Corollario: per questo la macrodistinzione tra poesia lirica e poesia di ricerca, oggi tanto in voga, è un falso problema, perché può essere presa per buona a livello essoterico, ma è inutile fallace e dannosa a livello esoterico. La poesia, per dirla in breve, è una.

Esattamente come non è valida sul piano estetico la distinzione tra generi letterari, in base alle motivazioni esposte nella precedente puntata della rubrica, allo stesso modo non è valida la distinzione tra poesia “lirica” e poesia “di ricerca”.

Scrivevo sempre sul mio libro di critica Da che verso stai? che “l’unica validità dell’espressione “poesia di ricerca” è infatti di tipo meramente strumentale, un po’ come la distinzione fra generi. La poesia “di ricerca” non detiene in effetti uno statuto ontologico differenziale rispetto alla poesia in quanto tale. Io anzi non distinguerei nemmeno fra poesia buona o pessima, ma solo fra “poesia” e “altro”, visto che la cattiva poesia, di fatto, poesia non è” [1].

Tuttavia, ciò non significa che le distinzioni tra generi siano da rigettare in toto.  Fattivamente, ritengo accettabile la distinzione tra generi, e quindi, in questo caso, tra poesia lirica e poesia di ricerca, su un piano meramente pratico, ossia nell’alveo dell’abituale normalizzazione categorizzante fruibile sul piano scolastico, laddove agli studenti di tutte le età e a tutti i livelli di formazione in itinere categorizzare risulti utile come schema di acquisizione di un’infarinatura e di un approccio di base al letterario in sé. Tuttavia essa diviene “inutile, fallace e dannosa” su un piano che chiamavo, in quella sede, “esoterico”: ovvero all’interno del campo semantico ristretto degli addetti ai lavori, siano essi critici letterari, poeti o filosofi estetici.

Questo perché il principium individuationis del poetico in quanto tale, il basamento sul quale sorge e si sviluppa la pratica scientifica ribadisco essere la forma, nella fattispecie il modus espressivo dell’analogia che distingue tra poesia come testo letterario (in prosa o in poesia non est definiendum) dotato di intenzionalità e verofattibilità artistica e prosa come “uso banale del linguaggio”. Data per valida tale distinzione e individuato il principio del poetico nella forma e la sua espressione precipua nell’analogia, qualsivoglia altra distinzione sul piano estetico-filosofico cade nel vuoto e permane con un certo suo perché solamente su un piano categoriale.

Ciononostante, la differenza fra poesia e poesia nell’uso pratico dell’utenza si percepisce, eccome. Si percepisce nella distanza e nel distacco, nel disamore del pubblico, nell’ansia di pubblicità del privato” (cit. p. 71). Si ravvisa nella percezione eterodiretta che esista una poesia più “facile” e una più “difficile”, percezione generata principalmente dall’ingerenza sul giudizio di gusto collettivo del mercato editoriale, con le diramazioni tentacolari degli uffici stampa e di tutto l’armamentario sociologicamente inteso che Baudrillard definirebbe “il pubblicitario”, il quale regola e norma le nostre papille mentali con la sua potenza persuasiva immanente e coessenziale.

Nella realtà delle cose, i poeti considerati “difficili” non arrivano sugli scaffali delle librerie, rimangono nella nicchia e vengono considerati (meno spesso compresi) solamente dalla cerchia ristretta degli addetti ai lavori, se non hanno ottenuto nel frattempo una preventiva istituzionalizzazione da parte della critica accademica o dalla critica militante (che in stretti giri di boa, prima o poi, accademica generalmente diventerà) tramite fenomeni di endorsing (esempio cardine nella storia della letteratura del Novecento: Anceschi e il Gruppo 63) e autoendorsing (lo stringersi in collettivi e gruppi poetici che siano funzionali all’emersione del sommerso, a rischio di un coatto fare gruppo che non permetta di distinguere le varie poetiche differenziali).

