Foto di Dino Ignani

 

Nota critica di Gisella Blanco

Questi versi di Umberto Piersanti, resistenti alle generalizzazioni e alle uniformazioni antropologiche che caratterizzano l’età contemporanea, si sviluppano a partire dal paesaggio (non solo quello marchigiano), centrale nella poetica dell’autore. Pur affiancando il canone della grande poesia italiana legata al territorio (Leopardi, Pascoli, D’Annunzio, Bertolucci, Saba), questi testi del poeta urbinate ricercano e accolgono l’afflato delle proprie memorie attraverso personalissimi rimandi a elementi bucolici che, nella loro apparente discrasia con i tempi moderni, rimandano a immagini e concetti giunti in poesia da un’origine umana comune, plurale. Il tempo, altro ricorrente topos di Piersanti, attraversa quei luoghi consentendone la contestualizzazione e la storicizzazione, perfino quando non ci sono chiari riferimenti epocali. Eppure, è nel presente che il poeta parla, che ricorda, che nomina località e stagioni di un passato in perenne dialogo con il presente. Avviene un commovente slittamento, nell’ultimo testo, tra la semplicità dettagliata delle piccole cose naturali appartenenti al passato e lo straniamento (percepito perfino allora, al tempo raccontato) derivante dall’essere parte di una Galassia “affaccendata” e compulsiva, nel flusso del ricordo di fatti impressi nella memoria individuale e in quella storica, legati da minimi gesti familiari come mangiare tortelli e bere vino. Tra gli anni luminosi, anche se drammatici, del passato e un presente incerto e perennemente estraneo, sopravvive una “seconda età/immortale tra le valli” che il poeta, con la sua riconoscenza conservatrice, continua a consegnare all’umanità.

Pastorale

alla fonte del Sasso
sono scese le pecore
col muso e con le zampe
in mezzo all’acqua azzurra,
bevono a sorsi lunghi
quel chiarore celeste
che un po’ s’offusca,
saltano raganelle
dai rami curvi,
passano pesci scuri
tra orecchie pendenti
e ampie foglie

volano le manine1 sopra l’acqua,
quella soffice neve
scende dai pioppi,
tu seduto sul greto
il tutto guardi,
questa fonte di maggio
niente l’uguaglia

sorveglia le sue pecore
dall’alto, Berto,
snella la sua figura,
i capelli ricci,
sembra un pastore antico,
l’hai visto disegnato
dentro un libro
insieme con gli dei
e con gli eroi,
solo non suona
il flauto
o parla in versi,
al gregge lui bada
da sopra un ceppo,
mai una pecora
gli è fuggita
dalla fonte,
s’è persa tra i campi
immensi d’erba spagna2

dopo appare Lucia
in cima al greppo,
lunghi capelli sciolti
fino alla vita,
lei para i gallinacci3
ma è una regina

quella fonte
e attorno le figure,
tu la vorresti eterna,
quell’ora sciolta dal tempo
per sempre perdurare

ma tu sai
che tutto passa,
tutto si dissolve,
anche le pietre
e gli alberi,
come dice l’Antico
nel Gran Vuoto
il Tempo li trascina

il sole scende giù
dietro il Carpegna,
alla casa nel fosso
devi tornare

ma tu la fonte
te la porti dentro
ce l’hai fissa negli occhi
e dentro il sangue

(maggio 2022)

 

[1] manine: sono il polline che vola a primavera dalle piante
[2] erba spagna: è l’erba medica
[3] gallinacci: nella parlata delle campagne urbinati sono i tacchini

*

Negli anni sessanta

allora tu parlavi
sopra palchi
e banchi,
con stendardi e bandiere
dispiegate al vento
dei vent’anni,
perché avevi vent’anni
come nelle canzoni
antiche dell’ottocento,
del primo novecento,
le ascoltavi ragazzo,
salivano le voci
dall’osteria di Valbona
e tu rapito
ti fermavi all’ascolto
giù per la discesa,
ora era venuto
il tuo tempo,
i tuoi vent’anni
da bruciare nei sogni
e nelle lotte

certo, di quegli stendardi
molti sono caduti
e tu già lo sapevi,
al fuoco della controversia
s’avvicendano opere e giorni,
la linea della storia
non è mai una retta

