Immagine di copertina di Eduardo Stupía

Dalla postfazione di Stefano Serri

Una canzone di Franco Battiato non la si cita a caso, anche solo per la fatica di ricordare le improbabili meccaniche combinatorie dei suoi accoppiamenti lessicali. I memorabili gesuiti euclidei che appaiono all’inizio di questo libro non sono certo una fortuita apparizione, né il frammento casuale di una canzone orecchiata distrattamente alla radio. Quasi cartiglio, la prima poesia annuncia quale impresa si va a tentare nel volume: la ricerca di un centro di gravità permanente, un qualcosa che possa tenere insieme chi scrive e chi legge, e saturi il vuoto che separa le disiecta membra dell’umano consorzio. Che sia quantum o quid, qualcosa ci manca. Ma, tenetevi forte, ci dice Sandro Barrella, questo ur-elemento che rientra nella composizione di tutto ciò che vive e ha tempo, questo Frankenstein che ha le istruzioni per assemblarsi da sé, questo personaggio che è il proprio autore, ecco: lo abbiamo trovato. Si-può-fare. Ecce lepre. E dunque: la lepre in cielo e in mare, di ogni forma, colore, età; la lepre liberty o dada, la lepre comunista o penitente, la lepre di Schrödinger, la lepre di Neanderthal; la lepre emblema, maschera, factotum, alter ego; la lepre simbolo, la lepre allegoria. Eccetera, eccetera, eccetera. Una macchia / di lepre è ancora una lepre. Ma è proprio qui, che i poeti laureati alzano il muso (e le orecchie, piuttosto lunghe) e dicono: alt, fermatevi un momento. C’è bisogno di tutto questo? C’è bisogno di tutti questi filtri e legende, di queste traslazioni e spaesamenti? Io gli rispondo: Poesia, per infilarsi dentro, deve chiamarti col tuo nome giusto. Perché, chiedo allora io, sempre e solo una lepre salticchia in tutto il libro, perché sempre e solo un poeta? Questo uso di un’unica cifra è un modo, uno tra i pochi, per crearsi un centro, magari permanente come nella canzone di Battiato, disponendo una metamorfosi a ogni voltar di pagina, ancorando nei mutamenti questo musetto e questi occhi umidi, avvertendo tra le righe il suo sguardo non innocuo ma innocente, e mai spaurito: eccola affacciarsi dalla giostra di fenomeni, eccola nella danza macabra dei giorni, nella ruota della sorte sempre in corsa; ammicca qui e là, spettatrice al cinema, divinità degli inferi, oggetto da museo, spettatore nel museo, direttrice del museo. Questo giro del mondo in 34 lepri prevede numerosi omaggi a personaggi e terre, l’Italia in primo luogo, Aldo Moro, il Vesuvio, Sanremo, Feltrinelli; ma anche pittori e musicisti, Canetti e Jerry Lewis, Mosè ed Erik Satie. Sopra tutti, più volte citato, Joseph Beuys, l’autore di “Come spiegare la pittura a una lepre morta”. Perché questo fa, paziente, Barrella in tutto il libro, raccontando a noi, scuoiati post-moderni, con la pelle strappata dai noumeni, che cos’è (ancora) l’arte. Ogni essere umano è un artista. Io non sono un essere umano. Sono la lepre. […]

Da La lepre (Edizioni Kolibris 2023), traduzione in italiano di Chiara De Luca, disegni di Eduardo Stupía, prefazione di Stefano Serri.

La lepre della colazione

Vedo una lepre stamattina, non inseguita, non in fuga.
Una lepre alla passeggiata delle forme, snella come un
mazzo
di indivia su porcellana bianca. Canta in una lingua
che subito capisco, canta in italiano una melodia
certa
una verità musicale come una fila di formiche alle porte
di Santa Chiara. Non avverte la mia presenza dietro il vetro
la tazza di tè, il vapore che sale, il pane tagliato in due
metà.
Abbasso la radio per sentire meglio la canzone
con cura ascolto che dice Gesuiti euclidei
Vestiti come dei bonzi per entrare alla corte degli imperatori
Della dinastia dei Ming.

La Liebre del desayuno

Veo una liebre esta mañana, no perseguida, no en fuga.
Una liebre al paseo de las formas, esbelta como ramo
de endivias sobre porcelana blanca. Canta en una lengua
que a poco comprendo, canta en italiano una melodía cierta
una verdad musical como una fila de hormigas a las puertas
de Santa Chiara. No advierte mi presencia detrás del vidrio
la taza de té, el vapor ascendente, el pan cortado en dos
mitades.
Bajo la radio para mejor sentir la canción
con esmero escucho que dice Gesuiti euclidei
Vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori
Della dinastía dei Ming.

 

La lepre della teologia

Sembra fatta di pietra, è mollica di pane.
Elude l’ansia di chi va
fino all’impalcatura dove decifra gli enigmi
come se fosse il rovescio della Sfinge?
Rigida calma simula, neve sciolta
nella gravità. I fedeli che fermano
il loro passo a mormorare frasi sul male
li espelle come l’ultimo sospiro di un bonzo.

