Laboratorio di Poesia, a cura di Alfonso Maria Petrosino, esce l’ultimo venerdì del mese su ‘Poesia del nostro tempo’. Vengono commentati i versi degli aspiranti poeti del Laboratorio online e scelta la poesia del mese.

Quello dell’Io è un tema assai caro a tanta poesia e tantissima critica contemporanea e suscita dibattiti talmente animati e animosi da suonare ormai come una bestemmia vana (due terzi di). Gabriele Marturano lo affronta con una metafora piscatoria:

Quasi una metempsicosi

L’empatia
toglie dall’amo dell’io la mente
e la adagia negli oceani
dei passanti, subitanea
si inabissa

e quando tra le mani mi torna
nello sbudello guardo cos’ha in pancia,
gli indizi
di quei fondali…

E per cena non ho altro
che l’Altro.
A fuoco lento
assaggio.

Il titolo e forse anche il finale mangereccio evocano orizzonti religiosi. Da notare che “io” ha la minuscola e “Altro”, complice la ripetizione, la maiuscola.
In un’altra poesia, drammatica descrizione di un lutto perinatale, viene alternato l’uso di immagini tutto sommato convenzionali (“come se albeggiasse / dopo infiniti tramonti…” o “Il lutto piomba / le speranze, colano / a picco / nel fluire dei giorni…”) altre che risultano invece – per contrasto e in assoluto – molto più potenti di quelle e più evocative dei prediletti punti di sospensione (L’interfono / della tua stanza tace. / La sveglia / incurante inizia a strillare. / Il dolore scalcia”).

Le poesie di Francesco Luca Santo hanno nell’invettiva la loro costante; un’invettiva che sembra avere come primo e principale bersaglio se stesso, che si nutre di accumuli aggettivali e moderatamente di anafore e che è animata più dalla desolazione che dall’indignazione. L’effetto in genere è quello di un monologo che lascia senza fiato.

Giorni di vetro come occhi confusi
mescolati alla strada perduti nel tempo
nei minuti arrancando
ruoti intorno a un pensiero
un ingorgo di metafore di antifone
e riflette sul volto un’idiosincrasia concentrica
sferzata dall’insolenza di un fugace sforzo
ti vesti di utopie di ipocondrie incessanti
e cerchi di capire dove
hai imparato a esser freddo
severo da fare invidia
alla più puttana delle vipere
i giorni hanno un soffocante odore
di anime stagnanti quando ti perdi
nel deserto delle immagini dei volti di resina
e poi lì
nelle transenne che rattoppano la piazza
ci trovi i pregiudizi
le buone cause i rimpianti
vestiti di acciaio e di acacia
e in fila ti metti stanco
dentro un’ossessione quotidiana
e sei fiero di sentirti diverso
ma in fondo nella concimaia
ci sei finito dentro
e non te ne accorgi
nonostante la puzza
che ti porti addosso

Un ingorgo di metafore, letteralmente; alcune di queste suonano scontate (penso, nonostante l’enfasi, a “freddo/vipera”), altre sono invece brillanti e visionarie (su tutte le “transenne” che “rattoppano la piazza”).

Come poesia del mese ne scelgo una di Salvatore Bossa, per l’apparizione di un treno che fa pensare a quello della novella pirandelliana; per l’assenza d’azione o, meglio, l’attenuamento delle azioni messe in scena, affinché quella descritta nel finale ne risulti enfatizzata, in un’atmosfera sospesa tra l’ellissi (nessi e sguardi incompresi) e l’anacoluto; per le poche rime interne, nascoste ma fondamentali a smuovere l’immobilità del quadro: quelle in -ò del verso 7 e quelle in -enti che accostano e contrappongono il protagonista della poesia e colui che parla.

A un cocktail di laurea, in un posto con vista
terrazza di sotto, il treno che attraversa il golfo
per poi sprofondare nel mio stato d’animo.
Intorno a un tavolo, in un clima da sit com
con il mio disagio nel mezzo del gioco dei grandi
fra nessi e sguardi che non capisco; sapendo
però, l’urgenza di una posizione, sennò
ci pensano gli altri a dartene una peggiore –
è il gioco, tu ridi nel silenzio discreto dei lenti.
Ce ne stavamo composti e brillanti per la serata
finché ti assenti, nel modo elegante del laureato
ti alzi e vai a pagare,
hai calcolato anche la tua morte fra gli invitati.

Alfonso Maria Petrosino ha pubblicato quattro libri di poesia, Autostrada del sole in un giorno di eclisse (OMP 2008), Parole incrociate (Tracce 2008), Ostello della gioventù bruciata (Miraggi 2015) e Nature morte e vanità (Vydia 2020). La sua poesia, che descrive luoghi e situazioni in relazione a un paesaggio urbano e all’umanità che lo abita, si avvale di una metrica precisa e raffinata. La redazione di Poesia del nostro tempo ha scelto Alfonso Maria Petrosino per impersonare la figura del maestro, capace di leggere attentamente e suggerire soluzioni, anche ai neofiti della poesia, proprio per la sua capacità sia di aderire al “canone”, alla tradizione, che di frequentare i nuovi palcoscenici della poesia, dagli happening e performances al poetry slam, essendo stato campione indiscusso di queste scene per molti anni.

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