e poi le fughe,
fughe continue,
favolose, ostinate
tra chiese, castelli, monti,
via dalle aule affollate,
da quella rivoluzione
polverosa di fogli
al ciclostile e volantini

e poi i volti,
i volti delle donne
e le figure,
hai capelli corvini
grandi occhi scuri,
nella pieve a San Leo
il suono dell’organo
scende e c’invade,
hai occhi azzurri,
azzurri e franchi
occhi del Nord,
t’aggiri tra le querce
nel crudo sasso
della Verna
tra Tevero e Arno
radicate,
e mai ti stanchi
del chiaro verde
del cupo delle rocce
e dell’azzurro,
hai capelli rossi,
il seno forte,
le lunghe, luminose
gambe bagni
alla sorgente,
la limpida sorgente
del Metauro,
e altre,
altre ancora,
ho camminato con voi
tra navate e campi,
ci siamo seduti
sui muri,
sotto i ceppi,
molto vi debbo
per questo Eden secondo
dopo l’altro,
quello della sconfinata
infanzia sulle Cesane,
molto vi debbo,
molto vi sono grato
per una seconda età
immortale tra le valli

ma sui trent’anni,
in un giorno
non come un altro
della vita
venne la cupa
stanza nel buio
sprofondata
e quando alla luce
tu risali
s’è fatto scuro
il cielo e marmi
e cornicioni delle ville
di Tivoli tristi
e grigi
e plumbaghi e nasturzi
nelle tenere aiuole
reclinati e spenti,
ora un male feroce
preme alle tempie
e gela il sangue,
quegli anni luminosi
si sono chiusi,
da rovi e spini
stretti e separati,
altro tempo t’attende
e faticoso

(gennaio 2022)

*

A Rubiera, verso sera

c’è qualcosa di più lieto
sotto il sole, d’un amore
breve e assoluto,
sciolto dalla catena
dei giorni e delle ore?
correva tua figlia,
piccola americana biondoceleste
tra il granturco altissimo
giù per il Perlo,
e poi io e te soli
nei lontani campi
di Rubiera assolata,
ma già era sera,
nella trattoria
dei perfetti tortelli
e la caraffa colma
di bianco vino
avevo vent’anni,
uno più uno meno
tu no
quarantenne biondoceleste,
avevi fatto la guerra,
infermiera sulle portaerei
asciugato il sangue
dei marines biondi e neri
in quelle isole remote
di palme e fuoco

certo, la terra ruotava
come sempre attorno al sole,
la gente riempiva le spiagge
e i mercati
e la Galassia poi,
così lontana,
come sempre affaccendata
nei suoi cerchi perenni e indifferenti,
e noi lì fermi,
in quel ruotare dei cieli
sperduti e soli,
soli e assoluti
a mangiare i tortelli
e bere il vino

(luglio 2022)

 

Umberto Piersanti è nato a Urbino nel 1941, dove tuttora vive e insegna. Ha pubblicato numerose raccolte poetiche (I luoghi persi, Einaudi 1994, Nel tempo che precede, Einaudi 2002, L’albero delle nebbie, Einaudi 2008 e Nel folto dei sentieri, Marcos y Marcos 2015), saggi e opere di narrativa (L’uomo delle Cesane, Camunia 1994, L’estate dell’altro millennio, Marsilio 2001, Olimpo, Avagliano 2006, Cupo tempo gentile, Marcos y Marcos 2012 ); è anche autore di film (L’età breve, 1969-1970, Sulle Cesane, 1982, Ritorno d’autunno e Un’altra estate, 1988 ). Tutte le raccolte precedenti le tre sillogi edite dalla Einaudi sono uscite in un unico volume dal titolo Tra alberi e vicende, Archinto 2009. Recentemente è uscita la sua raccolta poetica intitolata Campi d’ostinato amore, La nave di Teseo 2020, con la quale ha vinto il Premio Saba 2021 e il Premio Speciale Camaiore 2021. Nel marzo 2022 Crocetti editore ha stampato una nuova edizione de I luoghi persi con una sezione di dodici inediti e la prefazione di Roberto Galaverni. La sua opera in prosa più recente è un libro di racconti, Anime perse, Marcos y Marcos 2018. Dal 2016 è Presidente del Centro Mondiale di poesia Giacomo Leopardi di Recanati.

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