gusto del momento, in quanto la letteratura era diversa da quella che è oggi. Quindi io ero influenzato dal mio modo di essere un adolescente un po’ “selvatico”, e, siccome leggevo parecchio, anche da quel che si scriveva, in Italia specialmente, ma non solo (anche Brecht mi piaceva). Poi, cammin facendo, il mio stile è cambiato, si è trasformato e, forse, si è interiorizzato. Quindi, la parte che riguarda la mia famiglia, essendomi poi sposato ed avendo avuto due figlie, ha avuto una certa prevalenza nella mia produzione. Comunque – è importante sottolinearlo – in tutta la mia produzione poetica sono presenti entrambi i filoni.

Ritorniamo indietro nel tempo, al 1984, quell’anno viene pubblicato nelle Edizioni Dadò un libro che ancora oggi viene venduto con successo, si intitola Terra matta. Sono tre racconti lunghi che riguardano personaggi che ha incontrato o ha conosciuto attraverso descrizioni di altri, e che comunque costituiscono tre storie emblematiche di quella che è stata la storia passata del Mendrisiotto. Un libro importante che ha fatto capire subito che Alberto Nessi è uno scrittore impegnato, attento all’aspetto sociale dell’esistenza e che, attraverso la sua scrittura, ha permesso a questi personaggi di ritornare in vita.

Sono stato impegnato in modo naturale. Io vengo da una famiglia umile, mia madre era operaia di fabbrica, mio padre un piccolo impiegato che poi quando morì, per varie vicende, non ebbe neanche diritto alla pensione. Questa origine famigliare mi ha influenzato come scrittore e, quando finalmente mi sono sbloccato con la narrativa, poiché credevo di non potercela fare come narratore…

Vuol farci capire che la poesia è più facile?

No, no, non dico questo. In quegli anni (sempre gli anni Sessanta) leggevo i classici della narrativa europea e i testi degli autori della Neoavanguardia. Mi avevano mandato un po’ in crisi. Non sarei mai riuscito a scrivere come Joyce o come Céline e allora, mi dicevo, forse riuscirò solo a scrivere poesia, anche se scrivere poesia non è più facile. L’ho già detto, non riuscivo a sbloccarmi con la prosa. Poi, finalmente, capii che potevo farlo se mi guardavo in giro nel luogo dove abitavo, fra le persone che conoscevo: anche nel nostro paese si racchiudono tante storie. Noi siamo universali – diceva qualcuno – se riusciamo a parlare del nostro paese. È una posizione naturalmente discutibile, ma io credo che sia vero. Possiamo essere provinciali se parliamo di cose lontane che non conosciamo. L’importante è poi concretizzare questa attenzione, questo interesse, questo inseguimento appassionato della realtà in uno stile che possa avere un’efficacia letteraria.

Qui eravamo nel 1984, avevamo appunto avuto modo in quel momento di capire com’era la Banda del Mattirolo o sentire e seguire le vicende delle sigaraie e poi di entrare a contatto diretto con lo scalpellino di Arzo di nome Togn. Dopo di che è uscito Tutti discendono, ancora una volta un titolo che fa riflettere. Tutti discendono sarebbe il capolinea: si arriva a Chiasso e si scende. Questo è quello che viene anche annunciato adesso sul treno. Ma non vuol dire soltanto questo. Vuol dire anche che tutti abbiamo un albero genealogico alle spalle, che tutti apparteniamo ad un luogo, e che tutti, comunque, siamo condannati in qualche misura a fare i conti con la nostra vita che a un certo punto termina.

Sì, quest’ambiguità mi ha sempre interessato. È contenuta anche in altri titoli, Rabbia di vento, Il colore della malva. Titoli che ho rubato, se si vuole usare una metafora, a labbra popolari. Io penso che anche la gente semplice possa contribuire a fare letteratura, almeno, io lavoro così, lavoro con loro… Dovrei firmare i miei libri con le persone che mi hanno prestato queste espressioni.

E a questo proposito credo che non ci sia testo che meglio renda evidente questo pensiero di Milò, uscito nel 2014, sempre da Casagrande. Sono 18 racconti, il primo è proprio quello che ha dato il titolo alla raccolta. Milò è una figura nota della Resistenza in Valle d’Aosta. Come dire che storie come queste non devono mai essere dimenticate.

Sono affascinato da queste figure… Emile Lexert, operaio della Cogne che spontaneamente, nel ’43, lascia la Svizzera e va in montagna e diventa partigiano, poi capobanda e per finire viene ucciso dai fascisti. Sono colpito da queste persone generose, che credono nei valori etici, lottano contro la dittatura. Sono persone libere. Oggi viviamo in una società senza più tanti ideali, mi sembra. E quindi, io che ho avuto una vita così… modesta… come insegnante e come scrittore, e non ho mai vissuto grandi imprese, sono affascinato da questi personaggi, e ne scrivo. Anche nel penultimo libro che ho pubblicato, che si intitola La prossima settimana, forse, il protagonista è un personaggio di umili origini che si afferma nella vita politica portoghese lottando per l’emancipazione dei lavoratori di quel paese. Nei miei libri vivono anche altre persone semplici, animate però da questa forza, da questa volontà di lottare e di ribellarsi alle ingiustizie.

