Dalla postfazione di Maria Luisa Vezzali

Ipotesi per una bambina cyborg è concepito come un trattato filosofico-scientifico. Preceduto da una bibliografia essenziale, composto di due parti e terminante in un corollario ci racconta la necessità di postulare una nuova infanzia del mondo, una cultura dell’inermità e del rispetto, un riconoscimento empatico dei molteplici altri da noi, «molti dei quali» per dirla ancora con Braidotti «nell’era dell’antropocene, semplicemente non sono antropomorfi». La poesia è rivoluzione e purezza, è la bambina cyborg per eccellenza. Sottolineano, infine, la dedica iniziale e la sezione intitolata alla poetessa statunitense Anne Sexton.

da Ipotesi per una bambina cyborg (Transeuropa Edizioni 2020)

non so ancora per quanto ma per adesso non fai differenza.
tra legno e plastica tra te e l’altro da te. il diverso dimora
nella tua stanza lo coltivi nel sogno.
ti piace cantare senza sapere cantare giocare alla guerra
con i soldatini. ti piace la bambola con un difetto
il giradischi rosso che è rotto la trottola
che non si ferma in un punto.
la stagione che ritorna non è mai la stessa.
ogni giorno infili le palline colorate ad una ad una
nel pallottoliere. con perizia innocente e senza fare
rumore ogni giorno componi il tuo mondo senza parole.
di ogni cosa che ha un nome ogni giorno dimentichi
il nome. vivi d’incanto vivi soltanto di quello che resta.

*

c’è come un’ansia nascosta nella mia mano che stringe
la tua. mentre attraversiamo il giardino del parco
ci sentiamo creature sperdute in un bosco.
carne su carne pelle su pelle ecco lo straordinario
umano sistema per addomesticare l’insidia.
insegui con gli occhi la linea dell’orizzonte dici
che bello andiamo laggiù andiamo oltre.
la tua infanzia è l’infanzia del mondo.
nel chiuso di una stanza blindata il mio cuore blindato
è come il rintocco antico di una campana. perso
nel verde tra monti case e declivi che non esistono più.
tu sei molto più forte di me. io sono nata più volte.
inseguo nel niente una ripetizione costante.

Amazzone

Aelia Agave Alcibia Alcippe Antandra.
Antibrote Antioche Antiope Asteria.
di ogni vita non sterile tu sei la prima lettera dell’alfabeto.
c’è un modo del verbo che si coniuga nell’oscurità.
succinta senza senno privata del seno destro per tendere
al meglio il tuo arco privata del senso conduci.
c’è un popolo di donne mai nate nel suono
limpido e cristallino. un popolo che suona il sistro
per ingraziarsi gli dei che non si caccia che nemici non ha.
è molto di più che una forma l’identità.
ti occulti sui prati per piccoli fiati senza infierire
per imparare patisci senza patire infinite invenzioni.
non hai sesso non hai terra non hai età.

Androgino

liberami dal principio della specie dal concetto
di persona di razza di genere dall’atto che si genera
ripetutamente dall’impasse della riproduzione.
liberami dai traumi articolari dalle lussazioni
dalle separazioni dai dualismi dalle superstizioni.
liberami dalla gabbia di natura dall’uno e dai molti
dalla rabbia dei diversi dai diversi dagli uguali dagli opposti.
liberami dagli occhi dalle mani dalle gambe dalle dita.
liberami dagli organi dai fianchi dalle anche dai gomiti.
liberami dai ruoli del reale dal reale e i suoi espedienti.
liberami dalla fatica di restarti accanto.
dal principio di piacerti ad ogni costo.
come Dio amami. come Dio creami.

Ibrido

il corpo che abitiamo è caduco si rintana in se stesso
ha paura del lupo. vive la nascita come un inizio
la morte come una fine ma poi sente anela respira
s’innamora ogni volta oltre misura.
è il segno tangibile di un’altra storia.
che sta accadendo che è accaduta che accadrà.
in un posto diverso da quello in cui si trova al momento.
dovrei amare il mondo come fai tu, bambina mia, nella sua
innata doppiezza senza filtri né precauzioni.
amarlo per quello che è. un innesto un incrocio
un incastro perfetto tra umano e divino. anche
dio, così com’è, solo divino, si sente un po’ difettoso.
un corpo caduco. si rintana in se stesso ha paura del lupo.

*

camminavo lungo il fiume e parlavo alle stelle. un pesce da dentro
l’acqua mi guardò e mi disse: l’amore resta e resterà. l’amore non si cura
della forma l’amore sa che la forma non è che un antidoto alla paura.

 

Lella De Marchi (Pesaro, 1970) è poeta, autrice e performer. Laureata in Lettere Moderne a Bologna ha poi seguito corsi di scrittura creativa e sceneggiatura (con Andrea Camilleri, Tonino Guerra, Ugo Pirro, Vincenzo Mollica), laboratori di lettura espressiva ad alta voce e teatro. È diplomata al CET di Mogol come autrice di testi per canzoni. Ha pubblicato tre libri di poesia: La spugna (Raffaelli 2010), Stati d’amnesia (Lietocolle 2013), Paesaggio con ossa (Arcipelago Itaca, 2017) ed un libro di racconti brevi Tutte le cose sono uno (Prospettiva, 2015). Ha ottenuto molteplici premi e riconoscimenti a concorsi, sia con l’edito che con l’inedito. Suoi testi sono compresi in blog, antologie e riviste di poesia contemporanea. Unisce alla scrittura un’intensa attività performativa, partecipando a reading, poetry slam, festival in tutto il territorio nazionale e realizzando azioni poetico-musicali in collaborazione con altri artisti.

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