La liebre de la teología

Parece hecha de piedra, es miga de pan.
¿Elude el ansia de quienes van
hasta el andamio donde descifra los enigmas
como si fuese el envés de la Esfinge?
Rígida calma simula, nieve disuelta
en la gravedad. A los fieles que detienen
su paso y mentan frases sobre el mal
los expide como el último suspiro de un bonzo.

 

La lepre senza origine

Certo che c’era la lepre dietro il vetro
con la sua pompa abituale, il percorso disegnato
negli occhi, un anello nella tasca
del giubbotto. Era la lepre senza origine.
Vedendomi accelerò e si lasciò dietro il viale
della circonvallazione, entrò nella prima curva
a sessanta gradi, finì nella banchina
tra prati, panettieri e una pianta
di dente di leone. L’olio sull’asfalto
fece della cartolina il caos, pura confusione
il colore in movimento, le vibrazioni circolari.
Starnutì. Dal muso germogliarono grigi,
bruni, marroni dall’estuario verso i quattro
punti cardinali. Da allora intraprende
il viaggio al litorale marittimo in autunno,
quando calmati, i fiori sul fianco
dalla strada non emanano
quello che provoca una tale irritazione.

La liebre sin origen

Claro que estaba la liebre detrás del vidrio
con su pompa habitual, la ruta dibujada
en los ojos, una sortija en el bolsillo
del chaleco. Era la liebre sin origen.
Al verme aceleró y dejó atrás la avenida
de circunvalación, entró en la primera curva
a sesenta grados, terminó en la banquina
ente pastizales, panaderos, y una mata
de dientes de león. El aceite en el asfalto
hizo de la postal el desparpajo, pura confusión
el color en movimiento, las vibraciones circulares.
Estornudó. Del hocico brotaron grises,
pardos, marrones del estero hacia los cuatro
puntos cardinales. Desde entonces emprende
viaje al litoral marítimo en otoño,
cuando de apaciguadas, las flores al costado
del camino no desprenden
lo que provoca tamaña irritación.

 

La lepre della lepre

Guarda nel piano l’albero, – rami si legano
in alto col vento – il bosco, legno
che suona, traverse sui binari del treno.
Guarda nel piano il totem del lungomare,
la città sulle rive del Tirreno.
Ponteggi nella basilica di Arezzo,
legna, fuoco in un angolo lontano del luogo
dove si trova ora: un soggiorno con vista
sulla Avenida del Libertador. Sul coperchio
lucido dello Steinway si riflette l’acconciatura
della padrona di casa, le gocce di cristallo di Boemia,
un antenato illustre in una cornice d’argento,
la coppia appena arrivata. Fugace, la cameriera
e il suo vassoio; gli occhi di Esmeralda, il bastone
di Enrique appoggiato al muro. Si canta,
si beve, si parla di quello che veramente
importa: carovane attraverso il deserto del Mojave.
La lepre fa la sua grazia, quello che sa. Cambia argomento.

La liebre de la liebre

Mira en el piano al árbol, – ramas enlazan
en lo alto el viento – al bosque, madera
que suena, durmientes en las vías del tren.
Mira en el piano al tótem del paseo
marítimo, la ciudad a orillas del Tirreno.
Andamios en la basílica de Arezzo,
leños, fuego en un rincón lejano del lugar
donde se encuentra ahora: un living con vista
a la Avenida del Libertador. En la tapa
lustrosa del Steinway se refleja el peinado
de la dueña de casa, los caireles de Bohemia,
un antepasado ilustre enmarcado en plata,
la pareja que acaba de llegar. Fugaz, la moza
y su bandeja; los ojos de Esmeralda, el bastón
de Enrique apoyado en la pared. Se canta,
se bebe, se charla de lo que verdaderamente
importa: caravanas a través del desierto de Mojave.
La liebre hace su gracia, lo que sabe. Cambia de tema.

 

Sandro Barrella è nato a Buenos Aires nel 1967. In poesia ha pubblicato El álbum de Pascal (Último Reino, 1996), El golf (Alción, 2005), Los pájaros (Bajo la luna, 2010), Los italianos a la guerra (Ediciones en Danza, 2013), Viaje sentimental (Gog & Magog, 2017), Villa Santa Rita o el libro de los pasajes (Caleta Olivia, 2019), La liebre (Bajo la luna, 2022). Da oltre vent’anni collabora con supplementi culturali e riviste specializzate con recensioni e articoli sulla poesia. Ha partecipato al volume collettivo di saggi pubblicato da Ediciones del Dock (2010), Dificultades de la poesía. Poesie di Los italianos a la guerra sono state tradotte in francese per essere lette al Festival di Poesia “Présences à Frontenay”, del 2014, anno del centenario dall’inizio della Prima Guerra Mondiale. È stato invitato all’edizione 2018 del Festival di Poesia di Montreal, in cui l’Argentina era paese ospite onorario. È stato incluso in numerose antologie di Argentina, Messico, Francia e Canada. È stato tradotto in inglese, francese e italiano.

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