* Intervista di Maria Grazia Rabiolo Spreafico e Poesie tratte da Rampe di lancio doganieri nuvole – omaggio a Alberto Nessi, a cura di F. Alborghetti e  M. Albisetti (Edizioni Sottoscala 2020) per gentile concessione della Casa della letteratura per la Svizzera Italiana © RSI 2020 – All rights reserved

Alberto Nessi è nato a Mendrisio nel 1940 e cresciuto a Chiasso. Ha frequentato la Scuola Magistrale e l’Università di Friburgo, per poi diventare docente di letteratura italiana. L’esordio come poeta nel 1969 con I giorni feriali (Pantarei), seguita da una pubblicazione del 1975 presso la Collana di Lugano di Pino Bernasconi, la stessa che aveva ospitato Finisterre di Eugenio Montale e le Ultime cose di Umberto Saba; nel 1992 pubblica Il colore della malva e nel 2000 Blu cobalto con cenere, entrambi con Edizioni Casagrande; riscuote presto successo anche come prosatore (l’esordio con i racconti Terra Matta, 1984). Nel 2015 la raccolta di racconti Miló (Edizioni Casagrande) entra in terna finalista al Premio Chiara.
Poeta di grande sensibilità descrive vita e sentimenti degli umili. La sua lingua è infiltrata di espressioni regionali e dialettali ticinesi. Critico verso uno sviluppo economico e urbanistico che sventra i bei paesaggi ticinesi e le vite delle persone semplici che ci vivono.
Il 18 febbraio 2016 è stato insignito dalla Confederazione Elvetica del Gran premio svizzero di letteratura alla carriera.
Il suo archivio, composto da manoscritti, corrispondenza e documentazione di vario genere, è custodito a Berna, presso l’Archivio svizzero di letteratura.

Maria Grazia Rabiolo Spreafico, laureata in Lettere all’Università degli Studi di Milano, ha lavorato per 34 anni alla Radiotelevisione svizzera di lingua italiana. Ha conosciuto e intervistato molti scrittori e letterati e ne sono testimonianza anche due pubblicazioni: Leggere il Novecento con Carlo Bo (Edizioni RSI – Armando Dadò 1994) e Montale. L’arte di leggere. Una conversazione svizzera (Interlinea Edizioni 1998).

da Rampe di lancio doganieri nuvole – omaggio a Alberto Nessi (Edizioni Sottoscala 2020)

Prisca Agustoni

(inedito)

In questo chiostro
di ferro e fiori forgiato
custodire la memoria
dei giorni dove il confine
era appena l’angolo abbozzato
del tuo sorriso, colto al volo

come di falco che pesca in aria
l’invisibile preda

Yari Bernasconi

Di passaggio a Ginevra

Il sole è ancora rosso, e stasera Ginevra
potrebbe essere un deserto senza contorno:
valgono poco gli oggetti e i passanti, la frenesia
che cerca di ripetersi. Dire stanchezza
è solo rimandare, chiudere gli occhi.
Ma intanto quest’acqua senza orizzonte
si muove, prende un fiume verso il mare
senza voltarsi fino al delta, alle saline,
poi si perde più densa…

Pietro De Marchi

Su una fotografia di Emmy Andriesse
Sestri Levante, 1950-51

(per Alberto Nessi)

Per distinguermi da altre Marie,
la gente del posto mi chiamava Maria la greca.
Scendevo ogni mattina al porto,
quando gli uomini tornavano dalla pesca notturna.
Anche se non era stata abbondante,
mi regalavano sempre un vassoio d’acciughe.
Finché un giorno una signora elegante
mi chiese di posare per lei.
La guardai con occhi incantati,
nessuno mai mi aveva fatto una fotografia.
Mi disse di stare ferma così, con il mare alle spalle
e con in mano il vassoio delle acciughe.
Non sapevo chi fosse quel pittore
di cui lei parlava mentre armeggiava con la macchina.
Uno che dipingeva ragazze come me, disse,
ma se lattaie o lavandaie ora bene non ricordo.
Forse disse proprio anche una ragazza come me
quel giorno, col fazzoletto in testa e gli orecchini.

 

I curatori del volume

Fabiano Alborghetti ha scritto di critica, fondato riviste, creato programmi radio, progetti in carceri, scuole e ospedali ed è promotore culturale. È nelle commissioni dei festival Babel e Chiassoletteraria, direttore della collana di poesia per Gabriele Capelli Editore (Svizzera) e co-direttore editoriale della “serie svizzera” per RIL Editores (Cile/Spagna). È il presidente della Casa della Letteratura per la Svizzera italiana. Come poeta, rappresenta la lingua italiana e la Svizzera nel mondo su mandati ufficiali. Traduzioni di sue poesie sono apparse in volume, riviste o antologie in più di 10 lingue. Ha pubblicato 6 raccolte tra le quali Maiser (Premio Svizzero di Letteratura 2018), poi prodotto dalla Radiotelevisione Svizzera Italiana per essere un radiodramma. www.fabianoalborghetti.ch

Margherita Albisetti da due decenni è attiva in ambito culturale presso istituzioni, musei, archivi. Ha lavorato presso la Divisione Cultura della Città di Lugano, per la Fondazione Claudia Lombardi per il Teatro, all’Archivio storico della Città di Lugano, al Museo Cantonale d’Arte Moderna di Ascona. Al suo attivo, inoltre, anche numerose curatele di mostre ed esposizioni. Dal 2019 è la Direttrice della Casa della Letteratura per la Svizzera italiana.

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