Nella realtà delle cose, gli scaffali sono occupati dai cosiddetti classici, che campeggiano in uno spazio di tanto in tanto spolverato dai commessi delle librerie e dalle commemorazioni dei festival, e dai cosiddetti ultracontemporanei “che hanno fatto il botto”, essendo finalmente approdati (talvolta) con merito, dopo anni di ricerca poetica e di semianonimato, alle collane istituzionalizzate (la Bianca Einaudi, Lo Specchio Mondadori ecc.: è il caso recente della poesia disturbante, potente e fortemente empatica di Alessandra Carnaroli). Il peggio arriva barcamenandosi tra fenomeni recenti come l’instant poetry e l’istapoetry, che generano pubblicazioni di successo in cui il dato estetico dilegua a favore di una facilità di lettura sinceramente svilente e in cui la banalità del contenuto si accompagna a una sciatteria formale spesso da denuncia critica.

In questi ultimi casi, il dato pubblicitario giustifica le modalità e le motivazioni in base alle quali un poeta ottiene il successo sperato. Posso rubare, al caso, le parole che Baudrillard applicava allo sfruttamento erotico del corpo femminile nella pubblicità: “Se un tempo la merce costituiva la sua propria pubblicità (non ve n’era altra), oggi è la pubblicità che è diventata la sua propria merce. Essa si confonde con sé stessa” [2]. In base a questo assunto sociologico, qualsiasi fatto d’arte, concepito come prodotto, diviene automercificato e quindi autopubblicizzato, tale che il valore estetico stesso dell’oggetto svanisce sullo sfondo, soppiantato inesorabilmente dalla funzione autopropositiva e autonomica della notorietà, tale che Sandro Bondi e Giorgia Soleri, in base a una fallace proprietà transitiva, assumono agli occhi del pubblico lo stesso valore identitario di poeti rispetto, chessò, ai compianti Pierluigi Cappello e Biancamaria Frabotta.

Si nota bene, a questo punto, come ai fini dell’auspicato passaggio dalla dimensione essoterica a quella esoterica l’educazione estetica risulti fondamentale. Come può il lettore meno avvezzo alla poesia distinguere un pessimo poeta da un poeta meritevole? Come si può passare dalla vox populi all’espressione di un giudizio di gusto estetico pienamente consapevole?

Con le sue Lettere Über die ästhetische Erziehung des Menschen, già nel 1795 Friedrich Schiller sosteneva che l’educazione alla bellezza consente all’uomo di unificare le proprie opposizioni interne permettendogli di puntare alla sintesi: l’approdo finale dell’educazione estetica era etico. Nel corso del tempo, si è fatta strada la convinzione che non esista precisamente tra gli esseri umani una differenziazione nel possesso della facoltà di giudizio estetico, ma soltanto nella gradazione del suo affinamento derivato dall’esercizio: il gusto è facoltà comune che va esercitata. Taluni si spingono oltre affermando con Renzo Titone che “l’affinamento estetico dello spirito è troppo importante perché lo restringiamo alla casta dei super-dotati: tutti (i bambini) in quanto candidati all’umanità ideale, hanno un preciso diritto a tale perfezione” [3]. Questa candidatura alla perfettibilità dello spirito per il tramite dell’esercizio della facoltà di giudizio estetico sembra fondata sulla convinzione, propria anche di Jacques Maritain, che noi possiamo rinvenire una conoscenza artistica di tipo non teoretico non solo pertinente all’artista, ma anche al fruitore dell’opera d’arte, proprietà che egli chiama “conoscenza per connaturalità affettiva” [4] e che altrove si definisce nei termini di una forma di conoscenza che funziona “per risonanza nella soggettività” [5] . Questa forma di conoscenza sarebbe propria dell’essere umano a tutte le età, giacché si rivolge alla facoltà estetica che, secondo Kant, fungerebbe da “ponte tra intelletto e ragione”, tra dimensione teoretica e dimensione etica come nesso o collegamento tra le facoltà dello spirito preposte alla gestione del mero intelletto da una parte e del senso morale dall’altra. Come dire che la facoltà di giudizio estetico, consentendoci in senso lato di distinguere tra bellezza e bruttezza del mondo (ed in senso ristretto, ovvero “esemplarmente” come direbbe Emilio Garroni, tra bellezza e bruttezza di un’opera d’arte) ci permette di accordare le nostre facoltà rendendoci persone complete, dotate del senso compiuto della nostra teleologia.

