Fotografia di Dino Ignani

 

Nati negli anni Ottanta è un progetto a lungo termine che ha l’intento di riassumere e catalogare le esperienze poetiche individuali o collettive portate avanti da autori scriventi in italiano nati tra il 1980 e il 1989. Si tratta di poeti cresciuti letterariamente in ambiti e contesti diversi e dunque legati spesso a modi di intendere il discorso in versi del tutto differenti. Per segnalare i libri dei poeti nati negli Ottanta scrivete sul form di contatto.

 

 

Andrea Donaera è nato nel 1989 a Maglie, in provincia di Lecce. Cresciuto a Gallipoli, attualmente vive a Bologna. È autore di alcune plaquette di poesia e di un saggio su Elio Pagliarani. Ha pubblicato racconti, poesie e interventi critici su litblog e riviste. La sua ultima raccolta è Una Madonna che mai appare, nel XIV Quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2019).

 

 

Testi tratti da Una Madonna che mai appare (XIV Quaderno italiano di poesia contemporanea, Marcos y Marcos, 2019)

 

Il padre. Un’ustione – III

Sapessi che cosa sogno, sapessi,
la mia schiena, come uno scoglio sporto,
un mare marcio, ti ci bagni le mani
(sono spettri scossi, meduse tremule),
mi sveglio sempre spastico, poi, sento
un suono, un fischio spesso, nell’orecchio.
[Padre, non dovrebbe essere questo.
(E non lo è: faccio finta.)]
Ritorno al letto, mi ci seppellisco.

 

***

 

La terrazza. Un orrore – 3

Le conchigliette, il sugo di pescatrice, la lingua bruciata, uno dei nostri padri puliva il pesce a mani nude, interiora rimanevano incastrate sotto la fede, lui la sfilava, succhiava via, la ripuliva con la lingua, noi non abbiamo mai detto, mai detto niente, ridevamo inorriditi, tutto un silenzio che assecondava il fare dei nostri padri, uno fumava e sistemava le carte nel mazzo, gli occhi stretti al fumo, noi rubavamo le sigarette dai pacchetti, facevamo finta di fumare, le nostre madri ci colpivano le nuche esauste, giovani vecchie abbarbicate al balcone, guardare la strada giù lontana, tre piani, ipotizzarla un’occasione, un pensiero che si capiva dalle mani tremanti sulla tovaglia sporca di noci rotte, noi eravamo comunque a nostro modo uniti, lo zio ricco apriva la grappa, ce la faceva odorare, uno dei nostri padri la beveva d’un sorso, gli occhi poi gli si facevano strani, eravamo uniti in un ridere inorridito, una delle nostre madri esauste era sempre più tremante, accendeva una Multifilter Centos, una volta uscì sulla terrazza, un giorno tra il Ventiquattro e l’Uno, eravamo certi che non sarebbe rientrata, o forse non lo eravamo, certi, ma eravamo uniti in qualche modo, le guardavamo la mano sulla fronte, gli occhi aperti forte, gli occhi aperti forte sulla strada giù lontana, tre piani, la guardavamo.

 

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Testi inediti

 

Lullaby

Nella semiosfera del tu che ti
pervade c’è un buco che si dilata
nella rete del letto tormentato:
ma non vuoi intendere o non sei capace:
sai soltanto che di notte qualcosa
accade;

sai soltanto che di notte qualcosa
di te non è più tua –
continui nel dirti: “È la rete: è colpa
sua”.

Ti alzi: al buio con le mani che tremano
spazzi i peli da terra
e dal piano cottura:
sei in pace: è un dopoguerra:
ti va bene così – questa tortura
non è niente, lo sai
e te ne fai capace –
ma anche così non ti lasciano in pace
le cose vere: le falle in cui inciampi:

qualcuno ti chiede, con la tua voce:
“Lo sai cos’è che fai?
I peli; le mani; la notte; il cuore
atroce che ti muore: tu lo sai?”.

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