Il libro Reparto da qui di Sarah Di Piero (Argolibri 2019) è ambientato in parte in un reparto di psichiatria e in parte nella psiche dell’autrice; per un effetto di trompe-l’œil e mise en abyme le due parti si sovrappongono e riflettono, a partire dal gioco di parole del titolo. Questo luogo si presenta come una declinazione moderna della selva oscura dell’Inferno dantesco, citata esplicitamente nella poesia Non farci caso e implicitamente evocata nei versi «Siamo avvolti / da una tenebra invisibile» della poesia La visione. L’introduzione (qui denominata nota a margine) di Rossella Renzi funge da vademecum virgiliano.

La tavolozza è composta dai «soliti colori»: innanzitutto il blu del corridoio in contrasto con l’azzurro del cielo e le volte celesti, inaccessibili e desiderate; il verde dei camici degli infermieri (Malebranche!) in contrasto col verde smeraldo degli occhi e l’erba «del verde più verde»; il rosso di unghie e farfalle e infine il nero del caffè, punto di fuga prospettico dalla e della routine carceraria.

Alle due parole ricorrenti «farfalla» e «urlo» si potrebbe affidare un riassunto binario delle 44 poesie della raccolta (cfr. il test di Rorschach): fragilità e dolore. Ma resterebbe in secondo piano l’ossessione del tempo perduto e irriversibile che poesie come Undo («Vorrei un corpo / con la funzione “Undo” / per tornare indietro / ad ogni sfregio / ad ogni graffio / ad ogni taglio / sulla tela») e il ritornello invertito di Giorni di rovi ribadiscono:

 

I giorni si arrampicano

impuntandosi sui minuti:

come frotte di velieri

vengono

senza vento.

 

Così il tempo rimane immobile

a guardarsi allo specchio,

ma non chiedetemi chi è

non ricorderò un istante

di questo – pressante,

 

mentre dentro, rosicchiati,

si accovacciano i pensieri:

senza vento

vengono

come frotte di velieri.

 

La fitta trama di rime e paronomasie («turbolenze dell’anima, / che esanime esamina», «Urlo dall’orlo», «sussurri / che mi sussultano») sono gli accordi di quello che è, per usare un’altra espressione di Di Piero, lo «strimpello immenso» di un cervello troppo denso. A fare da contrappunto e coro a questa sua voce ci sono quelle delle altre anime dannate e sue compagne di sventura: Anita, la brasiliana Mulher, la nigeriana, la “cicciona” addormentata; tutte contribuiscono a comporre la «babele di urla / che tacciono e strepitano / nella notte e nel giorno». Uno slittamento dell’identità avviene nell’ultimo verso di L’ora di pranzo, un verso che un copista medievale avrebbe rischiato di banalizzare con una facilior e che mantenendo un’originale flessione alla prima persona singolare invece che alla terza mostra come l’io di questi versi sia scomposto e sparso, imprigionato e vagante:

 

Urla e pianti

proteste e risa

 

tavola di salmone

posate di plastica

 

ventidue pazienti

impazziti impazienti.

 

C’è chi mangia in camera

c’è chi non mangio affatto.

 

Un modo come un altro perché il lettore, come Johnny Barrett nel Corridoio della paura o Randle McMurphy in Qualcuno volò sul nido del cuculo, constati entrando in questo libro quant’evanescente sia il limite tra il dentro e il fuori, tra l’io e gli altri, tra chi scrive questi versi e chi li legge.

 

Sarah Di Piero ha pubblicato due volumi di poesie, Minestre alla cannella (2017) e Strappando rododendri (2017) con la casa editrice Italic Pequod. Con Argolibri è uscita la sua nuova opera Reparto da qui (2019).

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