Immagine di Omar Galliani

Dalla prefazione di Vittorino Curci

La voce di Rita Pacilio viene da un luogo intimo e indifeso ha scritto Davide Rondoni, il quale ha giustamente sottolineato anche la qualità di misura e di potenza emblematica di questa voce che, a mio avviso, è tra le più significative della poesia italiana contemporanea. I testi raccolti in questo volume lo dimostrano chiaramente: l’istinto poetico e la soggettività prorompente di Rita sono davvero unici e inconfondibili; la sua poesia è ricca di gamme figurali tornite con maestria, di stilemi ritmici lessicali e sintattici che corrodono e sfaldano i confini della lingua allo scopo di capire quanto sia reale l’invisibile. Una delle meraviglie di questo libro è per me la compattezza della scrittura, pur nell’ampio scarto temporale che separa i testi più recenti da quelli più remoti. Il soffio vitale che dà forma ai versi di questo libro è intriso di una spiritualità irradiante che risulta nuova e antica allo stesso tempo. Una spiritualità non indifferente al mondo, come dimostrano tutti i componimenti qui raccolti. Ma c’è dell’altro. Questa auto-antologia esprime la fragilità e la forza di una femminilità aliena da languori sentimentali e tutta concentrata sulla ricerca di una intensità verbale e di una pronuncia esatta che cattura immediatamente l’attenzione del lettore […]. Il processo creativo, lo sappiamo, è per sua natura vertiginoso, caotico, inafferrabile. In esso le forze in campo (la ragione, l’immaginazione, la sensibilità, gli impulsi, le visioni, le suggestioni) sono in continuo movimento. Per governare tutto questo, il poeta deve essere pronto ad affrontare le situazioni più complicate. E può farlo soltanto lavorando con rigore e disciplina. Nella poesia di Rita Pacilio tutto ciò si vede e si raggruma in un’idea di poesia intesa come faticosa ricerca, attraverso il linguaggio, di un atto rivelativo che rigeneri la nostra appartenenza a una società sia pure in declino.

Da Così l’anima invoca un soffio di poesia (Marco Saya Edizioni 2023)

L’odore dell’entroterra porta il mare
lontanissimo da qui, sembra un suono
eroico l’onda del vento nelle alghe
attorcigliate alle ghiande del bosco:
solo gli uccelli hanno una lingua
franca e un movimento immacolato,
come noi si muovono tra il candore
plurale delle lodi e i ricordi inevitabili.
Bisogna ostinarsi in maniera umana
per misurare accuratamente lo spazio
sognarti in mezzo a noi, ancora una volta.

*

Vedi le orbite, le orbite sprofondate nel viso
e ogni vocale attaccata ai denti?
La morte ha sempre climi estremi
parole pronunciate appena
e il cuore sulla lingua.
Le hanno messo il fard stasera
per sembrare meno cadavere, meno madre
mentre il polso resta gesto presunto
te l’avevo detto come una condanna,
un pegno.
Con una salvietta lavo le dita
una a una la coda di un pavone
d’un tratto il tempo finisce nel vuoto
muto, in stretto contatto con la pace.

*

Tra il nulla e la luce mordo il labbro
dimenticando tutto il dolore che verrà,
nella maschera passa ossigeno gassoso
e il destino paziente.

Qui raccolgono la vita come si fa
con le spighe di grano in fila
sulle colline, su tutta la terra
fino al raccolto maturo di stagione.

Sono io il seme trasportato dappertutto
e cado senza fretta, splendente sgorgo
dal campo, dai solchi sotto le foglie.

Lo so, cresce dentro di me la forma
delle stelle, per questo voglio spuntare
dorata dalla terra all’aria.

*

La città di mare si sgrana sonora

Emerge dalla sabbia minuscola
non ha il sapore rancido dei morti
portati a galla con le palpebre
chinate al bimbo stretto al collo.

L’amore è così, una resistenza
scampata in modo sconosciuto nell’ora
in cui si fanno i giuramenti intatti
da cui nasciamo ubriachi nel tormento

già allargati dietro agli occhi
appianati, sgranati, rochi, dalla pancia
piena di grandi sassi e assenze
distesi come una fine.

*

Sputa i suoi drammi
coi colpi di tosse
per gioco, per amore
scorie sottili nelle mani esibite

è latente lo scontento sulle spalle

gli imperfetti sono gente bizzarra
lasciati nell’arena, non so dire esattamente,
come un silenzio, un ghigno.
Ho pensato che Dio ama l’insicurezza
e le sfumature dei dirupi.

Io mi trovo qui dove non si torna indietro.

 

Rita Pacilio (Benevento, 1963) è poeta e scrittrice. Sociologa di formazione e mediatrice familiare di professione, da oltre un ventennio si occupa di poesia, musica, narrativa, letteratura per l’infanzia, saggistica e critica letteraria. Direttrice del marchio Editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi. È stata tradotta in nove lingue. Sue pubblicazioni per la poesia: Luna, stelle e … altri pezzi di cielo – (E.S.I. 2003); Ciliegio forestiero (LietoColle 2006); Tra sbarre di tulipani (LietoColle 2008); Alle lumache di aprile (LietoColle 2010); Di ala in ala (Pacilio – Moica, prima edizione LietoColle 2011); Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice 2012); Quel grido raggrumato (La Vita Felice 2014); Il suono per obbedienza (Marco Saya Edizioni 2015); Prima di andare (La Vita Felice 2016); Al polso porto catene (RPlibri 2019); La ferita dei fulmini (Libri d’Arte GaEle Edizioni 2019); La venatura della viola (Ladolfi 2019); Quasi madre (Pequod 2022); Di ala in ala (Pacilio – Moica seconda edizione RPlibri 2022).

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