Solitamente non accolgo volentieri i suggerimenti di Spotify, soprattutto se propone playlist già costituite e costruite appositamente per i “miei gusti” e se queste ultime espongono in prima linea album interi di cantanti o cantautori. Una certa diffidenza per i pacchetti già confezionati e i suggerimenti in fatto di libri e musica mi ha sempre consentito di sviluppare un gusto e una sensibilità personali che seppur distanti da ogni classificazione e giudizio critico (seppur giudizioso) esterno mi consentono da sempre di mantenere ben aperte le frontiere e di non smettere di accogliere qualsiasi composizione artistica susciti in me qualcosa di più di un appagamento temporaneo in grado di coinvolgere i sensi. Nonostante ciò durante questo lockdown forzato che ci ha visti tutti chiusi nelle nostre abitazioni, cercando in un momento di noia qualcosa di facile da raggiungere (seguendo le parole di San Gerolamo facis de necessitate virtutem), ho ceduto e mi sono arresa. Bisogna ammettere che il sistema di collegamenti e connessioni musicali che offre Spotify è senza eguali ed in molti casi consente di avvicinarsi a composizioni degne di nota che altrimenti resterebbero nell’oscurità poiché non trasmesse in radio e senza riscontro nei diversi palinsesti mediatici; questo non per fare pubblicità al colosso musicale di questo secolo ma per ragionare attorno alle linee che a volte si intrecciano artisticamente parlando.
Insomma, per farla breve, ho aperto l’album di Charlie Cunningham e la prima scarna playlist che ho ascoltato arriva da un EP del 2020 in seguito ad un lavoro più ampio e noto intitolato Permanent Way del 2019. I quattro brani che compongono Pieces rappresentano un percorso del cantautore inglese che arriva da passati miscugli di chitarra classica, in stile vagamente spagnoleggiante che in alcuni momenti pare avvicinarsi al flamenco con sonorità leggermente più sofisticate che ricordano forse i London Grammar, The Paper Kites e Roo Panes, forse anche il Chris Isaak di Wicked Game. La cura e la ricerca di un suono autentico, delicato e assieme incisivo, in grado di fare presa sin dal primo ascolto senza però rischiare di risultare banale e usuale paiono le caratteristiche più significative di questo artista che preferisce le chiese, la Modern Art di Oxford dedicata alla cultura e all’arte contemporanea consentendo esposizioni e performance in spazi dall’atmosfera museale d’avanguardia, oppure piccoli spazi in alcuni club francesi come luoghi in cui esibirsi e registrare le sue Live Session. Sappiamo benissimo che nella musica leggera (anche se questa definizione è ormai superata) nulla si può inventare e creare di realmente nuovo e nemmeno questo artista ci riesce, in fondo; tuttavia se alla cura dell’apparato e della parte strumentale delle sue canzoni si aggiunge un messaggio significativo che filtra tramite i testi, allora non si può davvero passar oltre. A tal proposito trovo ci sia qualcosa di dolce e malinconico assieme nel brano intitolato Glass dove il cantautore porta la sua attenzione su due piani: da una parte un legame tra persone che hanno la possibilità di scegliere per se stesse ed anche per l’altro con cui si relazionano, dall’altra un arco temporale indefinito in cui il tempo pare dilatarsi e restringersi: «and into the year, it’s too much to comprehend / They need your lie now more than ever / It’s yours and for the tale came/ Let me take in more time / And stay, slow your pacing / We can last forever». Cunningham si muove tra incertezze e visioni atemporali della realtà interiore di ciascun individuo, dando però la sensazione all’ascoltatore di parlare a tutti senza restare chiuso in una scrittura esasperatamente intimistica come a volte rischia di essere quella di autori quali Olafur Arnalds, Goldmund o Helios che pur lavorando qualitativamente in maniera notevole e portando la musica electro-ambient, neoclassica ad un livello superiore, sembrano a volte aggrovigliarsi su loro stessi conducendo in meandri della mente e dello spirito lontani da ogni realtà possibile. Lo dimostra la primissima strofa della canzone Glass: «All he can be is everything we are / Enough, we should start this over / And between us we can play the part». Ugualmente nel brano Permanent way che dà il titolo all’album precedente e che vale la pena di ascoltare nella performance live acustica, dove si affrontano paure e fragilità legate alle strade che la collettività sceglie di percorrere e che paiono essere oggetto di analisi metaforica dei difficili sentieri che il singolo è costretto ad intraprendere quando conducono ad una direzione opposta dai quella intrapresa dai più: «One life fades / Let another shine its place / It’s just the moving of colour / My hands don’t play the same / But they’ll try anyway / Each accusing the other / You can do what you want / But I’m making my own way».
Concludendo devo ammettere che la dimensione e l’atmosfera emotiva in cui mi sono felicemente calata grazie a questo artista mi ha ricordato che anche in un momento storico come questo le piccole grandi gioie derivate dalla musica sorprendono e danno senso a momenti di isolamento e solitudine che non sempre è facile affrontare.

 

Testo della canzone Glass (Tratto da www.testicanzoni.mtv.it)

All he can be is everything we are
enough, we should start this over
and between us we can play the part
trends, take us that much for sure
call within, I can’t stay wearing
there’s more outside than the changing weather
and to the end, there’s too much to comprehend
this is your life, it’s now or never
once more we can be the last
ready when you are, the fighting starts
at dawn, looking at the glass
heavy on the heart and I, I know this
surprised, oh it’s every night
aren’t you the next one that is saying with fire?
and into the year, it’s too much to comprehend
they need your lie now more than ever
it’s yours and for the tale came
let me take in more time
and stay, slow your pacing
we can last forever

 

 

Charlie Cunningham (1984) è un cantautore e chitarrista proveniente da Buckinghamshire in Inghilterra. Ha pubblicato due album, Lines (2017) e Permanent Way (2019).

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