Così, si capisce come la distinzione tra i generi della poesia sia fondamentalmente fallace. La poesia è una perché una è, possibilmente, la modalità di fruizione che in quanto esseri umani ne abbiamo: la distinzione, piuttosto, è nel livello di affinazione del nostro gusto estetico che dovrebbe essere esercitato per tutta la durata dell’esistenza. La poesia è una, inoltre, perché questa modalità unitaria di fruizione della bellezza si fonda sulla comune capacità, che è possibilmente propria a diversi livelli sia agli artisti che ai fruitori, agli adulti e ai bambini, di operare sul piano dell’analogia per il tramite del procedimento di spostamento metaforico e simbolico del senso. La metafora, “significazione ingegnosa” come la definiva Emanuele Tesauro nel Cannocchiale aristotelico, permette “di addentrarci in un nuovo mondo di significati” e, tra le altre cose, “indica al bambino la via d’uscita dalle coercizioni del linguaggio comune, mettendo in discussione in pregiudizi cognitivi e le convenzioni culturali, gli stereotipi e i luoghi comuni dell’antilingua mediante l’apertura a dimensioni di innovazione e di apertura” [6], dal pensiero magico al pensiero estetico all’opera d’arte.

Quel linguaggio comune di cui abbiamo spesso parlato, prosa banale della persona e del mondo, semplice strumento di comunicazione denotativa quotidiana, tramite la funzione estetica della poesia scopre la propria funzione connotativa, metaforica e analogica, e spalanca così squarci di significazione assoluta, consentendo, peraltro, di ridurre “il rischio di aderire a categorie concettuali rigide e cristallizzate, imponendo l’esercizio di un’originalità interpretativa critica che annulla le pressioni omologanti” [7].

Lungi dal consistere in una vita di mera apparenza (di contro alla vulgata in parte imprecisa della condanna platonica dell’arte), l’arte e la poesia illuminano il nostro atavico “regno delle ombre”, come sostiene Schiller stesso in questo testo che lascio a chiosare l’odierna demonstratio che la poesia non solo è una, ma indivisibile in generi e potenzialmente generatrice di un senso estetico che fornisce unità all’essere umano in quanto tale.

Sia chiaro: personalmente diffido dalla certezza che tale capacità estetica sia propria davvero a tutti e, per questo, la considero tale solo possibilmente, ovvero a determinate condizioni di predisposizione e di fortuna: c’è infatti sempre spazio per il Regnum Animalium, quell’universo di esseri umani affatto toccati dalla sensibilità, sull’animo dei quali l’arte e la bellezza non esercitano alcun influsso. È un regno a parte di cui qui non ragioniamo, anzi, che guardiamo e passiamo privi sì di arroganza, ma un certo inevitabile, estetico ed etico disgusto.

Friedrich Schiller, Poesie des Lebens da Poesie filosofiche traduzione e cura di Giovanna Pinna, Feltrinelli (Milano 2005)

“Wer möchte sich an Schattenbildern weiden,
Die mit erborgtem Schein das Wesen überkleiden,
Mit trügrischem Besitz die Hoffnung hintergehn?
Entblöβt muβ ich die Wahrheit sehn.
Soll gleich mit meinem Wahn mein ganzer Himmel schwinden,
Soll gleich den freien Geist, den der erhab’ne Flug
Ins grenzenlose Reich der Möglichkeiten trug,
Die Gegenart mit strengen Fesseln binden,
Er lernt sich selber überwinden,
Ihn wird das heilige Gebot
Der Pflicht, das furchtbare der Not
Nur desto unterwürf’ger finden,
Wer schon der Wahrheit milde Herrschaft scheut,
Wie trägt er die Notwendigkeit?”

