Fotografia di Luigi Grieco

Nota di lettura di Paolo Pera

Franco Trinchero, maestro torinese in ombra, si distingue dalla pratica poetica corrente per il canto doloroso e meditativo, costellato da immagini graffianti e graffiate e un senso d’eterna caduta che potrebbe renderlo, oseremmo, un “crepuscolare dal lungo corso”. Come abbiamo avuto modo di evidenziare in sede di studio accademico, nel suo canto – da taluni accostato alla musica dodecafonica – è possibile rintracciare un vivido esempio di “poesia debolista” (si pensi al pensiero debole del filosofo Gianni Vattimo), visto il rapsodico muoversi di stadio dell’essere in successivo stadio, che – con fare sperimentalista, ma ricercato (si pensi alla definizione che il Poeta involontariamente si attribuisce di “barbaro aristocratico”, sancito anche dal fine mascheramento delle abilità metriche) – caratterizza un’impossibilità di verità nell’essere al mondo impresso quale esempio in questi versi.

Da Verbali d’infrazione (Campanotto Editore 2021)

STIMMUNG

«coscienzioso, la barba un poco luci-
ferina, lo psichiatra fiorentino
redige, rimembrando i suoi trent’anni
tra carceri goyesche, “Beziehungswahn”
scrive (da Kretschmer, citato da Ey),
gli scrivo che, per contro, una Wahnstimmung
increpò i miei giorni, ma parecchi
anni addietro, l’ottantaquattro
d’interminati ascolti del Concerto
opera cinquantaquattro, e del Manfred
nelle notti: l’ottantadue
della fuga a Bolzano naufragata
in panico e visioni di tragedia,
l’ottantacinque dei muri parlanti,
piazza Castello raggiunta correndo
la notte che il bar Blu era rifugio
urente di neon, un atollo
emerso dai vapori a confortare
col primo caffè la giornata di croce,
questo scrivo all’incirca
sperando che mi legga nella casa
décadente dove fui, in Firenze,
non lontana una taverna d’oltrarno,
il pane sciapo, l’affresco sopra il desco
con Beatrice vestuta di verde
e Dante nel suo gesto oltre la croce,
non so se suoi o miei gli occhi abbagliati»

 

SANTA MARIA DI PIAZZA

scendeva per la via che da Juvarra
muta di nome in Santa Maria, ghiaccio
fors’anche traudito ai suoi passi
nel crollo d’anima che non s’arresta,
ma ecco la chiesuola, rintanata
nel cuore del reticolo, soave
dentro, dove la ridda degli oculi
fascicola la luce in un tepore
mistico e denso, verità dell’isola
tra i gridi dei mercanti
– sbocca in via Garibaldi, gli ombelichi
diamantati trascorrono serali,
nella luce grave, gli adipi impuri
che fanno rima baciata con muri
traforati dello scrigno barocco:
a onta dei presbìteri, la luce
Una che fodera tutto: legnoso
trapesta di falcate Dora Grossa
sbirciando le coppe dei seni,
gli spuntoni sudati delle ascelle,
Adorazione del corpo di?
ed è nuova tempestas che sorge
sugli anni lontani di via Juvarra
sulle cenere di lui come del mondo

 

DISCORSO DI ELPENORE

«un sentimento intenso
o nasce dalle ceneri o cos’è:
ma esclude tutto ciò che gli sta intorno
e il viaggio non si ferma che a un frantume:
non riuscivo a trovare le parole,
non sapevo da che parte stesse il sole
in polveri di giorni tutti uguali:
e l’isola si staglia contornata
a resettare il tempo e lo spazio stremati:
e piazza Panagoulis si crogiuola
all’infuriare nitido di un lume
che in fascio chiude:
non lascio che cari
e vellutati gusci, non ricordo
di Ulisse che una bara senz’occhi
e qui, sotto il vento che chiude,
d’un lampo intravisti i seni di Kore,
non covo nostalgie e il mare aperto
sta fuori dalle ciglia del mio giorno»

 

ROMANZO FAMILIARE
(in memoria di Giorgio Bàrberi Squarotti)

le luci sfarfallanti, verso il cono
d’ombra che il crocevia fa compiegare,
che limite frantumano? che gelo?
nella notte Giocasta claudicava,
e c’era il direttore del Battaglia,
c’era il nome-del-padre accanto al padre
e accanto al collo-Pene di un volatile
mostruoso – lo spezza, superàti
i tremiti che invadono la carne
liscia e sconnessa, quando un fumo
bianco di fantasma ti bordeggia
e scande un vago nome di battaglia;
sorride un poco nella chiara via
cara all’adolescenza che fu grumo
sospeso tra ombelichi rivelàti,
tra città e baraggia continua a cercarti
o forse in forre ove giovane già
Giocasta amoreggiava, sciolto il crine
ai lupi che ululavano il suo nome

 

TRA WALTHER, IL POSTMODERNO E OLTRE

Sono lontani i monti all’orizzonte
dal treno che traversa la Borgogna
e lo porta in Svizzera, dove vive
qualche cosa che lo serena:
ma sfidano le cose come rancidi
avanzi di non sai che tempo, tu
che sembri micenea nei messaggi
via fotoni sul piccolo display, Polissena:
e il lago imbrivida, dove la curva
parabolica nostra come quella
del mondo verso il basso s’impunta,
«Daz ich ie wânde daz iht wære, was daz iht?»
la carne si fa gesso
e forse non resta che consolarsi
con Spinoza, lama in luce boreale

 

Franco Trinchero è nato ad Acqui Terme nel 1957, vive a Moncalieri, dopo aver risieduto dal 1962 al 2019 a Torino. Esempio di studioso raffinato, schivo ed appartato, ha pubblicato in versi Vetrofanie inquiete (Menna, 1985), Palinsesto d’amore (1999) e, dopo un lungo silenzio, nel 2014, Verbali d’infrazione (Matisklo Ed.; poi, con lievi varianti, Campanotto, 2021). Nel 1999 gli è stato assegnato il Premio Montale per la silloge Nel cerchio stretto di Elpís in Sette poeti del Premio Montale (Crocetti, 2000). Verso la metà degli anni ’90 fonda e dirige per alcuni anni la casa editrice Anaphora.

Paolo Pera (Alba, 1996) vive a Canale e si è laureato in Filosofia all’Università di Torino. Ha pubblicato il romanzo La scuola attraverso i miei occhi (Vertigo, 2012); una rielaborazione del classico per l’infanzia di Heinrich Hoffmann (Pierino Porcospino, Gian Giacomo Della Porta Editore, 2021); due raccolte poetiche: La falce della decima musa (Achille e La Tartaruga, 2020) e Pietà per l’esistente (Ensemble, 2021).

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