So rufst du aus und blickst, mein strenger Freund,
Aus der Erfahrung sicherm Porte
Verwerfend hin auf alles, wes nur scheint.
Erschreckt von deinem ernsten Worte
Entflieht der Liebesgötter Schar,
Der Musen Spiel verstummt, es ruhn der Horen Tänze,
Still traurend nehmen ihre Kränze
Die Schwester-Göttingen vom schöngelockten Haar,
Apoll zerbricht die goldne Leier,
Und Hermes seinen Wunderstab
Des Traumes rosenfarbner Schleier
Fallt von des Lebens bleichem Antlitz ab,
Die Welt scheint was sie ist, ein Grab.
Von seinen Augen nimmt die zauberische Binde
Cytherens Sohn, die Liebe sieht,
Sie sieht in ihrem Götterkinde
Den Sterblichenm erschrickt und flieht,
Der Schönheit Jugendbild veraltet,
Auf deinen Lippen selbst erkaltet
Der Liebe Kuβ und in der Freunde Schwung
Ergreift dich die Versteinerung.

*

“Chi vorrà pascersi di figure d’ombra
che d’apparenza rubata rivestono l’essenza
e la speranza eludono con possesso mendace?
A nudo la verità devo vedere.
Se insieme all’illusione il cielo mio svanisce,
se lo spirito libero, che l’alto volo condusse
nel regno illimitato delle possibilità,
legano le catene del presente,
impara allora a dominarsi,
e lo troverà tanto più prono
il sacro comando del dovere,
quello tremendo del bisogno.
Chi già di Verità teme il dominio mite
come sopporta la necessità?”

Così tu esclami, o mio severo amico, e guardi
dal certo approdo delle cose note,
disapprovando, a ciò che solo appare.
Dalle parole tue severe spaventata
fugge la schiera degli dèi d’amore,
tace il concerto delle Muse e cessano le danze delle Ore,
tristi e silenti raccolgon le ghirlande
le dee sorelle dalla bella chioma,
Apollo spezza la sua lira d’oro
ed Hermes il suo magico bastone,
il velo dei sogni di color di rosa
dal cereo volto della vita cade,
il mondo appare ciò che è, un sepolcro.
Dagli occhi suoi solleva la benda dell’incanto
il figlio di Citera, l’amore vede,
nella creatura degli dèi esso vede
il mortale, si spaventa e fugge,
la giovanile immagine del bello
invecchia, e fin sulle tue labbra gela
il bacio d’amore e nel gioioso slancio
in pietra ti trasformi”.

Note

[1] S. Caporossi, Da che verso stai? Indagine sulle scritture che vanno e non vanno a capo in Italia, oggi, Marco Saya Edizioni, Milano 2017, p. 71.
[2] J. Baudrillard, Il sogno della merce, Lupetti & Co., Milano, 1987, p. 62.
[3] R. Titone, Introduzione ad una psicologia dell’educazione estetica, in Psicologia e didattica dell’educazione estetica, SEI, Torino 1995, p. 16.
[4] Tale concetto è sviluppato in J. Maritain, Le frontiere della poesia, Morcelliana, Brescia 1981.
[5] U. Eco, La definizione dell’arte, Mursia, Milano 1968, p. 109.
[6] F. D’Aniello, Infanzia, personalizzazione, educazione estetica in AA.VV., Alla scuola del personalismo nel centenario della nascita di Emmanuel Mounier, a cura di S.S. Macchietti, Bulzoni, Roma 2006, p. 315.
[7] Ibid., p. 316.

Bibliografia

U. Eco, La definizione dell’arte, Mursia, Milano 1968.
J. Maritain, Le frontiere della poesia, Morcelliana, Brescia 1981.
J. Baudrillard, Il sogno della merce, Lupetti & Co., Milano 1987.
R. Titone (a cura di), Psicologia e didattica dell’educazione estetica, SEI, Torino 1995.
I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Einaudi, Torino 1999.
F. Schiller, Poesie filosofiche, traduzione e cura di G. Pinna, Feltrinelli, Milano 2005.
AA.VV., Alla scuola del personalismo nel centenario della nascita di Emmanuel Mounier, a cura di S.S. Macchietti, Bulzoni, Roma 2006.
S. Caporossi, Da che verso stai? Indagine sulle scritture che vanno e non vanno a capo in Italia, oggi, Marco Saya Edizioni, Milano 2017.
F. Schiller, L’ educazione estetica. L’arte, il bello, la forma, la creatività, l’imitazione, l’esperienza estetica, a cura di G. Pinna, Aesthetica, Palermo 2019.
F. Schiller, L’educazione estetica dell’uomo, a cura di G. Boffi, Bompiani 2021.

 

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